Sulla scia del successo dell’anno precedente, la casa di distribuzione Lucky Red sceglie di riportare nelle sale italiane cinque capolavori del maestro dello studio Ghibli, Hiyao Miyazaki, grazie alla rassegna intitolata Un mondo di sogni animati.
Dal 6 luglio fino al 30 agosto, ogni settimana viene riproposta una pellicola del padre dell’animazione giapponese, e se nelle settimane precedenti gli spettatori italiani hanno avuto la possibilità di rivedere Ponyo sulla scogliera (2008), Kiki consegne a domicilio (1989) e Laputa-Castello nel cielo (1986), dal 10 al 16 agosto sarà il turno del prezioso Il mio vicino Totoro (1988) mentre a chiudere la rassegna l’immancabile Si alza il vento (2013), candidato al Premio Oscar Miglior Film d’Animazione, al cinema dal 24 al 30 agosto.
Un progetto che si propone di diffondere il mondo d’animazione dello Studio Ghibli a noi occidentali e che forse sarà un incentivo per l’ultimo film di Miyazaki Kimi-tachi wa dō ikiru ka uscito in Giappone il 14 luglio, ma di cui non si sa ancora nulla per l’uscita in Italia. In attesa del suo ultimo film, non ci resta che tornare in sala e ri-scoprire l’universo incantato del maestro dello Studio Ghibli attraverso Il mio vicino Totoro in occasione del trentacinquesimo anno dall’uscita e Si alza il vento, definito dallo stesso Miyazaki il suo congedo dal cinema, una lettera d’addio smentita dal suo ultimo lavoro distribuito nelle sale nipponiche proprio quest’estate.
Il cinema di Miyazaki, da poco più di 40 anni, (il suo primo lungometraggio Lupin III – Il castello di Cagliostro risale al 1979) non ha mai smesso di stuzzicare l’io onirico dei suoi spettatori attraverso ambientazioni incantate che riportano ad una condizione di stupore quasi infantile, una vera e propria poesia visiva, che tuttavia incarna un ostacolo, un conflitto da superare per conquistare la maturità e catturare il senso della vita. Miyazaki mette in discussione lo stereotipato lieto fine tipico dell’animazione occidentale, celando dietro alla magia infantile sempre un messaggio esistenziale sottolineando l’esigenza sia estetica della sua arte ma anche politica e sociale.
Il mio vicino Totoro (1988) e Si alza il vento (2018) pur rappresentando due momenti totalmente opposti della carriera cinematografica di Miyazaki, sono accomunati da una matrice fortemente autobiografica che è immediatamente riconoscibile in entrambe le pellicole, sintomo che il cinema viene vissuto come strumento per esorcizzare i dolori passati.
Il mio vicino Totoro racconta le giornate di due bambine, Sastzuki e Mei, che si trasferiscono in campagna con il padre mentre la madre è ricoverata in ospedale. L’infanzia lontana dalla figura materna è un esplicito riferimento alla vita di Miyazaki, costretto dall’età di sei anni a vivere lontano da sua madre, ricoverata per un lungo periodo di tempo poiché malata di tubercolosi.
Il regista, più che costruire una trama, narra le sensazioni, le impressioni delle due bambine rispetto al nuovo ambiente in cui sono state catapultate, un ambiente che credono essere popolato da spiriti. L’eventuale presenza di creature immaginarie non è quasi mai motivo di ansia o timore per le due protagoniste, evidente il loro approccio sereno ed entusiasta alla visione di Totoro, un animale gigantesco simile ad un procione o ad un orso, dall’atteggiamento bonario e tenero. La malattia della madre è l’unica nota negativa del film e Totoro, se da una parte incarna la visione innocente delle due bimbe che ad oggi può sembrare una purezza antica, lontana, dall’altra è lo strumento che aiuterà Sastzuki e Mei ad affrontare il dolore e l’ansia per la malattia della madre, un momento di difficoltà che inevitabilmente trasforma le due protagoniste, avvicinandole all’età della maturità.
Rispetto a Il mio vicino Totoro, Si alza il vento si allontana da un’impostazione prettamente fantastica e infantile, presentendosi con un taglio più storico, da adulto. Considerato per un breve periodo di tempo il testamento poetico di Miyazaki prima del suo ritorno annunciato nel 2016, il film narra la vita di un ingegnere aeronautico giapponese realmente esistito Jirō Horikoshi, noto per aver progettato gli aerei da caccia Zero. Miyazaki racchiude in un unico lavoro le sue principali passioni accostando alla matrice biografica, segmenti della sua stessa vita attraverso una chiave più complessa e più matura: la sua passione per gli aerei ereditata dal padre, la fede nella forza dei sogni, il suo spirito pacifista, l’amore per l’Italia e la presenza della tubercolosi che come in Il mio vicino Totoro ritorna come una presenza angosciante. Nonostante lo Zero sia tristemente noto perché utilizzato dai kamikaze che bombardarono Pearl Harbour, Miyazaki non compie un ritratto apologetico della guerra ma si sofferma sulla forza incontrastata dei sogni che è l’unico vento capace di smuovere la vita. Nel protagonista riconosciamo l’ingenuità, la purezza nel guardare il mondo simile a quella dei tipici personaggi dello Studio Ghibli, proprio perché, riprendendo una citazione calviniana, Jirō Horikoshi ‘plana le cose dall’alto’ aggrappato esclusivamente ai propri sogni: io voglio solo progettare aeroplani. Tuttavia, come gli aeroplani, anche i sogni portano il peso del destino ma Jiro, solo alla fine sarà preso dallo sconforto nel vedere il suo sogno tramutato in strumento di distruzione e massacro.