La letteratura corale e arabesca di Corsi per vivere e sognare

Frammenti che moltiplicano il mondo in innumerevoli galassie. Con lo scrittore di origini romane non leggiamo un solo libro ma tanti libri uno dentro l'altro e la storia emerge mentre la decifriamo

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I tentacoli ondeggiano come alghe primordiali, si irradiano nel vuoto cosmico, serpeggiano e fioriscono nei cuori come l’antenata dell’edera nei burroni del senso dove la luce sembra mancare e fioche albe languiscono e resistono come polle d’acqua nell’arsura di un deserto, circondate da scorpioni madreperlacei che pungono l’anima e la intorbidiscono. Cammina sullo stelo di un fiore, a precipizio, l’anima vela di un ricordo a venire. Le braccia del Simurgh si agitano tutte insieme: sono soli. Fuochi inestinguibili. Galassie come occhi di gatta. Buchi neri che covano i sogni di ogni creatura. Riccardo Corsi, La stella dei mondi, Edizioni degli animali, pagg. 185. Libro iniziatico e iniziato anni fa, terzo di una trilogia apparente, in realtà, lo stesso libro frammento, compendio, cielo d’inverno, deserto o regno impossibile, dimora di parole in superficie e immagini abissali, respiri di carne o di uccelli.

Riccardo Corsi è nato a Roma e vive a Milano. Scrittore, traduttore e anche editore. Ha ideato nel 2013, assieme ad un gruppo di amici, la casa editrice Portatori d’acqua, e nel 2017, le Edizioni degli animali. Con quest’opera, e dopo L’oceano nella scatola di fiammiferi del 2021, libro che consiglio caldamente, si conferma come un autore originale e maldestramente vasto, vertiginosamente manierista. La sua non è una scrittura aforistica ma una forma eccedente e caotica. Non leggiamo un libro ma tanti libri uno dentro l’altro. In una sorta di tappeto persiano, dove si moltiplicano gli arabeschi, i fregi, i tentacoli, i tralci, i pistilli, gli spartiti, le note, le divinità, gli alfabeti, le seduzioni dei segni e delle costellazioni, delle soglie, delle porosità, delle sorgenti. Tutto oscilla e si muove. L’uno è il libro, scritto nel quaderno di musica dove si legge: l’uomo parlò e dall’angolo del foglio uscirono le navi. E con le navi si può immaginare che con esse l’uomo inventò non solo il viaggio ma il naufragio, cioè il libro, in altre parole la letteratura. In questo caso, nel libro di Corsi, la letteratura si fa corale. È un continuo di specchi e di citazioni. Si cammina e si ascolta. Si riflette. “Le opere conducono al Mare Eterno”. E la filosofia diventa glossa dei grandi maestri del Novecento. Il libro si legge mentre lo decifriamo. È stato così anche per chi l’ha scritto. Sembra indicare un sentiero, scrive Corsi, ma poi tutto si arena come se fosse la nostra epoca a divorare tutto ciò che incontra e perfino se stessa. O è solo un’impressione? Certo andrebbe chiesto a Corsi qualcosa di più che una semplice tensione, inquietudine, metamorfosi, ma noi siamo lettori, fatti della stessa sostanza di chi scrive e non sveliamo enigmi né tantomeno leggerezze, disattenzioni, teologie. In quel luogo – la letteratura? – non sappiamo cosa dire cosa è cielo e cosa è terra. Eppure all’uomo è concesso camminare in quel limite fino al calare del sole. Passo dopo passo l’alleanza è ritrovata.

La follia è credere nelle immagini, ce ne sono tante nel libro e belle. La follia è confidare nei segni, nel linguaggio. La follia è affidarsi alla sola luce, quando le tenebre hanno oscurato qualsiasi forma di apparizione. La follia è quando una stella ci dovrebbe guidare attraverso i mondi, la follia è credere che un poeta scriva sempre la stessa poesia, uno scrittore, lo stesso libro, un pittore, lo stesso quadro. La follia è questa menzogna che è la letteratura, il libro; il libro dei deserti, dei mari, delle danze, dei dervisci, dei frulli degli uccelli, dei significati molteplici e delle voci dimenticate. Tutto ciò è follia. Tutto ciò è letteratura. E chi dimentica la letteratura, dimentica la via. “Che sia stato un mortale, o un dio a parlare per primo, poco importa. Il primo a cantare, forse, fu un uccello, prima ancora che umani e animali si separassero. È per questa ragione che la lingua degli uccelli è la più prossima al paradiso”. È ancora il libro a parlare. E il tempo a ferire. L’origine sebbene sia il dilemma primo non esclude l’insania di un linguaggio, di un’angoscia enorme e di una sensibilità avida. Ma ora l’uomo, scrive Anna Maria Ortese, citata da Corsi, non è più innocente, perché non è mite, e oscuri sono tutti i suoi sogni. E Marina Cvetaeva: Cosa farò, smisurata, nell’impero delle misure? “La stella dei mondi”, allora, è questo scritto fatto di scritti veri o probabili. È la fiaba a dare la voce alla scrittura. O sono i sogni? E i pesci tacquero. E il sole è una lucertola pigra sull’orlo di un pozzo, che parla tacendo la perduta, muta, ossuta e spigolosa, lingua del silenzio. Maldestri nei sogni come nella vita, scrive Corsi. Come non dargli ragione! Un libro che è tutti i libri e nessun libro. Si legge come arsi da una sete primordiale. Lo guida una legge spirituale. Libro di paesaggi nei paesaggi risponde come un ricordo che non si trova. Libro abissale sapendo di non essere abisso. Libro che respira, che orienta e che sa tacere. Libro come i libri che si amano di nascosto. Frammenti che moltiplicano il mondo in innumerevoli galassie. Libro camaleonte e libro danza. Libro, infine, come pietra di sorgente, come anima di vento e di scrittura.

Riccardo Corsi, La stella dei mondi, Edizioni degli animali, pagg. 185

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