Pier Paolo e Alberto, amici vicini e lontanissimi: un miracolo

Nel suo libro "Pasolini/Moravia / Due volti dello scandalo", Renzo Paris mette a confronto queste due persone che considera la sua famiglia elettiva, nonché gli “ultimi fuochi del Novecento”. Secondo Paris il loro ventennale rapporto testimonia che si può essere veramente amici pur non trovando accordo su niente: ”Non sul Terzo Mondo, sull’impegno, sul comunismo, sul neocapitalismo; non sul sessantotto e il femminismo, non sugli Stati Uniti, non sull’aborto e sul divorzio e non avevano idee comuni sulla lingua italiana, sul cinema, perfino sul calcio”

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Pasolini e Moravia nella serata conclusica del Premio Strega del 1960

“Mentre scrivo, le loro ombre sono nella mia stanza, a sorvegliare la mia sofferenza” (Renzo Paris)

Nei suoi 53 anni di vita Pier Paolo Pasolini ebbe molte amicizie, con uomini donne e omosessuali.

Su uno dei miei taccuini annotai da ragazza un suo aforisma: “Noi non ci pensiamo, ma in fondo è sempre un miracolo incontrarsi”.

Fu molto amato e molto intensamente amò, a iniziare da sua madre, prima forza ispiratrice dell’arte poetica espressa in tutte le sue opere. Ebbe anche una partner che tutti i suoi amici, e lui stesso, considerarono una moglie spirituale e carnale se non per il letto, Laura Betti (che gli preparava piatti succulenti di cui Pasolini era molto goloso), che ne promulgò la vita e lo spirito sino alla fine (visse 24 anni più di lui).

Nel suo libro Pasolini/Moravia / Due volti dello scandalo, Renzo Paris mette a confronto queste due persone che considera la sua famiglia elettiva, nonché gli “ultimi fuochi del Novecento”.

Secondo Paris il loro ventennale rapporto testimonia che si può essere veramente amici pur non trovando accordo su niente: ”Non sul Terzo Mondo, sull’impegno, sul comunismo, sul neocapitalismo; non sul sessantotto e il femminismo, non sugli Stati Uniti, non sull’aborto e sul divorzio e non avevano idee comuni sulla lingua italiana, sul cinema, perfino sul calcio”.

Eppure la loro amicizia andò avanti senza alti e bassi né interruzioni, sorretta anche da una sana invidia. Pasolini invidiava a Moravia la lucidità e la disciplina; Moravia invidiava a lui la poesia e il lasciarsi andare alla promiscuità e agli sprazzi di gioia degli omosessuali.

Paris: ”Erano così diversi da non farsi ombra. Al tempo della guerra fredda sembravano due potenze letterarie, l’un contro l’altra armata. Il ring era la pagina culturale dei giornali, il cartaceo che allora era indiscusso. Giocavano a chi fosse più intelligente, senza esclusione di colpi”.

Entrambi instancabili nel lavoro, indifferenti a qualunque tipo di droga, persino alle sigarette. Moravia si alzava all’alba, e cominciava a ”zappare con le sue dita lunghe e nervose” sulla macchina da scrivere. Pasolini diceva che i suoi ritmi erano quelli di un impiegato statale. Scriveva sino alle undici, dodici del mattino, poi indossava una delle sue famose cravatte e riceveva i giornalisti. Un pasto frugale e nel pomeriggio a guardare anteprime di film (che poi recensiva in una rubrica che teneva su l’Espresso), con Dario Bellezza o lo stesso Paris.  Si recava spesso a Sabaudia, dove aveva una villetta che guardava il Circeo. Nonostante il mal di schiena e la gamba claudicante, trascorreva ore a frugare nella sabbia a caccia di telline di cui era ghiotto. La sera, pur se annoiato, brillava nei salotti romani con un bicchiere in mano, ma a mezzanotte come Cenerentola andava via.

A quell’ora invece iniziavano le scorrerie Pasoliniane nella Roma più depravata, quelle per cui la madre Susanna non chiudeva occhio. Prima della curiosità, prima dell’intelletto, Pier Paolo in quelle notti doveva far ardere il corpo, alla sua maniera. Dopo i timidi anni della giovinezza il suo pudore era andato praticamente a farsi benedire. Bellezza dichiarava di essere morbosamente attratto da Pasolini proprio per il suo coraggio di gettare in faccia al mondo la sua omosessualità, quasi a volerla imporre.

Suo cugino (di Pasolini) Nico Naldini nel memoir Come non ci si difende dai ricordi, racconta che la notte Pier Paolo era solito “dragare giovani marchette nei giardinetti davanti alla stazione Termini”.

