Peppe Dell’Acqua: da Basaglia alla legge 180 #benecomune

Per il maggiore divulgatore del pensiero basagliano i 17 articoli del nuovo disegno di legge vogliono introdurre il concetto di 180 come bene di tutti. «Sono stato nei giorni scorsi a Bassano dove hanno partecipato molti cattolici a questo piano, in tanti, con le nostre ferite, aspirazioni, speranze, possiamo convergere e trovare alleanze. Va messo in gioco - sostiene Dell'Acqua - il proprio corpo soprattutto se si considera che non esistiamo più come corpo sociale; se riusciamo a mettere in gioco il nostro corpo sociale di persone felici, appassionate alla narrazione di Basaglia, allora forse riusciamo a vincere, ad arrivare a Roma, magari con il Papa». Una sfida da seguire, nel momento in cui la destra al potere smantella i precari servizi esistenti, potenzia il privato e, per la salute mentale, fa sempre più ricorso ai farmaci

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Lo psichiatra Peppe Dell'Acqua, il maggiore divulgatore del messaggio di Franco Basaglia

Il 9 aprile scorso si è tenuta in Senato, alla commissione Welfare, la prima audizione sui disegni di legge “Disposizioni in materia di salute mentale”, a firma di Filippo Sensi e Deborah Serracchiani e “Disposizioni in materia di tutela della Sanità Mentale”, a firma dei senatori Magni, De Cristofaro e Cucchi. La legge rimette in moto una vecchia storia, quella iniziata alcuni decenni fa, prima a Gorizia e poi a Trieste, da Franco Basaglia di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Una battaglia cominciata negli anni ’70 ma che non è mai finita e che oggi viene rilanciata con la campagna #180benecomune che arriva in un momento assai critico per il nostro paese; dove un progressivo smantellamento del welfare, la riduzione delle risorse per la sanità pubblica a favore del privato; una destra al governo che aggredisce i diritti civili e costituzionali, mettono in serio pericolo quanto si è faticosamente conquistato negli anni. Il Forum, guidato da psichiatri che hanno iniziato a lavorare al tempo di Basaglia e ne hanno introiettato il messaggio, da Peppe Dell’Acqua a Roberto Mezzina, ha il principale scopo di tutelare quei principi e quella storia, soprattutto quelle parole che sono state la base di una rivoluzione culturale, la chiusura dei manicomi, la restituzione della dignità alla persona, la vicinanza e l’ascolto come cura.  Quella riforma, che Norberto Bobbio definiva l’unica vera riforma del dopoguerra, entrata da tempo nei modelli dell’OMS, è sempre stata contrastata fin dall’inizio e oggi messa ancora più in pericolo da politiche regionali frammentarie e da  un insieme di segnali di negazione dei suoi principi ispiratori che arrivano anche dalle Università e dalle psichiatrie. Il nuovo disegno di legge vuole favorire la piena realizzazione dei principi stabiliti nella 180, verso un quadro dei servizi di maggiore uniformità nazionale e di maggiore integrazione, oltre all’eliminazione della contenzione e ad una revisione del Trattamento sanitario obbligatorio. Nel nostro Paese, affermano gli psichiatri del Forum, i servizi per la Salute Mentale vivono una condizione di grave crisi a fronte di un aumento significativo della richiesta ma con meno del 3% della spesa sanitaria nazionale destinato alla salute mentale. Le cure sono sempre più orientate a risolvere i problemi con i farmaci, o a costruire strutture alternative nel privato, fino ad una dismissione del servizio pubblico.

Ne parliamo con Peppe Dell’Acqua, psichiatra a Trieste, animatore del Forum e  tra i maggiori  sostenitori e divulgatori del messaggio di Basaglia:

 Sono cent’anni dalla nascita di Basaglia e più di cento dall’avvio nel nostro paese di una legislazione sulla salute mentale. Nella legge Giolitti del 1904 i pazienti si definivano “Alienati”, una parola che conteneva già in sé il concetto di separazione dal mondo. Da allora un po’ di passi avanti sono stati fatti, dalla Legge 431 del ’68 arrivarono i Centri di Igiene mentale, ma fu con la Legge 180 di Basaglia che si aprirono i manicomi e soprattutto gli “alienati” diventano persone. Oggi con il Forum Salute Mentale si sta facendo un ulteriore passo con la campagna #180benecomune. Di che si tratta e che cosa deve ancora cambiare?

