La guerra è sempre più collegata all’ecocidio, cioè alla distruzione sistematica e con effetti di medio e lungo periodo degli ambienti di vita.
Gli esempi attuali sono più di uno. Due casi, tra altri, sono eloquenti. Il primo è quello dell’azione condotta dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza negli ultimi undici mesi, con anticipazioni già negli anni passati. Su questo si può leggere quanto dichiarato dal direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) Inger Andersen nel giugno del 2024: “non solo la popolazione di Gaza sta affrontando sofferenze indicibili a causa della guerra in corso, ma il significativo e crescente danno ambientale a Gaza rischia di bloccare la popolazione in una dolorosa e lunga guarigione. Sebbene rimangano molti interrogativi sull’esatta tipologia e quantità di contaminanti che colpiscono l’ambiente di Gaza, la popolazione vive già oggi le conseguenze dei danni ai sistemi di gestione ambientale e del’inquinamento legati al conflitto. L’acqua e i servizi igienici sono crollati. Le infrastrutture fondamentali continuano a essere decimate. Le aree costiere, il suolo e gli ecosistemi sono stati gravemente danneggiati. Tutto ciò sta danneggiando profondamente la salute delle persone, la sicurezza alimentare e la resilienza di Gaza”.
Il secondo caso è quello dell’Ucraina. Nel luglio del 2022, l’UNEP ha pubblicato un rapporto in cui ha riconosciuto che “il monitoraggio preliminare del conflitto in Ucraina indica impatti significativi sugli ambienti urbani e rurali che potrebbero lasciare al Paese e alla regione un’eredità tossica per le generazioni a venire”.
Nel 2023, Oleksandra Shumilova e altri ricercatori hanno pubblicato un articolo per la rivista “Nature” sull’impatto della guerra sulla gestione dell’acqua, concludendo che numerose infrastrutture idriche, tra cui dighe e serbatoi, sistemi di approvvigionamento e trattamento dell’acqua e miniere sotterranee, sono state colpite o sono a rischio a causa delle azioni militari. Il conflitto in corso pone minacce significative alla sostenibilità, con implicazioni di vasta portata non solo per l’Ucraina, ma anche a livello globale, ostacolando i progressi verso l’acqua pulita e i servizi igienici, la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse idriche, nonché la sicurezza energetica e alimentare.
Molteplici sono le ricerche su questi casi e molti altri, ad esempio in Etiopia e Myanmar, ricordando che “le insidiose conseguenze ambientali dei conflitti spesso persistono a lungo dopo che le bombe sono cadute nel silenzio” (Anyadike, 2024). Un articolo pubblicato sulla rivista “Science of the total environment”, basato sullo studio di 193 casi, ha dimostrato che le guerre hanno effetti profondamente dannosi sull’ambiente, riconoscendo che i bombardamenti aerei, in particolare, hanno gravi impatti negativi, tra cui la distruzione degli sforzi di conservazione, il danneggiamento degli alberi, l’alterazione del paesaggio e il degrado della salute del suolo. Inoltre, le guerre portano allo sterminio della fauna selvatica, alla perdita di nicchie ecologiche e all’aumento dell’inquinamento atmosferico e delle acque. Nonostante la conoscenza di questi effetti, l’articolo sottolinea che i leader e il personale militare hanno mostrato scarsa preoccupazione per gli impatti ambientali e sono stati compiuti sforzi limitati di ripristino postbellico per mitigare i danni causati dalle guerre.
Il nesso più generale che collega guerra, ecocidio e occupazione dei territori è già stato evidenziato in precedenza, a partire dalla guerra in Vietnam, nel cui contesto il termine ecocidio fu introdotto dal biologo Arthur Galston. Successivamente, ad esempio, Paul Guernsey della Pennsylvania State University ha riconosciuto che i modi di vedere delle forze occupanti colonizzatrici “offuscano i modi in cui le comunità native vivono le emergenze ambientali come cicli di violenza di insediamento coloniale ed ecocidio”.
La devastazione degli ambienti di vita durante le guerre è anche collegata a quello che il geografo Jim Glassman definì il nesso strategico tra ecocidio e controinsurrezione. Nel suo studio fondato sull’analisi della guerra in Vietnam, pubblicato nel 1992 dalla rivista “Refuge: Canada’s Journal on Refugees”, egli individuò l’ecocidio come pratica della più generale pianificazione della contro-insurrezione, e quindi come vera e propria tattica militare, connessa allo sfollamento dei territori. Egli individuò un nesso divenuto sempre più evidente nei decenni successivi tra guerra ed ecocidio, con l’ecocidio divenuto una vera e propria arma: dunque, non un effetto collaterale ma un elemento costitutivo della più generale azione militare. La devastazione ambientale, in altre parole, come iniziativa ricercata attivamente all’interno della più generale strategia militare.
Con questa volontà distruttrice molte popolazioni si confrontano quotidianamente nel mondo. Noi che viviamo in una parte del pianeta che, spesso, sostiene tali guerre, dobbiamo chiederci da che parte stare: con la vita o con la guerra.