Tanti i motivi per cui un’opera può rivelarsi senza tempo: per usare le parole di Italo Calvino, “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Con il suo La fattoria degli animali (1945), opera che andò incontro a non poche difficoltà interpretative e che fu accompagnata da un’illuminante riflessione sulla censura, lo scrittore e giornalista inglese George Orwell lasciò una delle sue eredità più importanti. Eredità raccolta dalle continue, instancabili letture che si danno del romanzo, ma anche dai riadattamenti che si sono susseguiti nel corso degli anni, perché allora come oggi resta fondamentale parlare di democrazia. La fattoria più famosa dell’universo letterario è tornata in libreria lo scorso dicembre con l’editore Fanucci sotto le spoglie fumetto e ha la firma di tre artisti: lo sceneggiatore Alessandro Ruggieri, la disegnatrice di fama internazionale Yoshiko Watanabe e, in qualità di colorista, Mirko Milone. In occasione della presentazione del fumetto presso l’Università degli Studi di Salerno, abbiamo intervistato proprio quest’ultimo che, insieme agli altri autori, è oggi docente della Scuola Romana del Fumetto. Milone ci ha introdotti nel magico mondo del fumetto e nei retroscena de La fattoria degli animali, parlandoci del suo lavoro – cui si dedica con un entusiasmo contagioso – e mostrandoci anche come hanno preso vita le tavole colorate.
Com’è nato questo progetto, La fattoria degli animali? Cos’ha di particolare questo nuovo adattamento e cosa ti piace di più?
L’idea è partita dallo sceneggiatore, che ha deciso di adattare il romanzo; non ho visto volutamente le versioni precedenti per evitare condizionamenti. I personaggi li avevo in testa, me li ero sempre immaginati in un certo modo, forse perché c’era già un film d’animazione degli anni ’50, che rispecchia molto lo stile del tempo. La sceneggiatura di Alessandro si è concentrata soprattutto sulle vicende degli animali. Altro aspetto particolare è che il tratto di Yoshiko, che risente molto degli influssi anni ’80, attenua la violenza dei momenti più forti della storia, contrariamente al film d’animazione che forse a un pubblico infantile poteva risultare un po’ angosciante. Poi in generale io amo molto il suo tratto, aver potuto colorare un disegno del genere mi è piaciuto davvero tanto.
In questo caso hai lavorato come colorista. Com’è stato collaborare con Watanabe, che è una leggenda vivente del fumetto?
In generale quando lavoro da colorista, se una richiesta tecnica va a danneggiare l’effetto finale, mi sento di intervenire, se si tratta semplicemente di gusto mi impegno a seguire le direttive. Poi si possono fare sempre delle prove, dei confronti. In questo caso, Yoshiko voleva colori molto chiari.
Alcuni dei tuoi lavori precedenti sono animati da un intento didattico (come Cornelius Pallard e la pietra magica), credi che sia possibile avvicinare alla lettura dei classici attraverso il fumetto? Secondo te riesce meglio di altri generi ad avvicinare a temi che possono risultare complessi per un bambino?
Sì, secondo me nei fumetti questa componente è molto forte. Basti pensare agli opuscoli per bambini, o ai libri illustrati, che restano più impressi grazie all’elemento visivo. Quando leggi un fumetto accade lo stesso: il tuo modo di immaginare la storia si arricchisce, e le parteivisiva e testuale giocano in simbiosi in questo processo. È il caso di Topolino, che per molti si è rivelato uno strumento prezioso per imparare l’italiano, trattandosi di un approccio semplice. Forse anche perché insegno, mi ritrovo in questa funzione didattica, e cerco sempre di studiare la strada migliore per spiegare qualcosa che sembra semplice ma in realtà non lo è. Siamo abituati a pensare ai contesti scolastici con troppa serietà.
Durante la presentazione accennavi proprio alla tua esperienza positiva alla Scuola Romana del Fumetto.
A Roma ho incontrato professionisti che già lavoravano nel mondo in cui tu sognavi di lavorare, e che erano contenti di condividere con te le loro esperienze. Una realtà che consente lo scambio tra insegnanti e studenti.
E infatti si creano anche collaborazioni interessanti!
Sì, infatti! Io ho iniziato da progetti più piccoli, destinati ai bambini.
Per lungo tempo il fumetto è stato considerato a fatica un mezzo di comunicazione a sé stante, oggi è uno dei settori trainanti dell’economia. Cosa pensi di questa evoluzione?
Non sorprende, se si pensa a quanto sia accattivante l’universo Marvel cui sono ispirati molti dei fumetti di oggi. Si può avere l’impressione di andare verso una standardizzazione, ma il fumetto alla fine è come una specie di contenitore, dipende tutto dal contenuto che si desidera trasmettere e sul modo in cui lo si vuole rendere.
Hai dei modelli? C’è un disegnatore cui ti senti particolarmente vicino?
Avere dei modelli è importante, soprattutto all’inizio quando devi imparare. A me piace molto Scott Young, che ha realizzato una bellissima versione a fumetti de Il mago di Oz, di cui apprezzo lo stile umoristico. Il disegno a volte rispecchia molto il carattere, e io sono una persona molto giocosa. Poi autori italiani direi Massimo Carnevale, Corrado Mastantuono, ma ce ne sono davvero tanti.
La fattoria degli animali era tra i candidati al Premio Romics del Fumetto 2023: com’è stato partecipare? È stata la tua prima candidatura importante?
Sì, molto bello. Però io disegno perché mi piace e perché mi rende felice; pur avendo una lunga carriera alle spalle, la stessa Yoshiko si dedica tuttora al suo lavoro con un grandissimo entusiasmo. Se inizi a pensare all’esito non riesci a concentrarti sul lavoro come vorresti e a dare il meglio di te. Dopotutto, ci sono sempre nuovi progetti.