Le Grandi speranze di riparare agli errori e ripartire

Nell'ultimo romanzo di Charles Dickens alla delusione corrisponde la certezza di capire che cosa davvero rende felici, e il mondo torna ad essere un luogo ospitale. L'eroe non scompare ma diventa singolare, alle prese con un’impresa più difficile di tante altre: perdonarsi e ricominciare da capo

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Era il dicembre del 1860 quando in Inghilterra veniva pubblicato a puntate, sulla rivista All the year round fondata dall’autore medesimo, l’ultimo romanzo di Charles Dickens: Grandi speranze.

Nei suoi saggi critici sull’opera di Dickens, G. K. Chesterton attribuì all’ultimo lavoro “una serena ironia, una pacata tristezza” e “quel garbato cinismo proprio della vecchiaia”. Chesterton ripercorre la centralità della speranza nell’esperienza e nella produzione dell’autore: “potremmo tranquillamente applicare il titolo Grandi speranze a qualsiasi libro di Dickens. Tutti i suoi libri sono colmi di un’ariosa, eppure ardente speranza verso ogni cosa […] tutti i suoi libri si sarebbero potuti chiamare Grandi speranze. Ma l’unico così intitolato è il solo nel quale la speranza non si realizza mai. […] Se Dickens avesse mai saputo di essere un ottimista avrebbe cessato di essere felice”.

E in effetti, leggere le opere di Dickens riesce così piacevole anche in virtù della fiducia che egli è in grado di infondere attraverso le sue pagine: anche nelle svolte narrative più buie, nelle situazioni più miserabili che i protagonisti si ritrovano ad affrontare, c’è qualcosa – la delicatezza con cui le parole sono messe in fila, quel disvelare al lettore le brutture del mondo quasi con dispiacere, la tenerezza con cui i personaggi vengono dipinti – che arriva dritta al cuore come una sorta di silente consolazione.

In Grandi speranze, di cui si sono susseguite, innumerevoli nel tempo, le trasposizioni e le riscritture – la speranza e l’ottimismo trovano nuove vie per affiorare. La storia è quella di Pip, orfano che vive con la sorella e il cognato fabbro, Joe: quest’ultimo compensa con il suo affetto incondizionato la prepotenza della consorte nei confronti del giovanissimo protagonista. Pip si ritrova, suo malgrado, ad aiutare un uomo evaso nella sua fuga, il quale avrà poi un ruolo importante nello sviluppo della storia; per aiutare economicamente la famiglia, il ragazzino prende a frequentare la casa dell’anziana signorina Havisham. E chi meglio di questo personaggio ineffabile è in grado di incarnare il sogno infranto, e di presagirne altri? Abbandonata decenni prima dal promesso sposo nel giorno delle nozze, la donna ha infatti continuato a vivere nella sua dimora lasciando intatti gli addobbi nuziali e vestendo sempre l’abito da sposa. La sua unica ambizione è di crescere la giovane, splendida Estella – da lei adottata – insensibile al cuore degli uomini.

A un certo punto della vicenda, la fortuna sembrerà arridere al protagonista: Pip partirà alla volta di Londra perché un misterioso tutore decide di sostenere le spese della sua educazione. Mosso da improvvisa superbia, il ragazzo si allontanerà dalla famiglia e dagli affetti d’origine, vergognandosene.

In questo romanzo di formazione caratterizzato da una narrazione in prima persona, nei capitoli iniziali la scrittura restituisce le impressioni del giovanissimo protagonista, reggendosi sull’ironia e sulle descrizioni:

«Era una mattina molto fredda e umidissima. Avevo visto l’umidità appiccicata all’esterno della mia finestrella, come se qualche folletto avesse pianto lassù tutta la notte, servendosi della finestra come di un fazzoletto». (Grandi Speranze, Einaudi, 2014).

L’infanzia sa essere un terreno difficile, e pochi autori lo raccontano bene quanto Dickens. Pip diventerà un uomo, ai suoi occhi la realtà mostrerà quelle verità dapprima nascoste: quando il pentimento si farà strada nel suo animo, gli sarà finalmente perdonata la mancata modestia. Contrariamente a quanto accaduto alla signorina Havisham, il protagonista sceglierà di fare i conti con il passato e di andare oltre, lasciando dietro di sé il rancore e l’amarezza. Prima fra tutte, l’amore non corrisposto da Estella:

«Ma tu fai parte della mia esistenza, sei una parte di me stesso. Sei stata in ogni riga che io abbia mai letto, da quando venni qui per la prima volta, quel ragazzo rozzo e volgare, di cui sin d’allora hai ferito il povero cuore. […] fino alla mia ultima ora, tu rimarrai una parte del mio essere, una parte sia di quel poco di buono che vi è in me, che del male. Ma in questa separazione io ti associo unicamente con il bene, e fedelmente ti unirò sempre al bene, poiché tu mi hai fatto assai più bene che male, per grande che sia il dolore che provo ora».

 Le delusioni fanno crescere, sembra dire Dickens. Ma forse alla delusione corrisponde poi la certezza di capire che cosa davvero rende felici, e il mondo torna ad essere un luogo ospitale. La cocente rassegnazione condurrà Pip alla consapevolezza: egli guarderà alle “grandi speranze” di un tempo come ai desideri di un cuore ingenuo che ancora non conosceva bene sé stesso né la vita.

In quest’ultimo romanzo, allora, non è vero che l’eroe scompare. È un eroe singolare, alle prese con un’impresa forse più difficile di tante altre: riparare i propri errori, perdonarsi e ricominciare da capo. Senza che questo significhi abbandonarsi all’infelicità. Nell’era dell’ostinata perfezione, Grandi speranze ricorda ai lettori di qualsiasi età che la vera ambizione coincide col restare fedeli a sé stessi.

 

 

Annateresa Mirabella

Nata nel 1996, è laureata in Semiotica e in Filologia Moderna. Attualmente frequenta il master in Critica Giornalistica presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico

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