Il film di Marco Bellocchio “Rapito” ha riportato alla ribalta la vicenda di Edgardo Mortara, il bambino ebreo sottratto alla sua famiglia in quanto battezzato in ossequio alla legislazione dello Stato Pontificio ancora vigente a Bologna nel 1858. L’autore di un simile “misfatto” è da individuarsi in Pio IX, ultimo papa-re, che sulla questione non ammise cedimenti di sorta. Indubbiamente, alla sensibilità contemporanea tutto ciò osta, specie se a livello legislativo sia proclamato il principio per cui «il minore ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia». Tuttavia, a ben vedere, questo principio conosce anche oggi frequenti deroghe nella giurisprudenza dei Tribunali dei minori, se non in nome di presupposti religiosi, talvolta in nome di dogmatismi ideologici. Al di là di ciò, Bellocchio restituisce la vicenda in tutta la sua complessità, delineando anche il contesto storico che la origina e che si riverbera nella personalità di Edgardo Mortara, il quale, dopo il battesimo amministrato in articulo mortis e l’iniziazione catechetica, abbraccia con convinzione il cattolicesimo diventando sacerdote e restandolo per tutta la sua lunga vita. Lo stesso sarcasmo con cui a tratti è proposta la figura di Pio IX può essere letto come trasposizione della rappresentazione che di quel papa ha dato il Risorgimento nazionale, alla cui vignettistica il regista attinge a piene mani.
Il caso Mortara, al di là del contesto storico, è tuttavia rivelatorio del rapporto mai risolto tra Cristianesimo ed Ebraismo. Sino a Giovanni XXIII era in uso la locuzione Judaica perfidia nella preghiera universale del Venerdì Santo, che, spogliata della sua immediata assonanza italiana, sta più semplicemente ad indicare l’infedeltà al patto stabilito. Il latino un tale significato attribuisce a perfidus, come di chi viene meno alla parola data. E l’espressione più volte è evocata nel film, quasi a rimarcare un’idiosincrasia del Cattolicesimo per l’Ebraismo. Il Concilio Vaticano II con la dichiarazione Nostra aetate ha definitivamente rigettato l’accusa generalizzata di deicidio, che «non può essere applicata a tutti gli ebrei di allora, né tantomeno a quelli di oggi» e ha ribadito la comune discendenza nella fede da Abramo di ebrei e cristiani. Il documento del Concilio non affronta però una questione essenziale, strettamente connessa al tema della perfidia, la teoria detta della sostituzione. Secondo questa teoria l’alleanza stipulata da Dio con il popolo ebraico sarebbe stata integralmente sostituita da quella suggellata dal sacrificio di Cristo. Tuttavia, è solo nel 1980 che, nella sinagoga di Magonza, Giovanni Paolo II proclamerà l’alleanza con il popolo ebraico irrevocabile da parte di Dio.
Un contributo di Benedetto XVI del 2018, “Grazia e chiamata senza pentimento. Osservazioni sul trattato «De Judaeis»”, ripubblicato nella silloge postuma “Che cos’è il Cristianesimo”, ha rilanciato la questione. Senza infrangere l’argomento dell’irrevocabilità da parte di Dio dei suoi doni, Ratzinger analizza a fondo la portata di quest’affermazione individuando alcuni aspetti che mettono in tensione problematica le due fedi. Promessa e Messia, culto e intelligenza delle Scritture rappresentano altrettanti aspetti che il Cristianesimo mutua dall’Ebraismo attribuendo loro significati radicalmente nuovi che giustificano una sostituzione quanto meno relativa a questi. Infatti, la promessa della terra che per gli ebrei è il segno della loro elezione sin dai tempi di Abramo per Ratzinger non può essere posta a fondamento del moderno Stato d’Israele, che invece nasce sul diritto naturale di un popolo a possedere un proprio territorio, nel caso di specie anche coincidente con le sue stesse scaturigini storiche. La stessa promessa nel Cristianesimo non produce però un principio di possesso mondano della terra, ma è piuttosto una prospettiva futura che «relativizza l’appartenenza ai diversi paesi». Lo stesso Messia ebraico, apportatore della pace, non trova conferma nella figura del Cristo, il cui avvento inaugura per l’uomo il “tempo della libertà” in attesa della rivelazione della “verità tutta intera” alla fine dei tempi. Anche il culto del tempio, cessato con la conquista e distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. e mai più ripristinato, sin dai primordi del Cristianesimo è stato letto come definitivamente compiuto nel sacrificio della Croce che si perpetua nella celebrazione eucaristica. E a ciò ha condotto un’interpretazione delle Scritture in chiave cristologica il cui velo è stato tolto solo nel raffronto con l’agire storico di Gesù.
Quando il saggio di Ratzinger apparve sulla rivista Communio suscitò in Germania quelle “grida assassine” che indussero il papa emerito a rinunciare definitivamente alla pubblicazione di alcunché in vita. L’accusa da parte cristiana fu di aver seriamente compromesso il dialogo tra le due parti. Non così fu interpretato da parte ebraica al punto che il rabbino capo di Vienna Ariel Folger, sul presupposto ratzingeriano che «a umana previsione questo dialogo non porterà mai all’unità delle due interpretazioni all’interno della storia corrente. Questa unità è riservata a Dio alla fine della storia», avviò uno scambio epistolare sul tema con Benedetto XVI. Il punto di convergenza fu trovato nell’impegno comune «per incrementare le sensibilità morali della società e così proteggere meglio i credenti e la loro libertà religiosa». Quest’impegno, proprio in questi giorni, ha condotto il Dicastero vaticano per la promozione dell’unità dei cristiani e il Gran Rabbinato d’Israele ad emettere una dichiarazione congiunta su “ciò che è proibito, consentito e obbligatorio” con solenne conferma del divieto di eutanasia e suicidio medicalmente assistito.
Ratzinger aveva affidato le conclusioni del suo saggio alle parole di Paolo della II lettera a Timoteo, il testamento dell’apostolo: «Se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso». Sulla questione della fedeltà di Dio a sé stesso nelle sue varie alleanze, sia con ebrei sia con cristiani, si deve leggere anche la vicenda di Edgardo Mortara pur nel contesto storico che l’ha generata.