Il sound personalizzato e riconoscibilissimo di Edoardo Liberati

Il chitarrista e compositore originario di Roma è una bella realtà nel mondo del jazz italiano. Il suo modo di essere, il suo mood e il suo stile svelano la continuità nella incessante ricerca musicale

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Edoardo Liberati, chitarrista e compositore originario di Roma è oramai una bella realtà nel mondo del jazz italiano. Possiamo dire che il suo modo di essere, il suo mood e il suo stile svela la continuità nella continua ricerca musicale. Questa ricerca compulsiva gli offre ispirazioni che partono dal jazz tradizionale sino ad arrivare a quelle vie più contemporanee. Liberati, classe 1993 è aperto comunque a diversi generi musicali e tutto questo contribuisce, in maniera assai marcata sulla creazione ed alla concezione dell’idea musicale. «Nonostante il tempo passi inesorabile – dice – ad oggi ritengo di essere un fan del rock e un attento ascoltatore di musica classica. Contemporaneamente, però, guardo con interesse anche alle diverse varie correnti della musica Sudamericana». Ascolta sino all’infinito e di continuo … giungendo ai suoni, armonia ed attitudini derivanti dalla musica nordeuropea. Ciò non fa altro che rendergli una cosa positiva anche perché è anche grazie a questo che è riuscito a guidarlo verso un suono personalizzato e riconoscibilissimo.

Il suo cammino

Il percorso attraverso la musica inizia in età adolescenziale, suonando in vari gruppi rock della sua città, con i quali ha incide alcuni EP. Una volta terminati i suoi studi di base, decise di affacciarsi alla professione di musicista. È proprio a quel punto che il suo grande amore per il jazz sboccia, decidendo che la ricerca di questa musica sarebbe stata alla base e fondamento del suo percorso artistico. Inizia quindi a suonare in vari gruppi jazz intraprendendo quindi la sua attività concertistica. Decide, una volta raggiunta una certa maturità, di espandere le sue conoscenze e provare un’esperienza fuori dai confini italiani. Viene quindi accettato al conservatorio di Rotterdam. Il ‘Codarts’. Qui studia per quattro anni. Partecipando a numerosi seminari di musicisti internazionali come Jonathan Kreisberg, Peter Bernstein, Gilad Hekselman. Durante questo arco temporale si distingue in qualità di leader e fondatore di un gruppo molto attivo nella scena cittadina e nazionale, il ‘Liberati Quartet’, vincendo nel 2017 il prestigioso concorso ‘Erasmus Jazz Prijs’. Il gruppo suona attivamente facendo tournée in vari paesi come Francia, Belgio, Lussemburgo, Italia e ovviamente Olanda. Si innamora dell’aspetto compositivo del Jazz, producendo un EP: ‘Upside Down’ e un disco ‘Countertime’, entrambi contenenti musica originale da lui composta e arrangiata. ‘Countertime’ viene presentato presso la famosa sala concerto Olandese ‘De Doelen’. Di seguito, sempre con il ‘Liberati Quartet’, apre il concerto del celebre gruppo ‘The Ploctones’. Nell’autunno del 2018 Edoardo è invitato insieme ad altri due colleghi (con candidature da tutto il mondo) a partecipare al workshop ‘Generations’, che ha avuto luogo presso Frauenfeld (Svizzera). Durante questo seminario suona nell’orchestra diretta da Maria Schneider, ed ha l’opportunità di studiare con musicisti del calibro di Donny McCaslin, Nate Wood, Jason Lindner.

Nel 2021 Edoardo viene selezionato tra quindici altri chitarristi provenienti da tutta Italia per partecipare alla prima edizione del ‘Jazz Guitar Award’. Nello stesso anno partecipa al festival Piemontese ‘Monfra Jazz Fest’ aprendo il concerto al ‘Timeline Acoustic Band’ ovvero: Maxx Furian e Mauro Negri. Registra, l’anno dopo, il suo album d’esordio da leader ed intitolato ‘Everyday Life’ per l’etichetta ‘GleAM Records’, questo disco vede la presenza di uno dei maggiori clarinettisti al mondo: Nico Gori che appare nella veste di special guest. Determinante la sua presenza ed il suo apporto al disco che tra l’altro risulta essere ascoltabilissimo. Il grande pianista Greg Burk scrisse, nelle note di copertina di ‘Everyday Life’: «Il chitarrista e compositore Edoardo Liberati accompagna l’ascoltatore in un viaggio straordinario su ‘Everyday Life’. I momenti di conversazione intima lasciano il posto a paesaggi armonici mozzafiato, incantesimi melodici, esotici e swinganti avventure ritmiche. Le voci musicali dei suoi compagni di viaggio portano gioia, colore e cameratismo al generoso viaggio offertoci da Liberati. Questa è un’avventura che l’ascoltatore può rivivere volentieri ad ogni ascolto.» Oggi Edoardo Liberati & ‘Synthetics Trio’ presenta il suo nuovo lavoro ‘Turning Point’ la cui lineup viene costituita da Edoardo Liberati (electric and acoustic guitars) Riccardo Marchese (drums) e da Dario Piccioni (double bass).

