Il cosiddetto logos tripolitikòs, il dibattito sulle tre canoniche forme di governo, collocato nel terzo libro delle Storie è il primo testo per noi superstite sulla distinzione e sulla definizione delle tre politeiai. Il racconto è ambientato nel periodo turbolento che segue la morte di Cambise e il colpo di stato dei sacerdoti egiziani (i Magi) che verranno successivamente uccisi da sette nobili persiani uniti in una congiura. Fra essi Otane, Megabizo e Dario riflettono circa il nuovo assetto da dare alla Persia, pronunciando tre perorazioni rispettivamente a sostegno del governo dei molti, dei pochi, di uno solo.
«Dopo che il tumulto fu ricomposto (…) furono pronunciati discorsi incredibili per alcuni dei Greci, e tuttavia furono davvero pronunciati. Otane proponeva di conferire il potere politico a tutti i Persiani. Diceva così: “io credo che una sola persona non debba più essere il nostro monarca: soluzione non desiderabile, questa, né giusta. Avete conosciuto la prepotenza di Cambise, e il punto sino al quale si è spinta, e avete provato anche quella dei Magi. Come potrebbe essere un’entità adeguata, la monarchia, quando a una sola persona è possibile fare ciò che vuole senza renderne conto? Anche l’uomo migliore, infatti, investito di questo potere, sarebbe trascinato al di fuori dei suoi normali propositi. Perché s’ingenera inlui, per via dei beni a sua disposizione, la presuntuosa prepotenza, mentre l’invidia è connaturata all’uomo sin da principio. E chi ha questi due vizi li ha tutti quanti: molte assurde efferatezze le commette perché si è pasciuto di prepotenza, molte altre perché saturo di invidia. E dire che un sovrano non dovrebbe essere invidioso, avendo a disposizione ogni bene; all’opposto di questo, invece, è il suo comportamento verso i cittadini: invidia i migliori che gli restano intorno vivi, mentre si compiace dei cittadini peggiori, ed è bravissimo a dar credito alle calunnie. La cosa più assurda di tutte è che se lo veneri con misura se la prende perché non lo si onora oltremodo, e se lo si onora oltremodo se la prende perché lo si adula. Ma vengo subito a dire le cose più gravi: sovverte la tradizione dei padri, violenta le donne, mette a morte senza processo. Quando invece è la massa popolare a governare, essa ha in primo luogo il nome più bello di tutti, isonomia -parità di diritti e doveri- e in secondo luogo non commette nessuno degli abusi del monarca. Esercita le magistrature tramite sorteggio, ha un potere sottoposto a controllo, e porta tutte le delibere nella pubblica assemblea. La proposta che faccio, pertanto, è che noi abbandoniamo la monarchia e conferiamo autorità alla massa popolare: perché è nella maggioranza che risiede ogni risorsa”. Questa era dunque la proposta avanzata da Otane, mentre Megabizo proponeva di ricorrere all’oligarchia. Diceva così: “quanto ha detto Otane, suggerendo di porre fine alla tirannide, sia come se l’avessi detto anch’io. Ma quando egli invita a trasferire il potere alla massa popolare, non ha colto la risoluzione migliore: non vi è nulla di più dissennato e violento di una folla buona a nulla. E non si può certo tollerare che uomini intenti a sottrarsi alla prepotenza di un tiranno cadano preda di quella di un popolo sfrenato. L’uno infatti, se fa qualcosa, lo fa consapevolmente, mentre nel popolo non vi è neppure questa consapevolezza (…). Si valgano dunque del popolo coloro che vogliono male ai Persiani: noi, invece, selezioniamo un gruppetto tra gli uomini migliori, e conferiamo loro il potere. S’intende che nel novero ci saremo anche noi, ed è naturale che dagli uomini migliori scaturiscano le migliori decisioni”. Questa era dunque la proposta avanzata da Megabizo, mentre Dario esponeva per terzo la propria, e diceva: “io credo che le parole di Megabizo a proposito della massa popolare siano giuste; meno giuste, invece, quelle sull’oligarchia. Poniamo dunque tre forme di governo, e tutte ottime in teoria — le forme migliori di governo popolare, di oligarchia e di potere monarchico: ebbene io dico che quest’ultimo è di gran lunga il migliore. Perché nulla potrebbe apparire preferibile al potere di un unico uomo, quand’egli è il migliore: avvalendosi di questa sua intelligenza saprebbe governare la massa in modo irreprensibile, e così soprattutto potrebbe tenere segreti i piani contro i nemici. In un’oligarchia, al contrario, dove molti gareggiano nell’affinare le proprie doti al servizio della comunità, finiscono di solito per ingenerarsi feroci inimicizie private: dato che ciascuno vuole primeggiare e avere la meglio con le sue proposte, arrivano a odiarsi fortemente a vicenda, e di qui insorgono sedizioni, e dalle sedizioni strage, e dalla strage si finisce per approdare alla monarchia, che anche in questo caso dimostra assai bene quanto essa sia la forma migliore. Quando poi è il popolo ad avere il potere, è impossibile che non s’ingeneri abiezione (…). Per riassumere e dire tutto in una sola parola, da dove ci è venuta la libertà e chi ce l’ha data? Un governo popolare, un’oligarchia o un monarca? Il mio parere, pertanto, è che noi, liberati grazie a un unico uomo, continuiamo a preservare questa forma di governo, e che comunque, anche indipendentemente da ciò, non distruggiamo le istituzioni dei padri, che sono sane: non ne avremmo un vantaggio”. Queste erano dunque le tre proposte che furono avanzate, e gli altri quattro -dei sette dignitari- aderirono a quest’ultima. Sconfitto con quella per cui si adoperava -istituire l’isonomia tra i Persiani- Otane fece loro questo discorso, in mezzo all’assemblea: “compagni di lotta, è ormai del tutto chiaro, mi pare, che uno solo di noi deve diventare re, che lo si designi tirando a sorte, o affidandone la scelta alla massa popolare dei Persiani, o con qualche altro meccanismo: io, per parte mia, non mi metterò in competizione con voi. Perché non voglio né esercitare né subire il potere. E la condizione a cui ritiro le mie aspirazioni al potere è appunto questa, di non dover subire il potere di alcuno di voi: né io in prima persona, né i miei discendenti, per sempre”. Così disse, e poiché gli altri sei acconsentivano alle sue proposte, egli rinunciava davvero a competere con loro, e se ne restava al di fuori. Ancora oggi questa casata, unica tra i Persiani, continua a essere libera, ed è soggetta al potere solo nella misura in cui lo desidera, senza trasgredire le leggi dei Persiani.»
Erodoto, Storie, L. III, 80-83; (traduzione di Camillo Neri)