Questo semestre del compleanno di Basaglia che avrebbe compiuto cento anni nel 2024, non significa creare un santino ma dire e ribadire che quanto è accaduto in questi ultimi cinquanta anni è qualcosa di grandioso e non possiamo perdere lo straordinario cambiamento che ha comportato; in questi cinquant’anni abbiamo capito che la guarigione non è solo possibile ma è la nostra stessa ragione di essere; è questa diversità il bagaglio, l’attenzione costante ad accogliere la diversità, la nostra capacità di essere con gli altri. Quella di Basaglia è stata una rivoluzione culturale che ha contaminato tanti altri  campi, la scuola, l’ordinamento penitenziario. Oggi ci chiediamo cosa altro c’è da fare. Ancora molto anche se l’ottimismo è scemato e si guarda al percorso con occhio critico e addolorato, il dolore per le tante cattive pratiche che ci sono in molti luoghi della cura. Il dolore sta nel fatto che tutto ciò che abbiamo appreso, le nuove culture, lo sguardo differente, i diritti che abbiamo riconosciuto, diritti costituzionali, oggi tutto questo si sgretoli e le forme di cura si riducano sempre di più. È sceso come un cappuccio scuro a coprire il tutto, con “buone terapie farmacologiche”, quando va bene.

Nella foto Franco Basaglia: ricorre quest’anno il centenario della nascita del grande psichiatra, padre della legge 180 e ispiratore, secondo Norberto Bobbio, dell’unica vera, grande riforma della contemporaneità

La situazione della sanità in generale, anche dopo il covid, è peggiorata, rigurgiti a destra che vogliono mettere in discussione i diritti acquisiti, meno risorse alla sanità pubblica e più al privato, una politica nei centri di salute mentale che guarda al mercato, crea piccoli centri di eccellenza per pochi utenti e va verso la dismissione generale della cura da parte del pubblico.

Noi abbiamo pensato che la rivoluzione di Basaglia dovesse andare di pari passo con la consapevolezza della necessità della relazione con l’altro ma questo non è accaduto nelle psichiatrie, le cui pratiche hanno ripreso il sopravvento sulla dimensione emotiva, dove le diagnosi non ammettono l’emotività e tutto si restringe nelle leggi, nella cultura psichiatrica, nelle accademie; in qualche modo Basaglia resta ancora bandito dall’establishment psichiatrico. Il governo di destra ha certo peggiorato le cose, diciamo che ha trovato un terreno già predisposto negli ultimi decenni dove è prevalsa una certa cultura psichiatrica che guarda principalmente alla medicina; nessuno ha insegnato ai giovani a vedere criticamente la diagnosi e su tutto questo ha giocato tanto la sinistra quanto la destra; la riforma del Titolo V ha fatto il resto così che ogni Regione si è costruita la sua salute mentale ma dove stanno i centri aperti ventiquattro ore al giorno? Cosa non ha funzionato? Un gap culturale, solo Papa Bergoglio ha parlato della consapevolezza dell’umano; agli psichiatri si insegna a tenere la distanza, impariamo a tenere la distanza dal soggetto che è esattamente l’opposto dell’incontro con l’altro.

Lei è un salernitano che è andato al Nord  negli anni ’70 dove si è realizzata a Trieste una esperienza magistrale di cura che è diventato un esempio di buona pratica mondiale. Tutto questo nel sud non è mai arrivato e nei casi migliori i centri di salute mentale offrono una assistenza in gran parte farmacologica e di mediocre se non inesistente integrazione.

Se guardo a tutte le regioni e le province italiane, c’è qualcosa che è accaduto con il malato di mente, su 320 servizi di diagnosi e cura, quelli che stanno negli ospedali gli SPDC, dieci, quindici fanno perfettamente il loro lavoro. È qui che arrivano persone in preda alla paura, al dolore acuto, al terrore di una morte imminente; ed è qui che si gioca la partita dell’ascolto; ed è qui che si avverte maggiormente la mancanza del legame con il servizio territoriale che è stato progressivamente depotenziato come è stata depotenziata l’intera sanità pubblica. Oggi c’è un governo di destra che sta affrontando con rigore ideologico ostile, le conquiste faticosamente raggiunte, grazie alle quali sono nati pratiche e contributi che ancora funzionano. Le persone hanno cominciato a guardare alla guarigione; sono passate da una condizione di destino ad una di possibilità ed è questo che ci rende felici; ci sono ragazzi di 20 anni che esordiscono nella psicosi e che solo per ragioni geografiche hanno un percorso di ripresa e di presa in carico; altre invece si ritrovano a dibattersi con i legami al letto e questo riduce se non annienta la possibilità di ripresa.

