Pessoa e Ophélia, il grande amore del ridicolo e del sublime

La indimenticabile donna del poeta, scrittore e aforista portoghese pubblica le intense lettere della loro storia coinvolgente e "proibita", a quarantatré anni dalla morte di lui. Un carteggio che smuove ricordi e vissuti e rianima l'ombra ubriaca della loro relazione

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Pessoa, l'immortale scrittore e poeta portoghese tanto solo e fragile in amore

Le lettere d’amore, se c’è l’amore, devono essere ridicole

Fernando Pessoa

 

 Lisbona degli anni venti, secolo scorso.

Lui ha 31 anni, magro, occhialini rotondi privi di montatura, abiti neri perché porta il lutto al patrigno, pantaloni nelle ghette, i baffi, una cravatta a farfalla. Abituato a scansare la vita e vivere solo nella letteratura e nella lingua inglese, talmente sua che qualcuno di lui ha affermato che pensasse in inglese.

Lei una diciannovenne minuta e graziosa, che un bel dì leggera come una farfalla arriva in ufficio dove lui lavora da traduttore commerciale.

Fernandinho e Ophélinha insieme: un amore a tratti gioioso e sensuale, a tratti nevrotico e pieno di rinvii, testimoniato da un fitto scambio epistolare che lei renderà pubblico solo moltissimi anni dopo.

L’incontro tra i due avviene in cima alle scale dell’ufficio e Pessoa ne è folgorato. Il suo cuore è affamato d’amore e quella giovane donna sembra corrispondergli alla perfezione. La fa assumere come dattilografa, e dopo pochi giorni di intensi sguardi, inginocchiato le si dichiara recitando Shakespeare (l’altra Ofelia) e stringendola per la vita la bacia. Lei lo descriverà uomo di immensa tenerezza.

Comincia così il namoro, in Portogallo il periodo che precede il fidanzamento. Mesi fatti di vezzeggiamenti, regalini, piccoli litigi, cioccolatini e caramelle. Le attese di lei, le incertezze di lui. E tante, tante ridicole lettere, come lui stesso le definisce.

“Baci, bacini, bacioni, baciotti, bacetti e bacettini…”

“Molti baci di tutte le misure”

“Mio Bebé piccolo e attualmente molto cattivo…”

“Mio Bebé bambinello, mio cuscinetto rosa da trafiggere di baci…”

“Mi dai la tua boccuccia da mangiare?”

“Ed ero tanto triste perché non avevo Bebé vicino a dargli tanti ciccini…”

Schiacciato tra la letteratura, suo unico dichiarato interesse, e la vita che riesce a vivere solo facendola vivere ai suoi eteronimi, Fernando brama una leggerezza che non trova, e sceglie di viverla con lei: Bebé, bebenzinha, piccolina, amorzinho, Ibis, solo alcuni dei numerosi vezzeggiativi con cui l’appella. E tante lettere (che le fa recapitare dal fattorino dell’ufficio), sempre più ondivaghe perché non si va oltre, ma che a lui servono per mettere ali alla sua creatività amorosa e chiedere a Ophélia appuntamenti cui spesso non si presenta. Del telefono invece non si fida, chissà che qualcuno possa ascoltare le sue faccende private!

La prima lettera risale al 1° marzo 1920.

È un uomo che fuma tantissimo, pipa e sigarette. Le dita ne risultano ingiallite. Di notte dorme poco, un foglio e una penna sul comodino. È anche tormentato dalla gelosia, non vuole che lei indossi abiti scollati e si intrattenga a parlare coi giovanotti.

La sua insicurezza di fondo, gli fa scrivere a Ophélia:

“Il tuo amore per me è quasi carità cristiana. Sei così giovane e graziosa, e io così vecchio e brutto”.

“Se non puoi amarmi, fingilo, ma fingilo così bene che io non possa accorgermene.”

Riguardo a presentarsi a casa di lei, rifiuta sempre:

“Devi sapere che è una cosa da persone comuni, ed io non sono una persona comune.”

