Le vaghe stelle dell’orsa, memoria nel post-covid

Cosa resta oggi di un trauma che ha rimodulato il normale corso degli eventi della nostra vita, collettiva e individuale?

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Il grande trauma collettivo della pandemia è ancora tra noi, dentro di noi. È questa la conclusione di molti studi che le neuroscienze hanno formulato, indagando sulle conseguenze che un evento di questa portata e le sue connessioni con la mole abnorme di rapide e, a volte, contrastanti informazioni, hanno prodotto sull’assetto psicologico delle persone.

Nelle difficoltà e nell’incapacità di dare un ordine al tempo che abbiamo vissuto e che, in forma diversa, stiamo ancora vivendo, è quasi fisiologico risalire al “prima”, a quando tutto non si era ancora presentato e che oggi ne linguaggio comune ha una data finale, il 2019, l’ultimo anno del “prima”

Cosa resta oggi nella percezione psicologica di massa? Di un trauma che ha rimodulato il normale corso degli eventi della nostra vita, collettiva ed individuale? La risacca ha lasciato intatti i “detriti” invisibili che hanno la forma uno stato d’ansia prolungato, costante, pur affidando al tempo che passa la voglia di lasciarsi tutto alle spalle.

L’esercizio della memoria, lo spiegava bene Giordano Bruno, è un viaggio a ritroso tra le ombre, il passato non è mai limpido, anche in condizioni normali. È un percorso di conoscenza, il tentativo di recuperare un frammento della nostra vita che condizioni eccezionali, mai vissute prima, hanno dilatato e poi compresso nel perimetro del vissuto.

Fossimo poeti potremmo affidarci ai versi per intraprendere un viaggio alla ricerca del tempo perduto, sottratto alla nostra libera determinazione; un tempo che oggi ci appare indefinito e vago come le “vaghe stelle dell’orsa” delle Ricordanze di leopardiana memoria.

All’uomo comune tutto questo non è dato, è costretto a ricomporre negli angusti spazi della memoria un tempo cristallizzato, immobile, reso statico dall’isolamento forzato.

L’assenza della normale routine degli eventi ha reso difficoltoso il recupero delle sequenze di vita durante il periodo della pandemia, eppure non vi è stata una rimozione in senso psicoanalitico, piuttosto un’alterazione anomala della relazione tra il nostro “archivio” e la realtà circostante.

Ricordiamo l’inizio e la fine, il giorno in cui il governo ha deliberato la chiusura di quasi tutte le attività e la “reclusione” per il contenimento del contagio, altresì ricordiamo il giorno in cui sono iniziate a cadere le restrizioni, avendo di nuovo la possibilità di uscire di casa liberamente.

Tutto ciò che c’è stato in mezzo, oggi risulta nebuloso, come se la monotonia avesse tinte fosche; un tassello di vita che non ha nessun colore, nessun sapore.

I ricordi possono fungere da stimoli per una variegata gamma di stati d’animo, gioiosi, tristi, melanconici, nostalgici; lo shock pandemico ci ha messi di fronte ad una prova, affidare alla memoria il mantenimento di un tempo non soppresso, ma sospeso e questo basta per non affidarlo all’oblio.

Forse è passato ancora troppo poco tempo dall’annus horribilis 2020, il trascorrere dei giorni a venire potrebbe favorire l’affiorare di ricordi, che, ad oggi, la nostra mente rifiuta o ha semplicemente accantonato. Ci possono essere periodi della nostra vita la cui comprensione è subordinata a lunghe scadenze. Di solito sono fasi di passaggio, trasformazioni, scelte compiute o accadimenti che sfuggono totalmente al nostro controllo; in questo caso lo sforzo non sta tanto nel comprendere, quanto nel ricordare un pezzo di vita sottratto al tempo.

In fondo, non sono forse questi i ricordi?

 

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