L’attività politica che sostiene e connota la vita delle nostre pubbliche amministrazioni è talvolta più complice che vittima della paludata burocrazia che ci affligge. In alcuni casi, le attenzioni istituzionali sono più rivolte a scegliere personale gestibile e fidelizzabile che funzionari competenti e liberi dagli interessi elettorali e di casta. Si verifica, così, una proliferazione di annunci normativi senza che, poi, ci si impegni concretamente per dare attuazione alle prescrizioni di legge. Il tutto, con una grande dispersione di tempi e con attese che pregiudicano o affossano del tutto le attività private. Si dà importanza e valore al ruolo “strategico” degli addetti più che avere riguardo all’interesse collettivo, che risulta travolto con conseguente pregiudizio per i diritti degli ultimi, come accade quando la richiesta è finalizzata – e il caso di Villa dei Fiori è un esempio eloquente – a potenziare e rinnovare servizi di prima necessità nell’interesse di categorie svantaggiate.
Nelle pubbliche amministrazioni, specie quelle meridionali, dovrebbe farsi largo un reclutamento del personale ispirato dal merito, nonché dalle capacità attitudinarie e interpretative degli addetti, il che dovrebbe preludere a una profonda e innovativa riscrittura dei controlli anche civili e penali. D’altra parte, favorire una moderna ed efficiente capacità amministrativa è una finalità imposta da leggi e regolamenti anche per poter utilizzare i fondi strutturali. Si chiama, con linguaggio comunitario, “capacity building”. Il che significa che nessun territorio, specie quelli meridionali segnati da un ritardo storico in termini di sviluppo, può affacciarsi sul futuro e realizzarsi in maniera competitiva senza le competenze necessarie. Nel depresso Sud si va addirittura oltre e si ritardano le decisioni o le si articolano anche contro il diritto per creare pregiudizio a operatori che, probabilmente, vengono considerati poco funzionali a un progetto elettorale e di puro potere. Naturalmente, non è il caso di generalizzare, ma quando ciò accade le conseguenze sono dannosissime e provocano disagio e danno non solo a chi incappa in questi meccanismi oscuri e impuri ma a tutta la società che finisce per vedersi privata di opere e di servizi. La pubblica amministrazione, quindi, da alleata, quale dovrebbe essere, finisce per diventare ostile al cittadino, se non addirittura antagonista. Di qui l’invito dei sindacati, a proposito della vicenda di Villa dei Fiori, affinché la politica non abdichi al proprio ruolo a favore della burocrazia.
L’amministrazione pubblica, tra l’altro, non dovrebbe essere ermetica nelle sue decisioni e nei suoi percorsi burocratici. Al contrario dovrebbe, sin dall’inizio del percorso che il privato intraprende, far conoscere con chiarezza quali sono gli obiettivi possibili e quali quelli vietati, come costruire la pratica o il procedimento, ponendosi fattivamente al servizio del cittadino e dell’impresa. Invece accade che si frappongano soltanto ostacoli, spesso artificiosi, senza mai chiarire come superarli per poter raggiungere l’obiettivo. Questa deriva impone serie riflessioni in termini di legalità e di modernità della pubblica amministrazione e suscita inquietanti interrogativi sulle strategie e sulle finalità di tali condotte. Al punto che alcuni interventi della magistratura, teoricamente non auspicabili perché limitativi del valore e dell’autonomia della pubblica amministrazione e anche della politica, finiscono per apparire indispensabili per rimediare ai danni e ricostruire una certezza del diritto senza la quale la democrazia perde il suo valore sia formale che sostanziale.