Vivendo la notte, la mattina dopo Pier Paolo si alzava tardi. Aveva anche da dedicare il pomeriggio ai set cinematografici, però riusciva ugualmente a pranzare spesso con Moravia, per lo più da Rosati, insieme alla moglie di lui Elsa Morante, che li aveva fatti conoscere, e che nei battibecchi tra loro pendeva sempre per Pier Paolo.

Eterno motivo di contesa, il parlare sull’America. Moravia ci era andato sin da giovane, dopo il successo de Gli indifferenti, e continuava a guardarla come un grande Paese dalle grandi opportunità. Diverso era l’avviso di Pasolini. E un gran parlare anche sull’India e l’Africa. In India andarono insieme, in un viaggio durato due mesi, Pier Paolo, Alberto ed Elsa. Anche li, un eterno contendere tra Pier Paolo ed Elsa da una parte, ed Alberto dall’altra. Premesso che tutti e tre ritenevano l’India un paese profondamente religioso, l’atteggiamento freddo di Moravia di fronte alla estrema povertà del popolo sembrava cinico agli altri due, empatici per eccellenza.

La Morante si inviperiva contro il marito, andava in albergo a preparare le valigie per partirsene, poi arrivava Pasolini e la convinceva a restare. Il matrimonio tra i due scrittori era alla frutta ed Elsa aveva già per amante un giovane americano, il che non era un mistero per nessuno. Di ritorno da quel viaggio si sarebbero lasciati e Moravia avrebbe scelto la principessina Dacia Maraini, molto più giovane di lui.

Quando, la mattina del 2 novembre 1975, Paris seppe della morte di Pasolini, chiamò subito Moravia e gli annunciò di passarlo a prendere per andare all’Idroscalo. Moravia era prostrato. Le sue prime parole furono: “Ma non poteva fare come Luchino Visconti, che i suoi ragazzi li riceveva a casa?”

Al funerale di Pier Paolo, in mezzo a una folla oceanica che chiedeva giustizia,  gridò con tutta la voce che aveva in gola che era morto un poeta civile e che di poeti civili ne nascono 3-4 ogni secolo.

L’ipotesi fortemente sostenuta da Laura Betti e non solo, anche se non condivisa dall’erede di Pasolini Graziella Chiarcossi ed altri come Dario Bellezza, era che ad armare la mano di Pelosi e i suoi complici fosse stato Ordine Nuovo, lo stesso Ordine Nuovo che tre anni dopo, in seguito ai numerosi articoli di fuoco scritti da Alberto sulla morte di Pier Paolo, minacciò anche lui di morte. Moravia comprò una pistola ed ogni notte la teneva sotto il cuscino, con grande timore dei suoi amici che potesse scappargli un colpo. Qualcuno in strada era sempre appostato a spiarlo, così si decise a chiedere al ministro dell’Interno Cossiga una scorta, che Cossiga approvò. Infine scelse di trasferirsi per un po’ a Venezia, anche perché il rapporto con Dacia Maraini si era anch’esso consumato…

Moravia visse 15 anni oltre la morte di Pier Paolo, ma mai si rassegnò al “sacrificio tribale” del suo amico, e nemmeno Elsa Morante, che però scelse di non intervenire pubblicamente, se non al processo contro Pino Pelosi, quando scrisse la poesia A Pier Paolo Pasolini in nessun luogo:

…La tua vera diversità era la poesia

…In realtà loro sono contro-natura

E tu sei natura. Poesia cioè natura

Per rimarcare le differenze tra l’inquieto e malinconico Pasolini e il distaccato Moravia (che affermava di non aver fatto altro nella sua vita che far sbollire i sentimenti), Paris racconta anche aneddoti riguardanti la loro vita circondata da amici. Molti riguardano Laura Betti, donna creativa, impetuosa, passionale, gelosissima di Pier Paolo, naturalmente soprattutto di Ninetto D’Avoli, ma anche delle sue muse Elsa Morante, che Betti sosteneva fosse un “oma”, e di Maria Callas, riguardo alla quale asseriva che Pasolini la utilizzasse nei suoi film solo per sfruttare la sua notorietà internazionale. Paris la descrive come “una pioniera sopravvissuta della contestazione, bambina fiera della sua vecchiaia, una ambiguità tutta d’un pezzo”. Il suo memoir su Pasolini s’intitola Teta Veleta e secondo Paris è sul filo dell’autoanalisi, dell’autobiografia ironica e fantastica. Betti:

“…Elsa è bella perché ha una testa piena di serpentelli attorcigliati ed è tutta attorcigliata anche lei. Elsa dice che io e Pierpaolo dobbiamo fare dei figli e che spesso siamo indecenti perché è come se scopassimo e poi non scopiamo perché abbiamo paura. E poi Elsa dice che io sono una piccola borghese che poi vuol dire che sono una vacca….”

