Osborne, elogio e biasimo dell’ebbrezza tra Oriente e Occidente

L'ultimo romanzo dell'autore inglese, noto per il suo stile seducente, chiaro, nitido, ci porta nei bar più famosi o sperduti del mondo, ma soprattutto ci porta nel cuore dell’Islam. Il libro si fa leggere con voracità e curiosità

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La sensazione è ben nota. In modo brutale ma anche sottile, la bottiglia facilita questa solitudine, e il bevitore lo sa fin troppo bene. Gioca con astuzia le proprie carte. Autocritico, grande conoscitore dei propri stati d’alterazione, sa dosare perfettamente lo sballo. Si diletta d’alchimia con le bevande. Se fosse uno scrittore e volesse spiegarsi alla gente, scriverebbe un libro intitolato Elogio dell’ebbrezza. Nessuno lo inviterebbe a illustrare le proprie opinioni in pubblico. In America non lo prenderebbero sul serio nemmeno per un secondo. Ma neanche lui si prenderebbe sul serio: nelle cose davvero serie non serve prendersi sul serio. Lawrence Osborne, Santi e bevitori, Adelphi, pag. 202.

Una scrittura accattivante. È l’ultimo romanzo di quest’autore inglese noto per il suo stile seducente, chiaro, nitido come i suoi distillati abissali e deliziosamente meditativi. Scrittore e viaggiatore illuminato e illuminante, sennonché temerario, impavido quanto basta per regalarci una stesura, una versione, una minuta del mondo originale, provocante, sarcastica, anche spassosa e, tuttavia, empatica e dolorosa. Nessuna morale o moralismo se non la necessaria dose di spirito all’altezza di una scrittura che si appunta densa di luoghi insoliti e di differenze culturali. Quasi una letteratura di escursione, ma qui il cammino è piuttosto impervio se non impraticabile e impareggiabile o proibitivo. E di mezzo, oltre che la passione della scrittura, e dei viaggi, c’è quella per l’alcol. “Birra e vino sono per gli amici, ma i distillati sono per il bevitore solitario. Guardo l’orologio e il barman guarda me; sembra che tutti e due stiamo aspettando che succeda qualcosa.”

Osborne ci porta nei bar più famosi o sperduti del mondo, ma soprattutto ci porta nel cuore dell’Islam. Il suo è un andare verso quei luoghi, dove l’alcol è proibito, e ciò sia per dare autorevolezza a un’inaccertabile genetica – Sapevo da sempre che mia madre beveva più di mio padre e che molti attribuivano questo vizio alle sue origini irlandesi. – sia per esaltare, ma senza magnificare gli imprescindibili paradossi che l’uso dell’alcol si porta dietro dai secoli dei secoli. E, tuttavia, chi beve, scrive Osborne, è avviluppato in se stesso, incapace di snodare l’intrico che lo stringe. L’ubriachezza quotidiana scaturisce dall’esperienza di una vita intera, non da una “malattia” che si presume misteriosa. Seguiamo così l’autore inglese ma che da anni vive a New York in questo reportage “inebriante” in terre sobrie. Lo talloniamo, lo leggiamo con una certa voracità e discrezione, e curiosità. I luoghi che la sua scrittura ci fa incontrare non sono soltanto geograficamente e politicamente estranei, ma sono allo stesso modo centri, territori, zone, avamposti di un mondo, dove si giocano conflitti irrimediabili e senza senso.

Al termine di questa lettura, ci pervaderà l’angoscia di essere coinvolti in un lampante scontro di civiltà tra Oriente e Occidente. Ciò che negli anni passati poteva sembrare un ravvicinamento di culture distanti – la letteratura non è, forse, anche una dimensione d’intercessione, di mediazione, di conciliazione? – ora, ci sembrerà come un dissidio insanabile. O, almeno, questa è la sensazione che ne ho avuto. Eppure, questa narrazione, “interiore” solo in apparenza, si mostra come leggera, ironica, sviante. In realtà, siamo al cospetto di qualcosa di devastante, ma raccontato in maniera doppia, ambigua, sincera. Anche urtante! Effetto dell’alcol? O di una sobrietà tutta interna, rinchiusa? O non potrebbe essere questa la vera condizione dell’Uomo, cioè di non riuscire a tenere uniti i suoi opposti? “Bere o no: ci si destreggia fra una condizione e l’altra. Forse ogni bevitore sogna una qualche forma di proibizione e ogni astemio – musulmano o cristiano – sogna un drink alla fine dell’arcobaleno. Chi lo sa. Di certo è tutta una questione di dialettica, medito andando in giro per Solo e covando la speranza segreta di imbattermi nel fenomeno più straordinario di tutti: un alcolista musulmano. (Ho un debole non solo per gli alcolisti musulmani, ma per il concetto stesso. Un alcolista musulmano mi fa sperare che la razza umana possa salvarsi)”. Solo è anche conosciuta come Surakarta, capitale dell’Indonesia, il posto dove fervide scuole coraniche predicano il jihad contro l’industria del turismo. Gruppi islamisti collegati ad al-Queida avevano organizzato attentati esplosivi al jw Marriot di Giacarta. Il jw di Giacarta, ritrovo della mondanità, era famoso per il suo bar sensazionale, ci racconta Osborne. Così come ci racconta di un’infinità di altri attentati e di un’infinità di altri bar. Lo segnaliamo nei bar più esclusivi di Beirut, in Libano, di Mascate, capitale dell’Oman, di Islamabad, in Pakistan, di Abu Dhabi capitale degli Emirati Arabi Uniti. Lo incontriamo mentre beve a Istanbul, al Cairo, a Bangkok, ma anche a Londra, a New York, a Milano, a Napoli. È sorprendente come sia possibile attraverso i bar farsi un’idea del mondo e delle sue contese. – “Il bar, scrive Luis Buñuel è un esercizio di solitudine. Prima di tutto dev’essere silenzioso, buio, molto ospitale – e, contrariamente alle usanze odierne, senza musica di alcun genere, nemmeno a basso volume. Ci vogliono una decina di tavoli al massimo e una clientela che non ami chiacchierare”. – Oltre al fatto, che dopo un’accurata lettura, si diventa inevitabilmente esperti in alcolici. E dove ci sono i liquori, non possono mancare le donne. Prostitute, in ogni caso. Sembra che il mondo non viva d’altro. Che ciò non sia altro che il motore, nient’affatto immobile, di una natura che si cerca di esprimere o reprimere. Ovviamente, il tutto ornato di letteratura e di miti. Incontriamo, oltre agli accenni ai culti in onore di Dioniso, la poesia sufi di Rumi e Hafez che celebrano l’amore e l’ebbrezza, le danze rotanti dei dervisci che tanto rimandano agli effetti di sbornie o d’infatuazioni misticheggianti. Insomma, un libro che si legge e si divora come presi da un vortice di profonda religiosità e di dissacrazione. Santi e bevitori: due approcci diametralmente opposti alla vita. Equilibrio e disordine, misura e sfrenatezza. Oriente e occidente? Sempre in uno spirito di reciproca incomprensione.

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Lawrence Osborne, Santi e bevitori, Adelphi, pag. 202

Di Lawrence Osborne (Londra 1958) Adelphi ha pubblicato un folto gruppo di opere, la più recente delle quali è Java Road (2023). Apparso per la prima volta nel 2013, Santi e bevitori si aggiunge alla serie di reportage di viaggio inaugurata da Il turista nudo (2006) e proseguita con Shangri-la (2008) e Bangkok (2009).

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