Ancora da un continente all’altro, ancora dall’Italia e quindi Europa agli Stati Uniti dopo essere passati per Cuba. Il passaggio, quindi, da Salerno (Alfonso Deidda) a Los Angeles (Peppe Merolla) è istantaneo. Con le classiche videochiamate, piattaforme come Skype, Zoom, Google Duo, Facetime ed altri programmi, possiamo avere tutti vicini e – per quello che mi riguarda – anche contattare un grande musicista italiano che da decenni è radicato, ormai, negli States.
Merolla, batterista, negli Stati Uniti ha fatto la classica gavetta, facendosi accettare, lui uno yankee, dai musicisti di colore, entrando nelle loro simpatie. Merolla, un musicista bianco, ha studiato come un matto e da intelligente (perché la musica non è fatta solo di cuore ma soprattutto di cervello e d’intelligenza) ha abbattuto lo stereotipo del musicante che suona solo per divertimento, diventando un apprezzato e ricercato batterista. Ha scalato tutta la gerarchia dei musicisti sino ad arrivare nell’elite e nel gotha della musica jazz americana. Il lavoro e lo studio assiduo pagano eccome e l’artista italoamericano, diventato un vero king of drummers, ne è la dimostrazione vivente. I grandi nomi del jazz americano lo cercano per ogni jam session o partecipazione a lavori discografici. Lo hanno voluto i coloured (il jazz, si sa, è ad appannaggio dei neri americani) e lo hanno reclamato nelle loro band. Un italiano, un napoletano che porta alto il nome della nostra Nazione nel mondo.
Peppe Merolla, in tutto il mondo, viene poi chiamato anche per spiegare cosa è la batteria, a cosa serve, viene chiamato per innumerevoli master o seminari, infinite masterclass (riservate ai pochi) e soprattutto per trasmettere nuovi tempi che lo strumento principe della ritmica detta. Il suo modo di suonare ha affascinato moltissimi musicisti, artisti che lo hanno voluto accanto a loro sul palco ed esattamente dietro le classiche pelli di quella batteria che magicamente percuote: George Garzone, John Lockwood, Tim Ray, Russel Ferrante (Yellowjackets), Harold Mabern, Vincent Herring, Steve Turre, Eric Alexander, Nat Reeves, Larry Schneider, Richie Cole, Joe Mignarelli, Jim Rotondi, Philip Upchurch, Bruce Forman, Frank Lacy, John Farnsworth, Eddie Henderson, Steve Davis, Jeremy Pelt, Mike Ledonne, Norman Brown, Gerald Cannon, Dwayne Burno, Pat Bianchi, Calvin Eyes e diversi altri ancora. Peppe Merolla adora il jazz italiano ed in particolare ama ascoltare la musica di Alfonso Deidda.
«Quel salernitano amico mio ha molta intelligenza musicale. È un ragazzo colto da quale traspare l’amore per Charlie Parker, soprannominato ‘Bird’ o ‘Yardbird’ e ciò sta a significare il classico ‘da dove vieni’. Sentire la note che definirei quasi nobili è per me un grande piacere. Senza dubbio, dei tre brothers, Alfonso è il più gentile e quello più (musicalmente) intelligente.»
‘You Know?’ … è l’intercalare che ha usato con me, in uno slang tra napoletano misto a italiano e americano. Il ragazzino Merolla comincia a suonare la batteria all’età di sette anni e prendendo lezioni da Antonio Golino e Walter Scotti. Entra, poi, al Conservatorio, quello di ‘San Pietro a Majella’ di Napoli dove si diploma in tromba. Il suo destino è, però dietro una batteria ed a diciotto anni. Inizia a registrare ed a suonare con i migliori jazzisti italiani e tra questi Enrico Rava, Guido Pistocchi, Franco Coppola, Antonio Balsamo, Marco Zurzolo, Larry Nocella, Franco De Crescenzo, Aldo ed Angelo Farias, Antonio Onorato, Jerry Popolo, Alfonso Deidda, Giovanni Amato, Furio Di Castri. Nella veste di turnista registra più di centocinquanta dischi don artisti pop italiana. Un gran numero per un meraviglioso e solare musicista. Il batterista di origini napoletane ha partecipato, poi, a diversi festival e tra questi Umbria Jazz Festival, Festival Jazz di Pisa, Siena Jazz Festival, Monterey Jazz Festival, San Francisco Festival Jazz, a Parigi, al San Josè Jazz Festival ed a quelli di Santa Cruz e Los Angeles, lì dove ora vive.
Tu sei un napoletano a Los Angeles e hai avuto modo di conoscere i grandi del jazz italiano. Qual è la differenza con il jazz americano?
Il jazz è un linguaggio universale e pertanto non vi sono differenze. Io ho dovuto lavorare molto per far sì che il mondo dei musicisti di colore mi accettasse. Ci sono riuscito grazie a questa lingua che è la musica e lavorando sodo. Quando si parla di musicista bravi italiani, non vedo assolutamente differenze; è una questione di cultura, mente e linguaggio. Nel mio ultimo lavoro discografico, ‘Happy Times’ ad esempio, vi è la partecipazione, oltre che di Harold Mabern, Richie Cole, Frank Lacy, Freddy Hendrix e John Farnsworth, vi sono anche due amici musicisti napoletani … i bravissimi Angelo e Aldo Farias (rispettivamente al basso ed alla chitarra). Questo la dice lunga sulla universalità del jazz che ha una sola nazione … you know?
Quali sono i progetti che hai come leader?
Caro brother, da leader ho questo mio ultimo disco che è ‘Happy Times’, you know? Il disco è uscito prima della pandemia che ci ha fermati. Spero di portare in tournèe il disco e verrò anche in Italia. Nel frattempo qui lavoro con lezioni on line e facendo molte masterclass. Ho allievi che mi danno anche molte soddisfazioni. Il lavoro on line mi permette di avere studenti di un buon livello e che mi arrivano da tutto il mondo: Italia, States, Giappone, Cina e da altri angoli del mondo. I ragazzi mi danno una carica eccezionale ed io trasmetto loro quella che poi sarà la cosa fondamentale: la tecnica. Da parte loro, talvolta qualche allievo mette in pratica qualcosa di sorprendentemente bello. Gli faccio i complimenti, anche perché nella vita non si finisce mai d’imparare. Vedi mai che un ragazzo possa darti uno spunto sul quale tu puoi lavorare e sviluppare una nuova idea? Con i miei ragazzi questo accade spesso ma anche in questo lavoro ci vuole molta umiltà … you know?
Peppe Merolla, vero eroe dei due mondi anch’egli, con la saudade napoletana, ha dunque ribaltato il modo di suonare la batteria.