L’Europa, “il soggetto automatico” e il capitalismo al capolinea

La faglia storico-politica e l'attuale situazione di crisi fanno emergere una dinamica della contraddizione del capitalismo che contiene in sé una tendenza al collasso, una cieca dinamica determinata dalle azioni umane incontrollate dalla quale non è possibile prescendere

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Caro direttore,

ho avuto modo di leggere della tua iniziativa che prova a fare il punto dell’odierna situazione storico-politica dell’Europa innestandola su una ripresa degli scritti di Geppy Rippa direttore dei ” Quaderni Radicali” e di Silvio Pergameno che fu tra i fondatori del Partito Radicale nonché sodale di quell’Altiero Spinelli cui si deve la stesura del famoso “Manifesto di Ventotene”.
La faglia storico-politica e l’odierno stato di crisi che la caratterizza fanno sì che la riproposizione degli scritti prima ricordati offra l’opportunità di cogliere la sostanza problematica del nostro tempo storico, sottolineando però che è proprio a partire dal valore apologetico di quei contributi, e quindi del loro tenore ideologico, che si può cogliere la genesi e lo sviluppo di ciò che, dell’Europa, hai caratterizzato con la metafora di “una realtà e un valore sempre più avvolti da una nube turbocapitalistica… che sembra travolgere le intenzioni dei padri fondatori”.

Scorrendo i titoli della stampa di questi mesi di fatto si è ben oltre la dissoluzione dei “principi ispiratori” cui avrebbero attinto i cosiddetti “padri fondatori” nella loro ispirazione: la matrice liberaldemocratica da cui i cattolicissimi Adenauer, Schumann e De Gasperi estrassero l’ “astrazione Europa” è del tutto consegnata agli archivi della storia come una reliquia su cui non solo la stampa ma la stessa riflessione politica deposita incongrue  nostalgie e sinistri interrogativi incardinati in aporie che una rapida rassegna giornalistica caratterizza in modo esplicito:
“L’Europa è stato un bluff senza qualità, un bluff globale come esito dell’autunno dell’impero americano”;
“C’è la guerra in Europa ma non ci sono gli europei “;
“L’Europa non è un soggetto politico, bensì l’insieme di 27 competitori politici”;
“L’Europa senza America”;
“Deglobalizzazione: l’economia come arma” ecc.ecc…..

Qui la “sintesi giornalistica” esprime molto bene lo stato di indigenza della riflessione critica che attraversa l’intero campo politico come esito di un complessivo e irriflesso allineamento alle categorie proprie dell’assetto capitalistico.

Se dovessimo tornare a rivedere tutto il dibattito storico, sarebbero due realtà a richiamare la nostra attenzione: da una parte, la fobia rispetto all’idea di limite interno della logica neoliberista la cui teoria del collasso è stata fin dall’inizio uno scandalo e un estremo imbarazzo anche ai tempi di notabili marxisti, permanendo anche a fronte di specifiche esperienze storiche: essa non solo non è mai diventata egemone in tale ambito, ma continua a essere rimossa dal mainstream capitalistico nel bel mezzo delle odierne catastrofi della storia mondiale.

Dall’altra parte, però, quel che è palese è la mancanza di profondità nella riflessione teorica intorno a questo dibattito, la rapidità con la quale si passa sopra il concetto di “dinamica capitalistica ” e quanto poco si tenga in considerazione tutto l’armamentario concettuale che era già rappresentato da Marx: la critica non viene poi così tanto sviluppata in maniera immanente e fondata sulla cosa in sé – in particolare sulle contraddizioni interne della riproduzione capitalista nell’ambito di un processo storico dinamico – ma pretende di passare a lato della cosa, per arrivare il prima possibile ad un’altra cosa del tutto differente…

Questo problema va ripetendosi da tempo e si trascina per tutto il dibattito intorno alla crisi o al collasso.
Così, tirare fuori dalla formaldeide “l’idea di Europa” come deus ex machina occulta una delle fonti della crisi: la sfera politica, dalla quale, come si sa, provengono anche istanze emancipatorie fino alla retorica dei diritti come espressione di quell’universalismo illuministico in formato “esportazione”.

