È difficile individuare, nella messa delle numerosissime manifestazioni d’arte contemporanea le cui immagini o messaggi si allineano con incalzante ritmo sugli schermi dei nostri smartphon, quale sia lo spirito che le accomuna o, certamente più provabile, le apparenti differenze. Certo è che l’arte contemporanea, con le sue molteplici declinazioni, nello scenario odierno di una società sempre maggiormente piegata ad una surmodernité nell’accezione proposta da Augé, abbia assunto quei caratteri propri di tale società, soprattutto autoreferenziale per l’eccedenza di individualismo con gli inganni che esso produce.
L’esperienza di “Città incrociate \ Cross-Cities”
per dare risposte alle nuove generazioni creative
Partendo da questa personale visione, scevra da qualsiasi dualismo con le nuove generazioni di curatori, ritengo che vi sia la necessità di approfondire effettivamente l’incontro con quando accede nel mondo, non solo dell’arte, e trovare in esso il carattere, la cifra, l’anima del contemporaneo, così come agli inizi del nuovo millennio avvertiva Agamben: “Contemporaneo è colui che riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo”.
È su questo orizzonte etico che mi sono confrontato con la proposta che la Compagnia di Resistenza Artistica (CREA), un’associazione no-profit, ha avanzato dapprima con l’impianto programmatico del suo manifesto trovando, poi, la prima realizzazione nella manifestazione “Città Incrociate \ Cross-Cities”, allestita, nei giorni del solleone del 2019, negli spazi delle Cantine storiche Mustilli a Sant’Agata De’ Goti. Una manifestazione che ha saputo dare risposta a quell’energia propria delle nuove generazioni della creatività, dando vita ad un’esperienza collettiva, di comunità intesa quale organico di molteplici linguaggi. Concetto che è ben evidenziato nelle linee programmatiche delle azioni che la CREA intende portare avanti nel futuro, quale “movimento spontaneo – si legge nel manifesto – di liberi pensatori con il desiderio di realizzare una prima réunion di artisti sul tema della resistenza culturale ovunque nel mondo e a sostegno di un rafforzamento dell’importanza sociale e umana dell’arte, contro la diffusione di un pensiero generale di stillicidio creativo e di modelli socio-economici reiterati”.
“Città Incrociate \ Cross-Cities” è stato un evento inclusivo e privo di qualsiasi autoreferenzialità, tantomeno di un’egemonia linguistica. È stata, scorrendo le immagini dei backstages, delle performances e delle installazioni che hanno scandito i tempi delle giornate a Sant’Agata De’ Goti, un’azione corale, dialogica, costruttiva sul piano della libertà espressiva e comportamentale, senza ricercare l’effetto esplosivo o la meravigliosa banalità propri dell’accecante scena artistica internazionale. Testimonia, cioè, l’identità della missione dell’arte, vale a dire, affermava Bauman, “di ispirare e spingere le persone a continuare il lungo viaggio verso l’idea di dignità umana”.
La proposta che viene dal borgo medioevale, baluardo tra l’area casertana e i monti e le valli del Sannio, mira a riaffermare l’identità esistenziale dell’artista e con essa il valore etico che l’arte ha nel suo statuto, nella sua natura di processo cognitivo delle generazioni che si susseguono: processi che si calano nelle ombre del proprio tempo e non cessano di interpretarle. Una proposta quindi rivolta non solo al multiforme mondo dell’arte, quando anche della critica che, non sempre, riesce a svincolarsi dalla celebrazione del proprio individualismo.
Gli emergenti orizzonti e ruoli della critica
nel mutato scenario della contemporaneità
Anni fa, intervenendo al convegno “La Critica oggi” promosso nella primavera del 2014 dall’Accademia Nazionale di San Luca e dalla Triennale di Milano, ho cercato di porre l’attenzione sul ruolo della critica, ponendomi la domanda: “Cosa può o potrà la critica in un uno scenario addivenire?”. Domanda che continua a farsi largo nella mia quotidiana azione sia di docente, sia di storico e critico d’arte militante, cioè coinvolto in prima persona nell’elaborazione e nella partecipazione a processi creativi ed espositivi.
