Da un po’ di tempo stiamo assistendo a qualcosa difficile da definire se divorzio, allontanamento o fuga di diversi artisti, autori e giornalisti dalla RAI. Qualcuno ha detto che non è il caso di dolersi troppo per il loro destino; certo non è che questi vadano in esilio a Caprera o in Aspromonte ad arruolarsi nei Cacciatori di Calabria a 1500 € al mese, vanno in lidi altrettanto paganti, insomma è un bel mettere avanti la questione di principio quando si ha già un paracadute e un soffice cuscino sotto il culo per atterrare dolcemente… ma il problema è il crescente intruppamento culturale in atto: il malessere di fondo in RAI c’è, sia dal punto di vista sociologico che strategico, ammesso che in un carrozzone politicizzato, quale è sempre stato con maggiore o minor decenza, questi insiemi lessicali abbiano ancora il senso che di norma gli si attribuisce.
Le recenti partenze dalla RAI rappresentano una sfida significativa per la Rete Televisiva Pubblica Italiana che in buonissima parte paghiamo noi col canone: nel 2023 (fonte Relazione annuale RAI 2023) ha avuto profitti per circa 2,8 mld di euro, di cui ben 1,8 mld arrivano dal canone senza il quale ben si guarderebbero di far scappare gente che fa audience e porta finanza; la RAI non ha mai divulgato dati dettagliati sui ricavi generati da artisti e conduttori, ma c’è qualcuno nel Consiglio che ben lo sa e che già era molto incazzato della fuoriuscita di Fabio Fazio e che ora non digerisce quella di Amadeus, per cui pare stia brigando per far restare Mara Venier e Fiorello -anche loro apportatori di finanza– molto ambiti dagli sponsor ma soprattutto da Canale 9 di Discovery.
Ma al di là della vil pecunia…
È fuori di dubbio che il mondo dell’arte e della comunicazione è intrinsecamente legato alla sfera politica e il Servizio Pubblico Radiotelevisivo Italiano non fa eccezione. Il cambio di maggioranza politica nel Governo ha innescato un effetto domino che si ripercuote sull’intera struttura, influenzando artisti, autori, comunicatori e quindi la cultura stessa. L’arte è da sempre una forma di espressione politica, riflettendo ideologie ed opinioni del tempo, per cui gli artisti seguaci di un determinato pensiero politico si possono trovarsi in imbarazzo durante un cambio di Governo, poiché la nuova leadership ambisce a narrazioni mediatiche più allineate: è così che scatta l’autocensura, che è pure peggio.
La RAI, in quanto servizio pubblico, svolge un ruolo cruciale nella comunicazione di massa e nell’influenzare l’opinione pubblica. Il suo controllo politico certamente orienta quali messaggi vengono trasmessi e quali vengono tralasciati, plasmando così l’opinione del pubblico e quindi la cultura generalista: essa è una componente fondamentale dell’identità nazionale e il ruolo della RAI nel promuovere la cultura italiana è stata da sempre di vitale importanza.
Con il cambio di Governo le priorità culturali stanno cambiando, con evidenti conseguenze sui contenuti e soprattutto sull’audience: basta andare sul web e scaricare i (veri) dati Auditel del 2021 e confrontarli con quelli del 2024. Non aggiungo altro, sono numeri facili da capire.
Il conseguente allontanamento di artisti ritenuti proseliti della fazione politica precedente contribuisce alla polarizzazione dell’opinione pubblica. Questo fenomeno sta portando a una divisione sempre più marcata tra i sostenitori del nuovo governo e coloro che seguivano gli artisti e -soprattutto- i contenuti associati alla precedente amministrazione, invocando quindi una limitazione della libertà di espressione quale principio fondamentale in una democrazia in quanto il controllo politico sulla RAI solleva grandi interrogativi sulla sua indipendenza e sulla sua capacità di fornire una piattaforma equa e inclusiva per tutte le voci della società.
La mancanza di Silvio nella comunicazione si sente, manco a dirlo
Nella comunicazione RAI ci sta che cambino le cose, a patto però che non si arrivi -come rilevato dal comunicato dell’Assemblea dei Comitati di Redazione della RAI- a che i TG e le varie rubriche di approfondimento diventino megafoni della maggioranza politica.
La democrazia è un lusso sudato e quanto sta accadendo in RAI, unito ai tentativi del Governo di regolamentare l’attività giornalistica, rappresenta un momento cruciale per riflettere sull’intersezione tra politica, arte, comunicazione, informazione e cultura. Uno dei principali danni causati dalla fuga di intelletti è la perdita dei pool creativi talentuosi e performanti. Artisti, autori e giornalisti che hanno contribuito al successo della RAI nel corso degli anni portano con sé esperienze uniche, difficili da sostituire, in quanto non va via solo il nome importante e celebrato giacché con lui vanno via almeno altre dieci-venti unità dello staff creativo ed organizzativo e ormai le TV di riferimento stanno divenendo La7 per gli approfondimenti e Canale 9 per la TV generalista.
La perdita di tale diversità e pluralità di competenze -tra l’altro- rischia di ridurre la RAI a un club di yes-man impreparati anche ad una censura intelligente…con Berlusconi non sarebbe mai accaduto che una premier difendesse in prima persona l’operato della RAI (excusatio non petita… diceva la mia prof. di latino) sul monologo di Antonio Scurati del 25 Aprile: un dilettantismo incredibile.
La RAI ne ha impedito la diffusione motivandola con i costi, è un’offesa alla nostra intelligenza visto che la RAI ha ben pagato 1 mln € a Pino Insegno per il grande flop del suo Mercante in Fiera e chissà quanto sono costati gli altri flop di audience di Agorà, Avanti Popolo, Che Sarà, Liberi Tutti, etc.. ma intanto paga decine di migliaia di euro per farci ascoltare le colte amenità di Corona, Marini, Belen, Falchi ed altre menti eccelse 😱.
L’intervento ha avuto l’effetto opposto: il testo di Scurati è stato pubblicato decine di volte sul web, ora tutti sanno cosa avrebbe detto in quel minuto, parole che forse sarebbero addirittura passate inosservate e invece si sono ritrovati uno sciopero contro “il controllo asfissiante sul lavoro giornalistico, con il tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo”.
Un autogol che con Silvio Berlusconi non sarebbe mai accaduto: “So’ ragazzi…” Ipse dixit.