L’iniziativa editoriale avviata sulle pagine di “Resistenze quotidiane”, costituisce un’atto di rara e preziosa riesumazione di quella dimensione etica e civile che nel nostro paese è stata via via sostituita da un pensiero sommario del quale se ne può apprezzare la cifra dell’indifferenza e dell’omologazione come effetti di una complessiva involuzione e restaurazione, di pensiero e di pratiche, tese alla sola sopravvivenza nella solitudine della propria autoreferenzialià.
Questa, a mio avviso, la cornice politico-culturale circa lo stato odierno della cosiddetta “salute mentale” in Italia.
Dai bordi di tale palude, che sembra “non avere più espressioni né rivolgimenti”, stando all’acuta constatazione con cui, oltre quarant’anni fa, Sergio Piro delineava già allora lo stato di perversa ibridazione della prassi psichiatrica, si prova a rimettere in discussione, riaprendola, la “questione psichiatrica” che, del campo sanitario, mostra la forma più grave di destrutturazione del sistema pubblico.
Siamo insomma nel vortice problematico degli effetti di un “Paradigma”, politico-economico-culturale, con le sue ricadute dogmatiche che strutturano l’odierna psichiatria, i cui officianti, cardinali, cherubini e “olandesine volanti” di un ottuso accademismo, si prodigano in una inerzia amministrativa dotata di profili ad alta formazione manageriale. Dilaga insomma la gestione e la smisurata espansione dei dipartimenti dove operatori, infermieri, psichiatri, assistenti sociali nemmeno si conoscono, e dove le scelte operative, frutto di una sorta di “idiotismo funzionale”, riesce a mettere capo a trattamenti poco più che ambulatoriali, quando non del tutto stupidi o francamente dannosi.
Il “chi è “, il “come è ” ed “il mondo in cui vive” di un certo essente, sembra non avere più posto nell’ambito di una “cura”, se non l’offerta di una banalizzante operazione riduttiva e stigmatizzante.
Esito di un processo storico a trazione culturale coagulato nella forma “post-modernista”, “l’utopia basagliana” sembra dissolta nell’odierno spirito del tempo, la cui maggioranza dei suoi esponenti sembra retratta e assorbita nell’introiezione del nuovo ordine “scientifico” da tramandare attraverso un managerialismo aziendalistico come forma intranscendibile dell’odierno “Credo” neoliberista.
Le restanti aggregazioni “alternative “, un tempo armonizzate da un comune fronte problematico, sembrano a loro volta ancora imbrigliate dalla risoluzione dei rispettivi “assolutismi”, i cui limiti si potrebbero sigillare nell’adagio “sit divus, ne sit vivus”…
Sullo sfondo, resta la questione se l’odierna filiazione teorico-prassica risulti ancora suscettibile di un approccio critico che non si risolva, con le parole di un grande fenomenologo, Arthur Tatossian, in “una gloriosa inutilità”.
D’altra parte non mancano gli ammonimenti autorevoli che indurrebbero a un cauto ottimismo, se solo la faccenda venisse presa sul serio.
Con le parole di K. Jaspers :” Lo psichiatra che disprezzasse la filosofia, verrà silenziosamente sommerso da essa”, e quella di cui si ammanta oggi conduce l’intera disciplina al suo capolinea.
Così come, preso atto di tutte le critiche che si possono fare e che facciamo, la “riforma” ha prodotto un “NO” all’istituzione manicomiale e un “SI” alla messa in atto di una molteplicità di “contesti di cura” in seguito a un deciso cambiamento di ottica, perché, come riassumeva qualche anno fa F. Giacanelli in un suo articolo de “L’information psychiatrique” (1981): “n’oublions pas que la loi de 1904 e’tait essentiellement une loi policiere…tandis que la loi 180 est une loi sanitaire”.
Anche per questo non possiamo non dirci cautamente ottimisti, d’altra parte è proprio da una nuova visione, da uno sguardo che ampliava il “sanitario” che si è originata la trasformazione che Basaglia ha cercato di realizzare.
O dobbiamo continuare a “vedere” con gli occhi accecati di un redivivo Edipo giacente nel letto incestuoso di una psichiatria tanto tronfia e fasulla quanto solo ridondante di “suggestioni” al limite del delirio?…