Sicché tutto il lottare e richiamarsi alle sacre fonti rimane sotto l’egida di una falsa oggettività, in quanto non passa dalla critica della forma e della sostanza di quella “teologia politica ” che conosciamo sotto la forma di “economia di mercato” incarnata nella forma-soggetto dell’homo economicus. E se questo non avviene è esattamente perché siamo del tutto “fuori da questa connessione”, fino al punto da considerare tutto l’odierno “dibattito” politico come pura astrazione vuota della “politica”.

Ricorrendo a una comparazione con la fisica possiamo parlare di “campo storico” sul quale indugia un deficit sistematico di percezione del pensiero postmoderno, la cui visione della contingenza è intesa come “meramente diffusa”. Ma una volta costituito un tale campo va ribadito che occorrerebbe confrontarsi con due distinte nuvole di probabilità: una è la nuvola di probabilità di ordine superiore della storia, a partire dalla quale i campi storici, o formazioni, si condensano, e, l’altra, una nuvola di probabilità secondaria a partire dalla quale la storia interna di tale campo si sviluppa secondo il modello della sua specifica matrice.
Naturalmente, va specificato subito che questa concettualità, pur rappresentando una generalizzazione, è dovuta interamente all’esperienza criticamente elaborata della costituzione sociale capitalistica moderna.

Senza nessuna nuova “ideologica filosofia della storia”, è pertanto necessario evitare gli errori della filosofia dell’illuminismo e del materialismo storico, entrambe le quali, in un caso affermativamente, nell’altro con intento critico, hanno “ontologizzato trans-storicamente” le categorie capitalistiche moderne, con le quali il materialismo storico ha rivestito la storia di una logica di sviluppo dinamico, come “dialettica delle forze produttive e relazioni di produzioni”, che nella realtà caratterizza soltanto il capitalismo quale moderna socializzazione del valore.

Fra tutti i campi storici, quello capitalista della modernità è l’unico la cui matrice abbia prodotto la dinamica interna di un processo cieco di contraddizione nella realizzazione del modello di azione e, insieme a questo, un’oggettività della “seconda natura” che può provocare un collasso oggettivo.

In tal senso va assolutamente specificato che non si tratta della “contingenza della storia all’interno del capitalismo”, ma della questione della “logica del collasso” che si riferisce inequivocabilmente al “campo capitalista in quanto tale”.
Se la dinamica della contraddizione del capitalismo contiene in sé una tendenza al collasso, allora questo è il risultato di tale oggettivazione del campo con queste qualità. La costituzione di questa oggettivazione delle categorie e della loro cieca dinamica di collasso, in quanto processo logicamente determinato, è di fatto determinata dalle azioni umane ed è realizzata dalle azioni umane; ma non dalle azioni e dalla loro intenzionalità immediata, bensì dal fatto che queste azioni, in un processo incontrollato, hanno prima costituito una matrice, un quadro d’azione, che si è “oggettivato” nelle categorie sociali e ha dato luogo a una dinamica di contraddizione che si è autonomizzata; e nella misura in cui il successivo agire “si realizza dentro queste categorie” e secondo questa matrice, gli esseri umani, senza che siano coscienti di questo e senza che su questo abbiano controllo, mettono in moto essi stessi il motore categoriale dell’autocontraddizione e del programma del collasso.

Il “soggetto automatico” non è altro che l’automovimento delle categorie reali capitalistiche che sono state create inconsciamente dagli esseri umani e che si mettono in movimento in maniera autonomizzata proprio perché gli individui realizzano la propria vita in queste categorie, senza voler immaginare niente di diverso per sé e cercano ad ogni costo la loro felicità nella soddisfazione delle esigenze prodotte da questa matrice.

Decisivo, ai fini di una critica radicale delle “emergenze empiriche” del richiamato “soggetto automatico” è la conseguente critica della “forma-soggetto” a esso corrispondente, ovvero la conoscenza della struttura di tale “soggetto”.

Esso non è di fatto ” l’essere umano” in quanto tale, ma il soggetto maschile bianco occidentale( MBO) della modernità quale portatore di azione di questa ontologia.

Va da sé che il contenuto della critica non può solo reiterare l’eterna invocazione del “soggetto illuministico” e delle relative categorie di cui è espressione, bensì rendersi conto che è proprio la cieca e ottusa persistenza di tale reiterazione ad alimentare il nostro odierno “disagio nella civiltà “.

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