Pizza marketing: tra gloria social e concrete passività

La difficile convivenza tra l'illusione della popolarità e le concrete passività: l'era digitale ha trasformato la comunicazione degli chef, ma ha anche svelato le fragilità di un sistema che premia l'apparenza e la visibilità. Il futuro dipende dalla capacità di bilanciare l'arte culinaria con le esigenze del marketing digitale, trovando un equilibrio sostenibile tra fama virtuale e realtà economica

Tempo di lettura 3 minuti

Sono un cultore di pizza napoletana di vecchia data e sono stato sorpreso dal bailamme digitale che c’è da qualche anno intorno a questo mondo culinario. In Italia c’è stato un salto di qualità generale, tant’è vero che oggi (sempre cum grano salis, però!) anche a Roma, Toscana, Lombardia e perfino in Veneto, c’è la possibilità di poter mangiare una buona pizza napoletana fatta con ingredienti campani: lo attesta “50 Top Pizza” la piattaforma digitale specializzata nel tenere altissimo il livello delle pizzerie italiane e non solo; a noi campani (cosiddetti pizza-native con la puzza sotto al naso) sembra assurdo ma anche in Giappone, USA, Australia ci sono pizzerie che rispettano decentemente i canoni napoletani.

Negli ultimi anni, il panorama gastronomico italiano ha assistito a un fenomeno singolare: l’ascesa dei pizzaioli sui social media. Piattaforme come Trip Advisor, TikTok e Instagram sono diventate i nuovi palcoscenici dove i pizzaioli mettono in mostra le loro creazioni, sfidandosi a colpi di like, recensioni e followers. Questa nuova era dei pizzaioli social rappresenta non solo un’evoluzione della tradizione culinaria, ma anche un interessante caso di studio sociologico, svelando le luci e le ombre di una notorietà digitale che, spesso, ammanta difficoltà economiche rilevanti.

L’avvento dei social media ha radicalmente trasformato il modo in cui i pizzaioli interagiscono con il loro pubblico; pochi anni fa la fama di un pizzaiolo era strettamente legata alla qualità delle sue pizze e al passaparola, oggi, una singola foto o un video virale può lanciare un pizzaiolo nell’Olimpo dei food influencer.

Piattaforme come TikTok e Instagram offrono ai pizzaioli strumenti potenti per la promozione delle loro creazioni. Brevi video che mostrano tecniche di impasto innovative, ingredienti di alta qualità e pizze artisticamente decorano catturano l’attenzione di milioni di utenti. I pizzaioli, ormai veri e propri chef mediatici, sfruttano queste piattaforme per costruire un brand personale, attrarre nuovi clienti e fidelizzare quelli esistenti.

La rivoluzione digitale dei pizzaioli

Tuttavia, dietro il glamour dei social media, si nasconde una realtà combattuta; molti pizzaioli investono ingenti somme di denaro in attrezzature, ingredienti di qualità e strategie di marketing per mantenere alta la loro visibilità online, ma non solo: devono essere attrezzati, per la gestione dei clienti, come veri e propri ristoratori di classe; il che significa che non si dà più un servizio alla buona, ma si punta in alto con un maître di sala, camerieri e una cucina di livello… senza contare il pizzaiolo -punto dolentissimo- che se non coincide con la proprietà della pizzeria, sono dolori di paga e fuori busta. Tutto ciò porta a indebitamenti significativi verso dipendenti e fornitori… ed è noto che proprio questi ultimi ritengano i pizzaioli una categoria sopravvalutata e a rischio, visto i pagamenti ballerini e le tante pizzerie che hanno chiuso i battenti… e che stanno per farlo.

La pressione per mantenere un’immagine perfetta e ottenere costantemente feedback positivi può essere schiacciante. I pizzaioli devono affrontare una competizione feroce non solo a livello locale: è facile che si facciano anche 100 km per provare una pizzeria esaltata sui social. Questo crea un ambiente stressante, dove l’insuccesso può avere conseguenze economiche devastanti. Essere un pizzaiolo di successo sui social media è il nuovo status symbol, infatti la popolarità online conferisce una certa autorità e rispetto, trasformando i pizzaioli in celebrità. Questo cambiamento riflette una società sempre più digitalizzata, dove la visibilità sui social media è spesso considerata sinonimo di successo professionale. Il fenomeno dei pizzaioli social è anche indicativo di un cambiamento nel modo in cui consumiamo la cultura gastronomica: i social media permettono di condividere istantaneamente esperienze culinarie, creando una cultura globale del cibo. Le pizze, con le loro infinite varianti, diventano un linguaggio universale che unisce persone di cultura e background diversi.

L’illusione del successo facile: monetizzazione e guadagni

Nonostante tutto i social media offrono opportunità di guadagno significativo; se ci si sa fare si possono aprire business insperati fino a ieri; collaborazioni con brand, sponsorizzazioni, possibilità di vendere prodotti pronti ai follower… sono solo alcune delle strategie utilizzate per monetizzare la popolarità. Tuttavia, queste opportunità richiedono un investimento continuo in organizzazione, la vecchia pizzeria non esiste più, oggi si è azienda di servizi perché la competizione è spietata e mantenere l’attenzione del pubblico richiede un impegno costante e una creatività senza limiti.

Il fenomeno dei pizzaioli social rappresenta quindi un interessante paradosso: da un lato, offre opportunità per raggiungere il successo e la notorietà, mentre dall’altro, pone sfide economiche e psicologiche considerevoli. Questa nuova era digitale ha trasformato il modo in cui essi interagiscono con il loro pubblico, ma ha anche svelato le fragilità di un sistema che premia l’apparenza e la visibilità, e il futuro dipende dalla capacità di bilanciare l’arte culinaria con le esigenze del marketing digitale, trovando un equilibrio sostenibile tra fama virtuale e realtà economica.

In altre parole quell’antica meraviglia nata ufficialmente (ma già esistente, con forme e cotture diverse, dal 997) verso gli inizi del 18 secolo, fatta con “Pasta crisciuta, pummarola frisca, vasenicola… e si n’gio vvò ‘nu poco e cas’e pecura” (cit. Vocabolario domestico di Vincenzo Corrado, 1773) rimarrà sicuramente tale, ma avrà bisogno di servizi specializzati di organizzazione e comunicazione, poiché sarà essenziale sviluppare modelli di business sostenibili che riducano il rischio di indebitamento e trovare un equilibrio tra innovazione e tradizione, mantenendo l’autenticità delle ricette tradizionali e sperimentando nuove tecniche di presentazione: tutto ciò sarà cruciale per rimanere in un mercato che già oggi è più che saturo e dove sarà sempre più difficile rispettare i livelli promessi sui social, facendo allo stesso tempo utili indispensabili per andare avanti.

Carlo De Sio

Laurea in Scienze Politiche ed Economiche, Master in Psicologia sociale e P.R, ha lavorato nella Comunicazione d’impresa e nelle Relazioni Pubbliche per oltre 40 anni; dal 2015 è impegnato in attività di Lobbying indipendente in Italia e all’estero. Ha fatto parte dei direttivi di Organismi nazionali quali ACPI-Milano, FERPI-Milano e Confindustria. E’ iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1999

Previous Story

Effetto Ripley: se la serie tv fa marketing territoriale

Next Story

Il marketing a rovescio: farmaci brandizzati vs equivalenti