“La Poesia prima di tutto – Settantacinque anni di cultura nel mio Sud” è il nuovo libro (postumo) di Carmine Manzi, realizzato per volontà dei figli Anna, Andrea e Menita e dato alle stampe per le Edizioni dell’Ippogrifo.
L’opera, ultimata pochi giorni prima della morte del poeta e scrittore salernitano, avvenuta il 3 aprile 2012, propone un denso bilancio dell’attività artistica e promozionale dell’autore: circa settantacinque anni di impegno costante, come richiama il titolo dell’opera, nel campo vasto della poesia contemporanea, della narrativa, della critica letteraria e del giornalismo, tesi sempre al confronto con la vita quotidiana del Mezzogiorno. Il testo contiene significativi e inediti “dietro le quinte” della vita dell’artista Manzi, che tramandano al lettore la profonda umanità dell’autore, che ebbe un ruolo culturale decisivo negli anni del secondo conflitto mondiale e soprattutto nel periodo della ricostruzione post-bellica: nel 1940 Carmine Manzi fondò la rivista di lettere e arti “Fiorisce un cenacolo”, ancora attiva e diretta dalla figlia Anna, e nel 1949 diede vita all’Accademia di Paestum per lo sviluppo delle lettere, delle arti, dell’archeologia e del giornalismo. Un sodalizio, questo, nato per contribuire alla ripresa socio-economica del paese e alla nascita di reti inter-culturali europee: presidente onorario fu nominato il ministro della Pubblica istruzione Guido Gonella e, nel primo Consiglio accademico, entrarono tra gli altri i parlamentari Giulio Andreotti, Alfredo Baccelli, Tristano Codignola, Vittorio Emanuele Orlando, Gaetano Quagliariello e Alfonso Tesauro.
Nella seconda parte del volume, compare una dettagliata storia dell’Accademia di Paestum, dalla fondazione fino a tutto il primo decennio del nuovo millennio, un’attività intensa attraverso la quale il Sud ha avuto l’opportunità di entrare in una trama di relazioni complesse con espressioni artistico-culturali dell’intero Paese e dell’Europa, ma anche con artisti e intellettuali degli Stati Uniti d’America e dell’America latina. Il racconto di questa intensissima proposta culturale –iniziata già nel 1938, quando Carmine Manzi aveva soltanto 19 anni, e proseguita oltre il Secolo breve, fino alle pieghe della seconda repubblica – è stato ricostruito nei dettagli dall’autore, nel tentativo di non disperdere un’esperienza costante e significativa che, ora, i figli progettano di far rivivere in una Fondazione che porterà il nome del padre. «Sono tappe che si snodano – scrive Carmine Manzi, nella premessa ai lettori – in lunghi anni di impegno assiduo, nel corso dei quali il mio ruolo di promotore culturale di progetti, rassegne e premi si è sovrapposto all’altro più specificamente creativo e giornalistico. Non si tratta però di attività disomogenee: identici sono, infatti, gli ideali e le motivazioni – continua l’autore – che mi hanno spinto a servire il Paese e i miei luoghi d’origine, sia attraverso la mia personale attività letteraria che come guida dell’Accademia di Paestum». I rapporti intrattenuti da Carmine Manzi con intellettuali e artisti italiani e stranieri sono stati, infatti, sempre improntati ad una profonda esigenza personale di ricerca creativa e all’acquisizione, attraverso la proposta di centinaia di iniziative, di una maggiore identità territoriale. «Si spiegano così – chiarì Manzi in varie occasioni di confronti e convegni – le iniziative intraprese per la valorizzazione dei giovani, che scelgono la sfida della cultura in un Meridione primo di adeguati mezzi ed efficaci tribune».
Il libro propone anche una densa galleria di foto, dalle prime manifestazioni culturali svoltesi presso l’Eremo Italico, la casa dei suoi avi divenuta luogo divenuto simbolico per gli incontri letterari dell’immediato dopoguerra, fino ai grandi Convegni romani dell’Accademia di Paestum, svoltisi nei più prestigiosi “salotti” letterari della Capitale – da Palazzo Barberini alla Protomoteca in Campidoglio, a Palazzo Braschi e Palazzo Farnese – e alle numerose iniziative di Paestum e del Palazzo Vanvitelliano di Mercato S. Severino.
Nella prefazione al volume, il filosofo Giuseppe Cacciatore così sintetizza l’attività incessante dell’autore, anche dal punto di vista poetico e filologico: «Poeta e intellettuale della speranza, Carmine Manzi, ma di una speranza virile, non sdolcinata e romanticheggiante, di una speranza del non ancora vissuto e del non ancora pienamente dispiegato nel presente come nel passato, di una speranza che è anche ed essenzialmente, come dicevano i filosofi rinascimentali, “docta spes”, sapere di uomini per uomini, sapere che guarda alla vita con realismo ma anche con carezzevole e struggente amore per le cose, come dice il bellissimo verso di Manzi: “Questo è il tempo / di albe rinascenti / di erbe rifiorenti. / È il tempio delle more per le siepi”».