Mi preme precisare, per chi non lo sapesse, che Teta Veleta è il nome che Pasolini aveva dato alla sua vita ambigua. Parole sue:

” La mia vita ambigua non aveva un nome ma era così forte che dovetti inventarglielo io: fu Teta Veleta, e lo scrivo tremando, tanto mi fa paura questo terribile nome inventato da un bambino di tre anni innamorato di un ragazzo di tredici, quasi un nome da feticcio, primordiale ma carezzevole e disgustoso… “

Betti scrisse inoltre: Pasolini, cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, che presentò nei circoli culturali di mezza Italia. E poi spedì i suoi amici a presentare i film di Pasolini in tutto il mondo, per mantenerne vivo il ricordo.

In effetti il bel libro di Paris non è scritto solo per mettere a confronto i due volti dello scandalo che furono Pasolini e Moravia (a proposito di scandalo, Moravia sosteneva che i Promessi sposi fosse un’opera di propaganda mirante a rendere il cattolicesimo l’ideologia dominante), ma anche per narrare quegli anni 60 e 70 visti da dentro una cerchia di intellettuali di cui lui stesso faceva parte: e poi Enzo Siciliano, Carlo Emilio Gadda, Dario Bellezza, Sandro Penna, Franco Fortini e tanti altri.

Nel 1965 grazie alla rivista Nuovi Argomenti, che entrambi dirigevano, l’amicizia tra Pasolini e Moravia si rafforzò ulteriormente. Diversi sì, ma entrambi avevano per figli i loro libri, i loro articoli. Moravia raccontava sempre di quando era entrato nel suo studio un “timido ragazzo con il naso rincagnato”, per lasciargli un romanzo che stava scrivendo sulle borgate. Non gli lasciò nemmeno un recapito e Moravia, visto che lo scritto gli era piaciuto, aspettò con impazienza di rivederlo, il che accadde dopo svariate settimane.

Pur tra tanti intellettuali, però, il trio perfetto rimase sempre quello di Pasolini, Moravia, Morante. Pasolini discuteva con Alberto trovandosi in disaccordo su tutto, ma quelli che temeva di più erano gli strilli della Morante quando gli rimproverava che lui non conosceva l’amore, che non potevano le marchette essere l’amore. Poi si calmava e facevano pace e lui la appellava Basilissa.

Trio perfetto ma che Elsa e Pier Paolo, nonostante il disappunto di Alberto, nelle trattorie aprivano ai ragazzi del popolo invitandoli alla loro tavola. La natura mascolina di Elsa faceva sì che lei stesse bene in mezzo agli “oma”.

Ritornando al capodanno del 61, quando per festeggiare il poeta indiano più popolare, Tagore, i tre se ne andarono in India: Moravia amava viaggiare all’inglese, solo per esperienza, mentre Pasolini lo faceva anche attratto dalla prospettiva di nuove esperienze sessuali. Moravia aveva superato i 50 anni e Pasolini all’epoca ne aveva 38. Di quel viaggio Paris menziona l’umore tetro di Moravia di fronte alla frenesia degli altri due, il suo terrore di fare brutti incontri in quel paese così povero. Il suo ‘distacco illuministico’ anche menzionando “grassi borghesi indiani che praticavano lo sport di spaccare la f. alle bambine”. Il mangiare con gusto di Pier Paolo, la “sua risata senza audio, solo spalancando la bocca”, soprattutto di fronte alle terribili paure dell’amico.

Moravia di lui affermava:

“La mia posizione è quella di accettare ma non identificarmi, quella di Pasolini, come del resto in tutta la sua vita, di identificarsi senza veramente accettare.”

Ma aveva due cani ‘bastardelli’, questo Moravia giudicato insensibile, cui aveva dato il nome di Pirro e Arancio. Indossava spesso una cravatta rossa che gli infiammava gli occhi. Le labbra quasi inesistenti, le sopracciglia alla Mangiafuoco. Le mani impazienti, il volto imbronciato. L’unico vezzo della sua casa cosmopolita, un ritratto fattogli da Guttuso.

Pier Paolo era un uomo piccolino ma tutto un fascio di nervi. Aveva dipinto sulle guance incavate il senso della morte, che in lui era fortissimo. Possedeva, sia sugli alunni che sugli amici, un influsso maieutico, era naturalmente maestro. Ah, una voce dolcissima, a detta di tutti.

 

 

 

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