Una lezione dalla Francia: guardare oltre la palude

Mentre da noi l’instabilità è stato il perimetro favorevole per lo svolgimento di giochi di palazzo avulsi dal tessuto socio politico, in Francia ha assunto il significato di un messaggio netto, polarizzato e foriero di conseguenze sulla coesione sociale

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Macron, Le Pen e Melanchon

Le prime avvisaglie, in fondo, si sono avute da Oltremanica; la vittoria laburista non può essere circoscritta a dinamiche di politica interna. Nasce da una domanda di cambiamento che le politiche sovraniste, ad oggi, non sono riuscite a soffocare. Se nel Regno Unito, i lunghi anni di politiche tories, con in primis il totem Brexit, hanno peggiorato la condizione economica dei sudditi di Sua Maestà, è anche vero che il responso elettorale ha il significato di una richiesta di apertura netta alle proposte di nuove politiche progressiste e nuove idee, che non potrà che contagiare anche il vecchio Continente.

Il contesto francese, tuttavia, merita riflessioni ulteriori che traggono spunto dalla “façon d’être” dei transalpini, dalla loro attitudine alla rivolta, alla ribellione, alla sovversione improvvisa di un ordine delle cose che appare stabile, ma che in invece non lo è affatto. Il voto francese ha manifestato una polarizzazione tra le due estremità dell’offerta politica: al forte dissenso lepenista e anti Macron, che ha caratterizzato la prima tornata elettorale, ha fatto da contrappunto, con una grande mobilitazione delle forze progressiste, un’affermazione delle forze di sinistra. Un fronte popolare che oggi sembra avere una gloria fugace, data l’iniziativa autonoma intrapresa dai socialisti, ma che sicuramente ha avuto il merito di sventare l’assalto dell’estrema destra al controllo dell’assemblea legislativa nazionale. Le montagne russe delle elezioni d’Oltralpe restituiscono l’immagine di una Francia un po’ più “italiana”, che si riscopre frammentata ed instabile.

Nessuno ha perso? Bisogna riconoscere che dopo la sconfitta netta alle elezioni europee d’inizio giugno, la mossa di Macron di andare subito ad elezioni si è rivelata molto meno improvvida di quanto si pensasse. Lo scopo di arginare quel sentimento misto d’insicurezza e protesta che alimenta i sovranisti di Le Pen e Bardella è stato sostanzialmente raggiunto, spostando il baricentro della crisi politica  all’interno del dibattito parlamentare. In qualche modo Macron ha allentato la pressione sull’Eliseo, cedendo la ribalta allo scontro politico tra le parti. Ineccepibile sul piano tattico, si vedrà se ugualmente efficace sul piano della strategia di medio periodo.

Questa fase di transizione delle vicende politiche transalpine mostra anche un altro aspetto che attiene più propriamente alla psicologia collettiva della società civile, attraversata da una rilevante crisi d’identità, come se i francesi non riuscissero a dare una forma stabile e delineata a un malessere che si esprime in modo ondivago e indefinito.

Tra tentazioni di chiusura antieuropeiste e paure di nuovi autoritarismi che giacciono nella profonda e inquieta coscienza civica dei “citoyens” ed emergono prepotentemente per dar forza alla “gauche” di Melenchon, i francesi, non abituati a concedere deleghe in bianco, sembrano aver dato un avviso chiaro all’equilibrista Macron; è ora di prendere una direzione netta, avviando la composizione di maggioranza nuova e plurale in grado di affrontare i problemi interni e la crisi del comune sentire europeo.

Il flusso della instabilità francese è un monito anche per lo scenario politico nostrano, che da anni cerca di superare una crisi di sistema endemica. Ma c’è una differenza sostanziale: mentre da noi l’instabilità è stato il perimetro favorevole per lo svolgimento di giochi di palazzo avulsi dal tessuto socio politico, in Francia ha assunto il significato di un messaggio netto, polarizzato e foriero di conseguenze sulla coesione sociale. Gli italiani assistono, sopportano, si astengono, immersi nella palude qualunquista; i francesi danno al loro voto il senso di un percorso che non prevede sconti.

 

 

 

 

 

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