Lo stupro di gruppo di Palermo conferma, ancora una volta, che per noi maschi la violenza sessuale è un codice di condotta trasmesso nell’educazione, anche all’interno delle famiglie, e nelle relazioni interne al mondo maschile: è quello che la studiosa Rita Segato chiama il mandato di violenza.
I maschi devono lavorare per eliminare questo mandato, per imporre, prima di tutto nei mondi concreti e simbolici dei maschi stessi, che si tratta di un mandato di negazione dell’altro e non di affermazione di sé stessi. Noi maschi siamo responsabili del fatto di non aprire una lotta esplicita contro questo all’interno del mondo dei maschi.
Perché bisogna aprire una lotta? E come farlo?
Il perché è duplice. La prima ragione è legata al fatto che le donne, in modo organizzato ma anche individuale, lottano da secoli, con un’accelerazione vittoriosa negli ultimi cinquanta anni, per sconfiggere la cultura e la pratica dello stupro e della violenza di genere. Dunque, le donne hanno fatto il loro percorso, hanno praticato concretamente la loro liberazione dalla violenza: in sintesi, hanno fatto, così come continuano a fare, la loro parte. Quella che è mancata, invece, è proprio la parte maschile. E questo si collega alla seconda ragione: le pratiche dello stupro e della violenza contro le donne e le altre persone associate all’essere femminile sono manifestazioni di rapporti di potere. Si può sconfiggere la violenza contro le donne solo mettendo in discussione i rapporti di potere che permettono ai maschi di agire come se le donne fossero oggetto a loro disposizione o da piegare ai propri piaceri o desideri. Per concretizzare questa messa in discussione è necessario che i maschi stessi – quelli che si proclamano contro la violenza di genere – si contrappongono a tali rapporti di potere.
Come fare, allora? In tanti modi, a più livelli. Per rispondere a questa domanda, ne pongo, in modo preliminare, un’altra: chi tra noi maschi interrompe una riunione di lavoro o una conversazione in palestra o al bar perché qualcuno dei presenti sta facendo battute sessiste? Chi litiga con un altro maschio dicendogli di essere un sessista e che le sue parole sono pessime e da non ripetere dopo avere sentito affermazioni del tipo – ad esempio – “se ha subito violenza, vuol dire che è andata a cercarsela”? Ecco un primo livello nel quale agire, e agire in modo conflittuale, quello della vita quotidiana: il livello della vita nei luoghi di ritrovo e di lavoro.
Un secondo livello è quello più evidentemente politico: è il livello della presa di parola nello spazio pubblico. Dicendo che tutte le espressioni sessiste devono essere chiamate con il loro nome e combattute. In entrambi i livelli, i maschi devono combattere il sessismo e, quindi, il mandato di violenza a cui sono stati formati. Questo modo di agire richiede, però, di agire su un terzo livello: quello individuale, quello della propria formazione e educazione. A questo livello bisogna avere il coraggio di rispondere alla domanda: mi interessa davvero mettere in discussione il mandato di violenza e i rapporti di potere tra i generi di cui beneficio? La risposta a questa domanda – risposta profonda, dunque difficile – è fondamentale per agire sugli altri due livelli. Senza questa risposta – una risposta nel senso della rinuncia a quel mandato e quei benefici – non può esserci da parte maschile opposizione alla cultura e pratica dello stupro. Al contrario, c’è un silenzio che contribuisce tra i maschi a normalizzare gli stupri e da parte di alcuni di essi a cercare di continuare a perpetrarli.