“Nell’Albergo dei Poveri, se non si conosce qualcuno che ci vive o ancora ci lavora, si è clandestini. Sul pavimento, avanzi di notte passate all’addiaccio dai poveri tornati dal passato, quelli che non conoscono Carlo III e cercano solo un tetto tra loro e le stelle. Il colore rosa, però, è quello originale”.
Cosa resta oggi del Real Albergo dei Poveri? Cosa è diventata, nella Napoli contemporanea, quell’imponente costruzione voluta da Carlo III a metà del Settecento (e che s’affaccia proprio sulla piazza dedicata al sovrano) mai portata a termine nel monumentale progetto cominciato da Ferdinando Fuga (molti ancora chiamano la struttura “Palazzo Fuga”), poi continuato da Carlo Vanvitelli e da altri architetti? Inizialmente l’albergo doveva funzionare da “ospizio” per accogliere i poveri, gli “inguardabili” della città. Nei secoli a seguire ha avuto, invece, le destinazioni d’uso più diverse: a servizio del tribunale dei minorenni e come istituto rieducativo per i giovani condannati; ha ospitato scuole di mestieri e di musica; vi hanno trovato sistemazione temporanea officine meccaniche, una palestra, i distaccamenti di una sezione dell’Archivio di Stato e dei vigili del fuoco. E ancora, tanti sono stati i progetti pensati (e purtroppo mai realizzati) per il “serraglio”: la possibilità di offrire nuove aule studio alle facoltà universitarie del capoluogo campano; l’allestimento di ambienti di aggregazione sociale per la “Città dei giovani”; un’ipotesi per il trasferimento dalla sede di Palazzo Reale della Biblioteca Nazionale, insieme con spazi condivisi da dedicare a manifestazioni ed eventi culturali.
Intanto, resiste ancora lì – in piedi nel cuore di Napoli – la sagoma del grande “Palazzo” con i suoi immensi 430 ambienti sistemati su quattro piani. Sulla facciata 400 finestre si aprono sulla piazza mentre all’interno, per nove chilometri lineari, si perde il conto del numero infinito di corridoi.
“L’Albergo, progettato per contenere fino a 8.000 internati (allora numericamente pari agli abitanti di una cittadina di media grandezza), oggi ospita solo 84 famiglie per un complesso di circa 800 persone che lo hanno occupato per la loro abitazione”. Questo dato numerico dei giorni nostri lo segnala opportunamente il sociologo Domenico De Masi nelle prime pagine della prefazione al volume (a cui si aggiunge una presentazione a firma del ministro alla Cultura Gennaro Sangiuliano) subito dopo aggiungendo che “bene hanno fatto la scrittrice Stella Cervasio e il fotoreporter Riccardo Siano a certificare con scrupolosa professionalità la più recente epifania di questo colosso architettonico che troneggia da più di due secoli nella topografia e nella vita della città, quasi rappresentandone una dolente metafora”.
Di fatto, solo poche persone avrebbero forse potuto raccontare meglio di Stella Cervasio – nella sua doppia veste di scrittrice e giornalista – e di Sergio Siano (fotografo e fotoreporter, perché le due cose non sono sempre ‘sovrapponibili’) il percorso, un transito “sentimentale”, compiuto attraverso il perimetro murario di questa città nella città. Nelle voci e nelle sagome degli abitanti invisibili del Palazzo-microcosmo, tra passaggi interni e qualche “asteco a cielo”, il Taccuino dal serraglio si legge, infatti, come un resoconto di un labirintico viaggio innanzitutto ‘interiore’; oppure nella più tradizionale misura di genere del reportage narrativo – cogliendo le suggestioni letterarie sparse fra gli ‘appunti’ assemblati nei fogli del libro-taccuino – che s’impreziosisce col corredo visivo degli scatti di Siano. È sempre la narrazione della stessa storia, tradotta adesso per immagini, accanto alla versione scritta. Con la consapevolezza che l’ennesimo racconto dell’Albergo dei Poveri non sarà l’ultimo, non potrà essere quello definitivo: “L’aver attraversato gli spazi del tempio mentale di Ferdinando Fuga lascia l’inquietudine di voler e non poterci tornare. Chi abita sulla collina che guarda le diverse parti dell’edificio ne può scorgere frammenti scomposti. L’integrità non appartiene più all’edificio che fu destinato al ripristino dell’integrità morale. Ma l’infinito è usato impropriamente. Riuscire a posare i passi ancora su quelle pietre non sa mai di definitivo”.
Stella Cervasio, Taccuino dal serraglio. Nel labirinto dell’Albergo dei Poveri, foto di Sergio Siano, Napoli, Langella Edizioni, 2023, pp. 188.