Oppenheimer, sogni e genio del papà dell’atomica

Il peso insostenibile di un'invenzione e il racconto di un conflitto tra le aspirazioni sul futuro e le necessità di una guerra

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“Quella è la bomba che ha il potere di cambiare il mondo”. Nel 2020, il regista statunitense Christopher Nolan concludeva così il suo film Tenet, una frase che ad oggi, risuona quasi come una profezia per il successivo e più riuscito, Oppenheimer nelle sale italiane dal 23 agosto.

Il film ruota attorno alla figura di J. Robert Oppenheimer, fisico teorico statunitense (interpretato da un magistrale Cillian Murphy), che durante la seconda guerra mondiale fu direttore scientifico del Progetto Manhattan, il cui obiettivo era quello di realizzare la prima bomba atomica in una corsa contro il tempo per battere i nazisti.

ça va sans dire, coerente con la sua filmografia antecedente, Nolan stravolge il regolare susseguirsi degli eventi (la manipolazione temporale è centrale dal primissimo Following fino al già citato Tenet) realizzando una biopic schizoide costruita su diverse linee temporali in cui è evidente la tendenza del regista a soffermarsi maggiormente sull’intensità dei singoli eventi rispetto al loro mero sviluppo.

Nelle prime scene del film, la guerra è già finita, siamo in pieno periodo mccartiano di caccia alle streghe, e assistiamo al processo del 1954 in cui il fisico statunitense è interrogato in merito alle sue posizioni e amicizie giudicate fin troppo di sinistra che gli valsero la revoca dell’autorizzazione all’accesso ai segreti atomici (revoca ironicamente annullata nel 2022, Oppenheimer muore nel ‘67) e al tentativo nel 1959 di Lewis Strauss (Robert Downey jr nella sua migliore performance) di entrare nel gabinetto del presidente Eisenhower e di vendicarsi di Oppenheimer per motivi personali oltre che ideologici. Partendo da un’ambientazione da guerra fredda che offre al film un accenno di thriller storico-politico, ciò che resta è tutto un flashback della carriera di Oppie, dai primi anni di dottorato a Cambridge, al ritorno negli US con una cattedra in fisica quantistica fino ad arrivare alla recluta nel 1942 da parte del generale Leslie Groves (interpretato da un tenace Matt Damon) per dirigere il segretissimo Progetto Manhattan.

Se Nolan già con Inception (2010) aveva sviscerato la psiche umana e la sua dimensione onirica, in Oppenheimer ci introduce nella mente del creatore della bomba atomica, attraverso immagini di esplosioni stellari e collisioni tra atomi che fanno gridare al sublime, nodale quindi, è la capacità dello scienziato sin dai primi esperimenti in laboratorio, di intravedere nella realtà materiale una energia potenzialmente devastante, diventando prima spettatore e poi creatore di distruzione. “E ora sono diventato la morte. Il distruttore di mondi”.

Oppenheimer è il racconto di un conflitto tra il sogno, il genio di un fisico teorico e la realtà che strappa quelle aspirazioni per ricondurle al più immediato bisogno bellico. Prima di perdersi nei conflitti della storia, Nolan ci mostra la pura intuizione di Robert j Oppenheimer che come un Icaro novecentesco si avvicina così tanto al sole per poi inesorabilmente cadere a terra: Oppenheimer diresse, su richiesta del governo statunitense, il progetto Manhattan, circondandosi del contributo di molti fisici nucleari (Enrico Fermi, Leo Szilard, Edward Teller e Niels Bohr) che con l’ascesa delle dittature in Europa e la scarsità di finanziamenti alla scienza, trovarono rifugio negli Stati Uniti e insieme arrivarono alla realizzazione tecnica della prima bomba atomica che provocò la distruzione delle città di Hiroshima e Nagasaki e la fine della guerra.

Nel film non assistiamo alle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, ma la portata distruttiva dell’evento ci arriva tramite visioni, allucinazioni che invadono la mente dello scienziato. Oppenheimer è un film duro con l’America, forse più duro con quella parte del governo americano che ha perseguitato ingiustamente il fisico statunitense, impedendogli alla fine di accedere al materiale scientifico di cui lui stesso fu in primis l’artefice, rispetto a quell’America che scelse coscientemente di radere al suolo due città giapponesi. Nolan in questo caso evita risposte ma preferisce far riflettere: perché sganciare la bomba sui giapponesi che hanno scarse possibilità di vittoria? Cosa fare quando il genio, l’intuizione non obbediscono più all’etica?

I sensi di colpa affollano l’animo dello scienziato, soprattutto dopo lo sgancio delle due bombe; precedentemente, la corsa contro il tempo per battere i nazisti e l’amore per la fisica, sembrano prendere il sopravvento sulla portata devastante di un’arma di distruzione (le prime due ore scorrono veloci, dinamiche con pochi momenti di pausa) che avrebbe certamente ucciso migliaia di civili e su cui c’era una minima possibilità che avrebbe distrutto l’intera atmosfera. Il dolore per la distruzione causata è presente, ma molto spesso non riesce ad arrivare allo spettatore nella sua totalità, si perde tra gli interrogatori e i processi, mossi a cercare ossessivamente lo spettro del comunismo che sembrava aleggiare nella vita del fisico.

Il protagonista afferra il peso insanabile della sua creazione pian piano fino ad esserne totalmente assalito negli ultimi momenti del film e tipicamente nolaniano è il finale: in un incontro sfuggente tra Einstein e Oppenheimer alla fine il fisico statunitense, si rende conto di essersi spinto troppo oltre dando in mano all’uomo un’arma capace di distruggere il mondo: la minaccia nucleare esiste e solo l’uomo può determinarne il suo esito.

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