10-11 giugno 2024
Prime impressioni
Quando si passa il confine tra l’Ungheria e l’Ucraina nella zona di Berehovе (in ungherese Beregszász), a circa una settantina di chilometri a sud di Užhorod (capoluogo della regione), ci si inoltra nella regione transcarpatica in direzione della turistica Mukačevo (in ungherese Munkács). Salvo le solite strade dissestate che ricordano all’automobilista che l’Ungheria e, con essa, l’Unione Europea sono state lasciate da poco alle spalle, si notano alcuni sguarniti blokposty militari (posti di blocco), inesistenti prima della guerra. Dopo di che il percorso, a parte qualche ‘voragine’ (che, se non notata nell’oscurità della notte, distrugge gli ammortizzatori), conduce tranquillamente a destinazione. A Mukačevo, come in tutta la regione più esposta ad occaso dell’intera Ucraina, un tempo parte della corona d’Ungheria e della monarchia asburgica, la vita prosegue flemmaticamente e turisticamente come sempre, se non fosse turbata dai poster e dalle foto in costante aumento dei caduti di guerra (uomini e donne), esposti in bella mostra sulla piazza principale nei pressi della Ratuša (consiglio comunale) dai pinnacoli tra le tonalità del celeste e del verde pastello.
L’oste, Saša, che, con il suo incedere e portamento, ricorda il “Buon soldato Švejk[1]”, serve gli sporadici avventori dell’Hotel e ristorante Velure. All’osservazione che la guerra non si avverte tanto da quelle parti e tutto sembra essere immutato, risponde: “siamo noi uomini, soprattutto tra i trentacinque e i cinquantacinque, che ci assottigliamo sempre di più con il passare dei giorni. Per il resto, qui, per fortuna, tutto è come prima”. Il fatto che la Transcarpazia sia una, se non la regione più sicura di tutta l’Ucraina, è probabilmente riconducibile al fatto che ci sia una massiccia minoranza ungherese e i legami tra Putin e Orban, per ora, non mettono a repentaglio un territorio che storicamente i “grandi russi” non considerano come proprio.
12-13 giugno
Si riparte. Quando, percorrendo le strade impervie di montagna e le superstrade (le autostrade in quanto tali non ci sono), dalla Transcarpazia si procede verso la regione di L’viv (Leopoli) e si attraversano gli immensi altopiani ricoperti da un manto di verde intenso, con i pennuti abeti (“smereka”) il cui colore azzurrognolo si staglia sullo sfondo circostante, si respira tutta l’energia vitale che le terre ‘rutene’ tra Leopoli e Kyiv infondono nel viaggiatore.
Presso i distributori Okko, oasi di sosta ben organizzate e, talvolta, per nulla inferiori ai servizi di alcuni Autogrill delle autostrade italiane, le pietanze ucraine e quelle internazionali vengono servite fumanti e saporite. Donne di diverse età preparano e porgono agli automobilisti i piatti ordinati, con garbo e femminilità (una dota ormai rara nelle società occidentali). Una musica di sottofondo tra il jazz e il blues accompagna le libagioni. In questo frangente la guerra appare quasi un fievole ricordo passato…eppure una improvvisa sirena può ridestare bruscamente i sognatori.
14 giugno
L’viv (Leopoli), circondata da una natura rigogliosa, pulsa e pullula di gente e, soprattutto, di giovani. Nei diversi locali e negli angoli più angusti delle strade tardo rinascimentali e settecentesche risuonano le più disparate melodie ucraine e internazionali, accompagnate da fisarmoniche e altri strumenti a corde. Eppure, nell’apparente voglia di vivere di questa collettività in fermento, un improvviso allarme sonoro ferma il tempo per alcuni istanti. E così, nelle notti illuminate da un maestoso plenilunio, il sacro silenzio è squarciato dalle sirene impazzite: alcuni pericolosi attacchi balistici sono stati lanciati su tutto il territorio ucraino. L’orario è sempre quello: tra le due e le quattro del mattino!
Fortunatamente Leopoli soffre gli attacchi missilistici e dei droni solo di riflesso. Ma non sempre.
(continua)
[1] Titolo originale: “Osudy dobrého vojáka Švejka za světové války” (ossia: Le fatidiche (o fatali) avventure del buon soldato Švejk durante la guerra mondiale) è un romanzo incompiuto a sfondo satirico e umore ‘nero’ scritto dal ceco Jaroslav Hašek tra il 1921 e il 1923.