Quella che appare ai nostri occhi è una Napoli in festa, gioiosa, colorata di azzurro, rumorosa, chiassosa, tambureggiante. È apparsa così già durante la lunga attesa della consacrazione a campione d’Italia della squadra di calcio del cuore. Tutti in attesa, per giorni o, forse, per mesi, per poter festeggiare lo scudetto che da tempo era cosa certa e scontata per un primato costruito sul campo. Ubriacati da questa certezza, i napoletani hanno dato fondo a tutta la loro fantasia e creatività con l’originalità e unicità che li caratterizza. Anche in questo evento, sia prima che dopo la conquista matematica del titolo, hanno dimostrato di appartenere a una città dalla forte vocazione identitaria. Non c’è in Italia una città che, come Napoli, può vantarsi di avere una forte identità, che viene avanti da secoli e fonda su tradizioni saldissime. Anche l’ immigrazione di altre etnie non ha modificato il modo di vivere, l’attaccamento alle tradizioni, il dialetto, le feste. A Napoli, sono gli altri che si devono adeguare, sembra questo il messaggio lanciato dalla città del Vesuvio e recepito in questi giorni dal mondo intero. Sarà giusto, sbagliato? Lascio al lettore la risposta. Battute, cori, sfottò nei confronti di squadre blasonate, che negli ultimi anni, dal 2001, hanno fatto man bassa di titoli e di coppe ci hanno trasferito in un mondo sospeso a mezz’aria tra la realtà e la fiction. Nel festeggiare non sono mancate le esagerazioni, anche se nei limiti. Il merito per questo grande risultato è da attribuire, prima di tutto, al presidente Aurelio De Laurentiis, al direttore Cristiano Giuntoli, al grande allenatore Luciano Spalletti e soprattutto ai giocatori, che ci hanno ammaliati e fatto divertire con il loro gioco spumeggiante e intelligente.
In coda a queste considerazioni e riflessioni, ma in cima ai nostri pensieri di operatori della pace e della giustizia sociale, mi sembra giusto sottolineare, specie in questo momento di gioia diffusa, alcuni aspetti che riguardano Napoli. Altre vittorie, altri risultati e altri scudetti, noi napoletani, dobbiamo conquistare in città. Napoli ha, tra gli altri, il triste primato in Italia della dispersione scolastica. Ci affligge la sottocultura, che è uno dei letami che alimenta la mala pianta della camorra, causa principale dei mali del profondo malessere sociale. La cultura è importante per diventare uomini e donne pensanti, per essere liberi, per non farsi ammaliare dalle sirene fascinose della criminalità organizzata. Per un ragazzo, per un giovane lo studio, la cultura, il sapere sono elementi indispensabili per costruire un futuro positivo, non inquinato da proposte e attività illegali e malavitose. Dovremmo anche vincere lo scudetto dell’amore e dell’attenzione nei confronti di ciò che è pubblico e che viene messo a disposizione di tutti. Il limite di tanti napoletani è quello di avere cura e tutela per il proprio e menefreghismo e di procedere alla distruzione di quello che è di tutti. Sul concette di bene pubblico ritengo che vi siano molti passi da fare per allinearci agli standard di vivibilità sociale e partecipazione democratica che la contemporaneità richiede a quanti intendano vivere in linea con le sfide che il presente ci impone. Un cambio di mentalità è, pertanto, fortemente necessario per contribuire alla bellezza e a una maggiore cura della nostra città e dell’intera regione, che a tratti appaiono prostrate, rintanate in un privato che corrode la vitalità di un popolo. Permettetemi, per questi motivi, di sognare un altro scudetto: la guerra totale alla camorra, fatta di denuncia, di rispetto delle regole, di contrasto alle ruberie, alle furberie e a tutto quello che rende meno bella e meno sicura la nostra vita. È questa la battaglia che “Ultimi – Associazione di legalità” combatte quotidianamente da undici anni, ma tale battaglia deve essere condivisa e diventare l’obiettivo di tutti. Questa rubrica, perciò, ha anche l’obiettivo di aggregare intorno ai temi della legalità, che non dovranno mai essere rimossi dall’agenda pubblica e privata, soprattutto nei momenti in cui la gioia per i successi sportivi minaccia di allontanarci dalla realtà.