«A tal segno progredì la spirale atroce della lotta civile; e sanguinò più acerba la ferita inflitta alla coscienza del mondo, poiché fu quello il primo di una catena lunga d’orrori che in un progresso di tempo implicò e travolse fino agli estremi confini, si può dire, l’universo greco. Dovunque si ergevano armati, l’uno contro l’altro, i condottieri dei partiti popolari e di quelli oligarchici (…). Quando splende la pace e l’economia è florida, le città e i privati godono di più limpidi intelletti, poiché non sono ancora inchiodati a fronteggiare ristrettezze implacabili. La guerra invece, che strappa dalla vita il quotidiano piacere della prosperità, è una maestra brutale e sa porre a modello, per orientare e accendere le passioni della folla, le circostanze del momento. (…) La temerità irriflessiva acquistò valore d’impeto eroico al sacrificio per la propria parte; la cautela accorta di maschera decorosa, per panneggiare uno spirito vile. La prudenza fu ritenuta un ripiego per celare la paura, spregevole in un uomo; l’intelligenza sollecita a scrutare ogni piega di un problema fu spacciata per totale inettitudine all’azione. Si valutò la furia selvaggia e folle qualità veramente degna di un ingegno virile; il ponderare guardinghi gli elementi di un’iniziativa, per dirigerla sicuri, onesto schermo per ripararsi nell’ombra. Il sordo ringhio della critica, del malcontento, ispirava sempre fiducia; ma la voce che si levava a contrastarlo si spegneva ogni volta nel sospetto. Operare un tradimento con mano pronta e felice pareva indizio di svelta mente, e prevenirlo un traguardo di destrezza anche più fine. Sulla meditata rinuncia a uno di questi metodi s’addensava l’accusa d’essere un fattore d’eversione per il proprio partito, e il frutto dello spavento di fronte all’avversario. In una parola, anticipare il collega di parte in una triste impresa era alta lode come eccitarvelo, se non ne aveva ancora concepito il progetto. Perfino al vincolo del sangue si riconosceva minor vigore che a quello di parte, poiché questo concedeva più sconfinato agio a un ardimento senz’altro sciolto dall’obbligo d’accampar pretesti. Giacché sodalizi di tale carattere non sorgono con filantropici intenti, nel rispetto dell’ordine legale, che anzi calpestano per dissetare l’immorale febbre di potere. E le affermazioni di lealtà scambievole non si radicavano nel benedetto terreno delle leggi rese sacre dalla volontà divina, ma nella complicità cosciente d’innumerevoli soprusi.»
Tucidide, La guerra del Peloponneso, Libro III, paragrafo 82 (traduzione di Ezio Savino)