Quel giovedì ho guardato lo specchio, ho visto venire verso di me una ragazza e allora ho avuto quasi paura. Non proprio paura. Ma ho sentito un colpo al petto come se mi avessero dato un pugno. Mi sono guardata intorno. Oltre a me non c’era nessuno. Ho guardato di nuovo lo specchio. La ragazza, immobile, mi guardava. Allora ho capito. Ero io. Ovviamente. Non potevo che essere io. Solo che non mi ero riconosciuta. E così, tutt’a un tratto, senza motivo, mi sono sentita profondamente disperata. Inès Cagnati, Giorno di vacanza, Adelphi, pagg. 154.
Chi ha letto, della scrittrice francese, Génie La matta, pubblicato sempre da Adelphi nel 2022, non può che provare, al cospetto di questa sua opera prima proposta nella traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala, un senso di malessere, di agitazione, di ansia. Il motivo è che non è un libro – dopo l’esperienza dell’altro – che si pensa di aprire facilmente. Dopodiché, la tentazione è forte. Allora, si tira un respiro forte, si prende il libro, si apre e si legge. Forse, era meglio non farlo. Ci si accorge subito che non è un libro per tutti. Inès Cagnati (1936–2007), com’era prevedibile, non delude. La sua è una letteratura che scompagina. Una letteratura anomala. E la sua attrattiva sta in un linguaggio dal frasario semplice, amaro, ossessivo, senza mediazione alcuna. Una scrittura che ferisce, tenera e allo stesso tempo secca e brutale. Le sue frasi sono dei fendenti che colpiscono con una violenza tale che si ha immediatamente la tentazione di lasciare il libro, di esclamare: Non è possibile! Un libro perfetto, assoluto, dove non esiste luce ma fango e morte.
“Non si può crescere in un paese di paludi, di piogge, di nebbie, di terre livide, dove tutto muore, senza assomigliare a quel paesaggio inamabile. Né vivere in una casa fatiscente, sperduta fra boschi, malerbe e acque solitarie, dove anche l’amore è intollerabile violenza, senza desiderare che il mondo intero esploda in una girandola di sangue”.
La protagonista, un’adolescente di nome Galla, somiglia molto a Génie, personaggio dell’altro romanzo della Cagnati. In entrambe le figure vi è una sorta di follia che le accomuna. Una sorta di sensibilità controcorrente che va alla percezione delle cose con un’intensità e sincerità strabiliante; come se le cose avessero padronanza, esperienza, pratica e non fossero senza spirito, senza vitalità, senza passione. Sembra come se il paesaggio vivesse per contrasto negato una sua intima forza, un’energia addensata quanto universale. In realtà, da questa scrittura così singolare e lancinante se ne trae una zona che l’umanità ha rimosso. Un’area grigia e melmosa che la maestria linguistica dell’autrice fa emergere da questa sorta d’inaudita paratassi per trasformarla non in qualcosa di radioso, ma in ciò che è ancora e sempre più nefasto, più autenticamente reale. L’unica possibilità di fuga, allora, diventa una vecchia e arrugginita e fragile bicicletta senza freni e dal lamento di una salamandra morente.
“Giorno di vacanza”, allora, si mostra già dalle prime pagine come una diserzione da due mondi inconciliabili. La scuola e la casa. Galla ha una famiglia formata da innumerevoli e odiate zie, sorelle, delle quali, una morta, uccisa da un’incornata di una mucca affamata, un’altra quasi cieca alla quale Galla ha insegnato come capire, dal rumore della terra bagnata sotto i piedi, quando è sull’orlo di una pozza o di una zona melmosa, o vicino a un canneto, dove potrebbe nascondersi qualcuno. Le ha insegnato il rumore del volo degli uccelli e quello dei topi d’acqua. E, soprattutto, le ha insegnato a restare accovacciata, immobile, e ascoltare il rumore delle bolle d’acqua nella terra molle per capire se qualcuno sta attraversando la palude. E ci sono un padre violento e abbrutito dal lavoro e una madre che ama troppo ma che continuamente mette al mondo figli. Tutto il romanzo vive in questo limbo di trentacinque chilometri che è la palude e che Galla, un sabato, fuggita da scuola, attraversa con la sua bicicletta per rivedere la madre. Sarà un giorno di vacanza del tutto particolare e sinistro, dove si vivono le ansie di due mancanze incondizionate: il liceo, che Galla ha voluto frequentare con tutte le forze, ma che vive come luogo ostile e la famiglia, numerosa e povera, con la relativa e infruttuosa terra. Due possibili rifugi, in pratica, che si rivelano come avversità piuttosto che come agognati ripari. La palude, allora, diventa metafora di separazione e morte. Ricordo malevolo e straziante di tutto ciò che potrebbe essere, ma non è. “Sul ponte mi sono fermata per un istante. Ho guardato l’acqua che scorreva. Era di un bel verde lattiginoso, pacato. Ho pensato che sono belli i paesaggi con l’acqua, quando non sono, come da noi, le acque selvagge nascoste tra le erbe taciturne della palude”.
Certo, la scossa che dà la prima volta che si legge la Cagnati non si ripete la seconda volta. Rimane, tuttavia, intatta la ferocia di una scrittura persistente, monocorde e straziante capace di invalidare qualsiasi senso per cercarne un altro che sia non più vero, ma almeno più sentito, più fatalmente originario. Da noi le lettere non arrivano mai, rivela la protagonista di questa mirabile e livida opera. Come se nel fango malfermo della palude, dove tutto è così umido e immondo, ci fosse voglia di scrittura. Ecco, allora, che la letteratura ci lascia qualche meraviglia: la delizia di una ninfea o di un linguaggio in fiore. O, ancora, ci lascia immaginare la struggente bellezza di dormire in un fienile – come fa Galla – abbracciati a una cagna con i suoi cuccioli.
[Inès Cagnati, Giorno di vacanza, Adelphi, pagg. 154]
Inès Cagnati è nata in Francia nel 1937 a Monclar-d’Agenais ed è morta nel 2007 a Orsay. Cresciuta in una comunità agricola, si è poi dedicata all’insegnamento. Autrice di tre romanzi e un libro di racconti, è stata subito riconosciuta come “strepitoso talento” dalla comunità letteraria. Giorno di vacanza, il primo romanzo di Inès Cagnati, ha ottenuto nel 1973 il Premio Roger Nimier. Di lei Adelphi ha pubblicato nel 2022 Génie la matta.