Solo a Napoli il baccalà ha saputo trovare “la morte sua”

Dagli orti campani al mare Baltico e Tirreno: lo scrittore Mimì Rea dedica due racconti ai sapori d'acqua salata

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Dai coloratissimi orti campani – fazzoletti di terra coltivati, a verdure, tra il Vomero e l’Agro sarnese-nocerino – fino al mare: il Baltico nel lontano Nord d’Europa e il Tirreno mediterraneo, nel quale si rispecchia la Campania Felix. Da questi due mari Domenico Rea tira le reti con il ‘pescato’ di due suoi racconti culinari, dedicati questa volta ai sapori d’acqua salata.

Il primo protagonista a comparire è il “veloce pesce del Baltico” che a Napoli ha un nome e una sua tradizione leggendaria: il baccalà. Accanto al baccalà e alle sue varianti – si chiama infatti pure ‘coroniello’, oppure ‘mussillo’ o ancora lo stocco (che prende il nome da “una sorta di bastone cui appendevano i merluzzi i nordici, lasciandoli essiccare”) – Don Mimì aggiunge poi una ‘cassetta’ stracolma di frutti di mare che, per varietà di generi, primeggiano nel Golfo di Napoli: murici o sconcigli; patelle o chiocciole marine; bivalve o datteri; i mitili, la cozza e il tartufo; le vongole veraci o i lupini e i cannolicchi.

Sapori e odori marini molto intensi, dal potere afrodisiaco – come nel caso dei molluschi – e che diventano addirittura leggendari; soprattutto se si vuole credere ad alcune storie a proposito di cozze e sulla trasmissione di una temutissima malattia, il tifo, agli inizi del secolo scorso. Sapori e odori ancestrali, come nel caso del baccalà, che è pesce ormai mitizzato nella memoria collettiva campana: secco o ‘sponzato’, a “scella” o a taglio, solamente a Napoli il baccalà – col pomodoro, fritto o semplicemente in bianco con olio e limone – ha saputo trovare “la morte sua”.

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