Ponendo l’attenzione a immaginare un ‘futuro’, torna oggi utile una riflessione su quanto è stato negli anni ottanta e novanta, segnati da una condizione postmoderna, non per verificare le oscillazioni teoriche che hanno poi trovato, in più casi, la loro vuotezza, tanto meno per tentare di accreditare traiettorie di coerenza, quanto per comprendere il processo di livellamento globalizzato (di dismissione dell’identità), degenerazione del protagonismo di una critica che ha consacrato la decadenza di un secolo oramai giunto al capolinea. Esperienze che hanno disperso, nelle maree di opportunità solo spettacolari, l’identità che è propria dell’arte che si salda alle prospettive dell’uomo. All’impero dell’ideologia che, dopo il Sessantotto, scandiva i toni del dibattito ha fatto seguito una critica comparsa con irruenza sulla scena più celebrata dei media, la televisione, luogo ascensionale della necessità di una continua autocelebrazione ai fini dell’accreditamento nelle sfere alte del sistema dell’arte e per esso il punto terminale rappresentato dal mercato.
L’affermazione di una identità esistenziale
che interpreti le interrogazioni sul futuro
Lo scenario della contemporaneità ha paesaggi mutevoli e molteplici dai quali guardare la contemporaneità, anche se la scena di fondo resta la città con i suoi ritmi accelerati, i suoi conflitti come li aveva inquadrati Mitscherlich che si annidano nelle laiche ritualità oggi ancora più estese all’etere. Entrare in questa sfera, malgrado tutti i vantaggi che essa comporta, significa piegarsi al dominio delle idee (oggi la stratosfera creativa) e delle conoscenze assunte però, avvertiva Rifkin, unicamente quali “principali generatori di ricchezza”. Conflitti che amplificando il degrado delle relazioni sociali, coinvolgono le esperienze dell’arte, il cui proposito di disporsi e disporre in ‘comunicazione’ diventa precario. Va, inoltre riconosciuto, alla velocità delle frequenze che attraversano o abitano lo spazio telematico, divenuto la vera scena dell’attualità, di far vivere effettivamente il tempo reale dei processi in corso, anche quelli più inquietanti come le immagini visualizzate da bombe dirette sul bersaglio, trasmesse sul piccolo schermo come trionfo comunicativo dei focolai di guerre attivi in più parti del globo terrestre e che sollecitano, esponenzialmente, l’immaginazione dell’uomo del terzo millennio. Alla luce di tali premesse torno a chiedermi: “Cosa può o potrà la critica in un uno scenario addivenire?” Ciò sia rispetto alla perdita della sua identità nel dialogo del pressante affermarsi dei nuovi media, sia riguardo alla scompaginata prospettiva che si propone nell’attualità, nell’odierno scenario ove si segnala l’urgenza di una effettiva azione che richiami in sé una partecipazione non verticistica, calata dall’alto e quasi sempre auto celebrativa, bensì pronta a porsi come compartecipe di un processo di comprensione, che non significa di traduzione o d’interpretazione estetologica, quanto di un’affermata identità esistenziale nel proprio presente. V’è la necessità di un’arte che, come ha richiamato in più occasioni Jean Clair nel suo Inverno dell’arte, si sganci dall’orizzonte dell’economia che ha piegato la storia, avvertiva François Furet in chiusura di secolo scorso, all’oscillazione quotidiana della borsa, riportando l’arte al suo valore d’uso, di testimonianza. L’identità dell’arte, della critica, così come quella dell’artista dovrà rispondere ad un’effettiva e partecipata necessità esistenziale, interrogandosi sul futuro, sul destino che la propria esperienza testimonia e testimonierà.
Resistere! Resistere! Resistere! Se vogliamo costruire speranza dobbiamo resistere.