Le regala anche un portaritratto, che però resta vuoto, non amando lui farsi fotografare. È folle d’amore, una volta la spinge in un portone come se fosse successo qualcosa per cui fuggire e le dà un lunghissimo bacio, dopo avere pronunciato le parole ’Acido solforico’. Per questi improvvisi impulsi di passione Ophélia resta un po’ spaventata.

Nel capitolo ‘Come lo conobbi’, che introduce il libro ‘Lettere alla fidanzata’ pubblicato da Adelphi, la donna lo descrive come una persona timida e riservata (“Ho la necessità di nascondere il mio intimo agli sguardi”) (“Fernando Pessoa sente le cose ma non si muove, non si muove neanche dentro di sé”), ma spesso anche allegra, che sa leggere il lato divertente delle cose. Quando va a farsi lucidare le scarpe, annuncia:

“Vado un attimo a lavarmi i piedi dall’esterno”. Anziché “Hai sentito?”, dice “Hai sentatito?”.

Un giorno le manda questo bigliettino: “Il mio amore piccolino ha le mutande rosa”.

Ophélia si arrabbia: “Se non le hai mai viste, come puoi sapere che ho le mutande rosa?”.

“Non ti arrabbiare, Bebé, tutte le Bebé piccoline hanno le mutande rosa”.

Si danno a volte del tu, a volte del lei.

Ophelia cambia poi lavoro. Dove si trasferisce lui va a prenderla tutti i giorni e passeggiano a lungo. L’accompagna anche in chiesa ma non entra, perché non è praticante. Le scrive intensi versi d’amore:

“Quando passo un giorno intero senza vedere il mio amore, mi copre un freddo di gennaio, nel giugno della mia tenerezza”.

È un uomo che non fa mistero di sentirsi solo.

“Sono così solo, così solo di baci…”.

La sua lucidità si perde quando si rivolge a lei come Alvaro de Campos, il principale dei suoi eteronimi.

In quei momenti Ophélia lo percepisce sconclusionato:

“Sa, oggi non ero io, al mio posto è venuto il mio amico Alvaro de Campos.”

“Gentile signorina, ho una commissione per lei: dovrebbe buttare l’abietta immagine di quel tale Fernando Pessoa in un secchio pieno d’acqua, a testa in giù”.

Lei: “Detesto Alvaro de Campos, mi piace solo Fernando Pessoa”.

Lui: “Chissà perché, guardi che invece a Campos lei piace molto”.

Secondo Antonio Tabucchi, grande studioso di Pessoa, è l’insinuarsi tra i due del cinico de Campos, a mettere in crisi la coppia.

Il 13 giugno è il compleanno di Fernando, che si chiama così in onore di S. Antonio (pare che il nome secolare di S. Antonio sia Fernando Bulhao).

Il 14 il compleanno di lei, con cui hanno dodici anni di differenza. Lui è superstizioso:

“Meno male che non siamo nati lo stesso giorno, alle coppie porta male”.

Poi Pessoa comincia ad essere sempre nervoso e tormentato. Per vivere si accontenta dell’essenziale, del resto non si cura.

Ossessionato dalle sue opere, pure fa affermazioni tipo:

“Non dire mai a nessuno che sono un poeta, tutt’al più faccio dei versi”.

Comincia ad allontanarsi, per giorni non si fa vedere.

Detesta la sorella di lei, che reputa impicciona e pettegola.

“Quando mi dici che desideri che io ti sposi, è un peccato che tu non aggiunga che contemporaneamente dovrei sposarmi con tua sorella, tuo cognato, tuo nipote e non so quante clienti di tua sorella.

PS Ho scritto questa lettera dimenticando che hai l’abitudine di mostrare le mie lettere a tutti. Se me ne fossi ricordato l’avrei resa più soave, credimi…”.

“Vipera, ho ricevuto la tua lettera cattiva…”.

