Cos’è un mostro? Spesso, una metafora per quella che viene interpretata come “diversità”, ed è proprio ciò che rappresenta la storia del film Llobas (Werewolf) del regista spagnolo Pau Calpe, in concorso per la 54esima edizione del Giffoni Film Festival nella sezione Generators +18. Il film è un libero adattamento del romanzo Lobisón di Ginés Sánchez e racconta la storia di Adrià, ragazzo muto che viaggia in compagnia del fratello maggiore Ramon e della compagna di lui Tona. Oltre alla sua difficoltà di comunicazione, Adrià nasconde un altro segreto: nelle notti di luna piena, non dorme: si aggira a caccia di animali per consumarli.
Il lupo mannaro, la cui leggenda si basa su una cattiva comprensione di alcune specifiche disabilità o malattie, è da sempre considerato il simbolo di tutti coloro che vivono una dimensione liminale e sospesa tra l’invisibilità e l’emarginazione, e la storia di Adrià non fa eccezione: la distanza con la famiglia non è soltanto emotiva, ma ha una profondità tale da rendere impossibile comunicarla in qualsiasi modalità. E i vuoti di comunicazione diventano violenza, una violenza che in questo caso non è rivolta ai familiari o ai coetanei (praticamente assenti), ma alla natura. Un lupo mannaro è parte della natura, ma non abbastanza da poter essere libero al suo interno, quindi l’uccisione di animali risponde ad una necessità ancestrale del predatore unita alla volontà di non nuocere al mondo umano, al quale Adrià sente comunque di appartenere.
La vita di Adrià, così rappresentata, non è certo quella di un adolescente come tutti gli altri: lui, il fratello e la cognata vivono in una roulotte che viaggia di luogo in luogo, dove i tre sopravvivono attraverso piccoli espedienti, insieme ad un cane trovatello al quale Adrià viene quasi equiparato dalla narrazione. L’associazione della trasformazione (mai mostrata nel film) in lupo mannaro ai cicli della luna piena è anche lo specchio dei cicli che continuano a ripetersi nella vita del giovane: l’arrivo in un posto nuovo, le dinamiche che portano all’ostilità con chiunque incontrino, la violenza, la fuga. Questa ruota karmica del disagio sembra quasi impossibile da fermare, e forse è proprio questo ciò di cui Calpe desidera parlare: per chi è marchiato con i segni della diversità, la sensazione più pervasiva è quella di essere bloccati in una pantomima che si ripete sempre uguale a se stessa, impossibile da raccontare a chi quella diversità non la vive affatto, complicata da fermare anche quando toglie il respiro.
Il mondo rurale rappresentato nel film non è il luogo ameno che si potrebbe immaginare quando si pensa ad una campagna Mediterranea: è una terra arsa e inospitale, che sembra emanare un calore soffocante anche quando non dovrebbe. Ed è questa sensazione così pressante a far da padrona in Llobas, che dall’inizio alla fine non offre alcun tipo di consolazione agli spettatori.