 Eppure dalla Legge Basaglia si è creato negli anni una vasta rete di associazionismo, cooperative, servizi, case famiglia, gruppi appartamento, comunità terapeutiche che hanno anche dei costi per il pubblico ma ciononostante la persona con disturbi mentali difficilmente si integra nella società e la cura resta a carico della famiglia; per questo stanno nascendo esperienze di altro genere non sanitarie, come il progetto Itaca che ha creato dei club gestiti dagli operatori e dai pazienti e dove si insegna a trovare un lavoro e a stare con gli altri. È questo il modello del futuro, oltre i manicomi, oltre i centri di salute mentale?

Il percorso extra sanitario va benissimo se però va in parallelo con la rete dei servizi, se questa è sufficientemente adeguata; sono le soluzioni in cui le persone sostenute dalla cura cominciano a camminare da sole; ma queste soluzioni sono il frutto della fragilizzazione dei servizi pubblici; se la rete non è più capace di garantire assistenza, è difficile che il clubhouse possa assumere quello che resta; così le comunità terapeutiche, altro momento molto positivo, sempre se hanno una dimensione complementare al servizio pubblico e non di supplenza, Tutta la fragilità dei servizi pubblici comporta una perdita di potere e di efficacia e porta necessariamente ad altre forme di sostegno; è solo il servizio pubblico che può indicare la strada e che può prendere in carico quella persona.

Lei è il maggiore divulgatore del messaggio di Basaglia, porta in giro nel paese il famoso Marco Cavallo, collabora a documentari e film sulla salute mentale, di cui abbiamo visto di recente in televisione “E tu slegalo”; ha scritto libri fondamentali come “Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia. Manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi”; si occupa di promuovere innovazioni legislative, di recente ha scritto una lettera al Ministro Schillaci per richiamare l’attenzione sul tema. Tutto questo anche dopo aver smesso il lavoro diretto a Trieste, una vera e propria missione la sua.

Noi maratoneti della 180 ripresentiamo questo nuovo disegno di legge, sono 17 articoli che non toccano in alcun modo la legge ma vogliono introdurre il concetto di 180 Bene comune; sono stato nei giorni scorsi a Bassano dove hanno partecipato molti cattolici a questo piano, in tanti, con le nostre ferite, aspirazioni, speranze, possiamo convergere e trovare alleanze. Va messo in gioco il proprio corpo soprattutto se si considera che non esistiamo più come corpo sociale; se riusciamo a mettere in gioco il nostro corpo sociale di persone felici, appassionate alla narrazione di Basaglia, allora forse riusciamo a vincere, ad arrivare a Roma, magari con il Papa. All’ultimo incontro del Forum è intervenuta Elena Cerkvenic, una ex paziente di Trieste, autrice di un bellissimo libro, “Sono schizofrenica, ma amo la mia follia”. Elena racconta un sogno, nel quale incontra in un giardino Basaglia seduto su una panchina e gli dice, grazie, senza di lei chissà dove sarei ora. “Lei mi ha donato una nuova vita. Quella che avevo prima era solo un’esistenza soffocata, rinchiusa in un mondo di etichette e camicie di forza, causate dalla mia sofferenza psichica. Lei mi ha insegnato che la pazzia non è un crimine, ma una diversa sfumatura dell’animo umano”. Noi dobbiamo continuare a realizzare questo sogno, il sogno di Elena, nelle sue parole c’è tutto quello che non abbiamo coltivato a sufficienza, c’è il richiamo alla necessità di continuare a pensarci insieme ed è questo tutto ciò che abbiamo.

Luciana Libero

Giornalista professionista con una pluriennale esperienza nei settori della cultura e dello spettacolo, maturata in diverse città italiane per quotidiani nazionali; come responsabile di uffici stampa e come direttore artistico di iniziative, convegni, Festival sul teatro contemporaneo. Ha tenuto seminari e corsi presso le cattedre di Storia del Teatro di alcune Università italiane. Ha pubblicato saggi e monografie sul teatro contemporaneo, diretto riviste e pubblicazioni. E’ stata membro del Consiglio di Amministrazione dell’ Ente Teatrale Italiano. Nel marzo 2009 si è prepensionata come giornalista dipendente dalla Poligrafici Editoriale SPA (La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giorno). Ha collaborato come editorialista con La città di Salerno. Dal 2009 vive a Salerno e collabora con La Repubblica di Napoli

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