“Ho l’intenzione di ricoverarmi in una clinica il mese prossimo, per vedere se riesco a trovare una cura che mi permetta di resistere all’onda nera che si sta abbattendo sul mio spirito…”.

Ophélia però continua ad amarlo, ed afferma di non considerare ridicola nessuna sua eccentricità. Lui è lui.

Il loro namoro dura fino alla fine di novembre 1920, quindi circa nove mesi, dopodiché smettono di vedersi, sentirsi. Lui si è ritirato completamente nella letteratura.

 

29 novembre 1920:

‘”l tempo, che invecchia i volti e i capelli, invecchia anche, ma ancor più rapidamente, gli affetti violenti. La maggior parte della gente, per la sua stupidità, riesce a non accorgersene, e crede di continuare ad amare perché ha contratto l’abitudine di sentire se stessa che ama. Le creature superiori, tuttavia, sono private della possibilità di codesta illusione, perché non possono credere che l’amore sia duraturo, né, quando sentono che esso è finito, si sbagliano interpretando come amore la stima, o la gratitudine, che esso ha lasciato. Queste cose fanno soffrire, ma poi il dolore passa. Se la stessa vita, che è tutto, passa, perché non dovrebbe passare l’amore, il dolore e tutte le altre cose che sono solo parti della vita?”.

Trascorsi nove anni, lei gli invia una foto scattata da suo nipote Carlos.

Lui ne è felice. Le scrive:

“Dunque un’ombra ubriaca occupa un posto nei ricordi? Nel mio esilio, che sono io stesso, la sua lettera è arrivata come un’allegria familiare…”.

Riprendono il namoro, ma non è più come una volta. Lui le sussurra:

“Se dovessi sposarmi, non sposerei che te”, ma ormai ha messo a fuoco che tutto gli è indifferente se non la letteratura.

“Del resto la mia vita ruota intorno alla mia opera letteraria – buona o cattiva che sia o che possa essere. Tutte le altre cose hanno per me un interesse secondario: ovviamente ci sono cose che mi piacerebbe avere, altre che poco importa che arrivino o no. È necessario che tutti quelli che hanno a che fare con me si convincano che io sono così e che esigere da me i sentimenti, peraltro degnissimi, di un uomo normale, sarebbe come pretendere che io avessi gli occhi azzurri e i capelli biondi.”.

“Bebé belva, si è rotta la molla della vecchia automobilina che ho dentro la testa e il mio senno, che era già inesistente, ha fatto tr-tr-r-r-r…”.

L’ultima lettera prima di ritornare alla sua vita ferma, è datata 11 gennaio 1930:

“Questa poesia deve esser letta di notte, in una stanza senza luce. Inoltre, debitamente utilizzata, serve a far bigodini per bambole di pezza, a chiudere il buco della serratura contro il freddo, gli sguardi e le chiavi, e anche a prendere la misura del piede per comprare scarpe che siano di una misura non superiore a quella del foglio. Mi pare di aver fatto tutte le raccomandazioni per l’uso. Non è necessario agitare prima dell’uso”.

Nel 1935 Pessoa muore, all’età di 47 anni, di cirrosi epatica, dovuta ai suoi abusi di alcool. Dopo la sua morte Ophélia si sposa e successivamente rimane vedova.

Quando ha ormai 78 anni, e sono trascorsi 43 anni dalla morte di lui, decide di rendere pubbliche le sue lettere, che dà da trascrivere alla nipote Maria da Gracsa Queiroz.

Ophélia de Queiroz è stata l’unico amore di Pessoa.

Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo

senza accorgermene

lettere d’amore

ridicole.

La verità è che oggi

sono i miei ricordi

di quelle lettere d’amore

a essere

ridicoli.”

Fernando Pessoa

“Le lettere di Fernando Pessoa ad Ophélia de Queiroz testimoniano, proprio come i veri grandi amori, del ridicolo e del sublime”.

Antonio Tabucchi

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