L’album

Il disco, come si può vedere dalla track- list, è composto da nove brani, ovvero nove differenti ambienti sonori che si intrecciano tra loro, finalizzati al racconto di differenti emozioni e sensazioni provate dal momento della scrittura, al momento dell’arrangiamento collettivo, fino al momento della ripresa acustica degli stessi. ‘Dear Jane’ è il brano d’apertura e vuole essere un tema che strizza l’occhio alla musica pop e alla dimensione offerta dalla chitarra acustica, alla bellezza di una melodia semplice, sorretta da un’armonia non complessa. Liberati decide di inserirlo come prima traccia sia per cercare di guidare l’ascoltatore al disco nella maniera più morbida e delicata possibile ed anche perché ha ritenuto che potesse legarsi bene ritengo sia un brano che ben si lega a quello successivo: ‘Porcelain’, unico arrangiamento ed esecuzione collettiva di un brano non originale all’interno del disco, riprende e omaggia un gruppo molto importante nella storia del rock o della musica in generale, i ‘Red Hot Chili Peppers’.

«Al primo ascolto della loro versione, fui subito catturato dalla possibilità di arrangiarlo in una chiave più jazzistica. Ho quindi agito su modifiche di tipo armonico, mantenendo quasi inalterata la bellissima melodia cantata dal frontman».

Segue ‘One For Uncle John’. «Come lo stesso titolo vuole dichiarare, è un omaggio a un chitarrista che ritengo a dir poco fondamentale nella mia formazione, John Scofield. Ho voluto scrivere un brano nel suo stile, cercando comunque di dare ad esso la mia personale visione sia nella scrittura che nell’esecuzione. Il suo ultimo disco, ‘Uncle John’s Band’, mi ha naturalmente portato ad intitolare il brano in questo modo».

Dopo il brano dedicato a Scofield in scaletta c’è ‘Apnea’. «Qui mi sono ispirato all’acqua, e più precisamente a un’immagine di una persona immersa in una vasca di una piscina. Ho cercato di riprodurre questo elemento naturale attraverso gli accordi, sempre basati sull’utilizzo di corde a vuoto.»

L’unica ballad del disco è ‘Turning Point’ che dà il nome al lavoro. Il brano è ispirato a sonorità proprie di compositori come Wayne Shorter o di Lage Lund ricercando un’armonia più complessa, con una melodia piuttosto semplice che agisse da contraltare.

Ancora, nella track list, si ascolta ‘Stardust’ che è un riadattamento, in chitarra solo, di uno dei brani più belli della storia del jazz. Composto da Hoagy Carmichael, Liberati ha ascoltato lasciandosi ispirare dalla versione di George Benson. Un brano più ritmico è ‘Another Story’ «Qui la melodia vede al suo interno degli spostamenti all’interno della griglia ritmica. Questo brano, insieme ad Apnea, è forse quello dove l’arrangiamento collettivo ha avuto maggiore presenza. Offre al suo interno spunti e strutture proprie del jazz di matrice contemporanea, con numeri irregolari di battute che vanno a formare le sezioni su cui esso si poggia».

Small House’: «… è un brano delicato e ispirato, come nel caso di ‘Dear Jane’, alla bellezza della chitarra acustica e alla poetica del chitarrista Julian Lage.» Chiude il cd ‘Round Town’ che Liberati voleva fosse un brano potente, con echi rock e fusion, ispirato al chitarrista Tim Miller.

Edoardo, cosa ci dici dei giovani emergenti che come te si sono affacciati al jazz?

Il livello dei musicisti in Italia è molto alto, esistono moltissimi progetti interessanti, guidati da musicisti altrettanto interessanti e validi. Ho avuto la fortuna, in questo anni, di suonare con musicisti anche più giovani di me, ma che dimostravano una grande maturità sia dal punto di vista strumentale che compositivo. Non nascondo che alcuni di questi sono stati un’ispirazione per me. Non possiamo quindi lamentarci dello stato della musica in Italia, per fortuna il jazz continua a svilupparsi e a prendere forme sempre diverse, sempre nuove. Nel mio piccolo, se dovessi dare un consiglio a un musicista che si sta approcciando al jazz, posso solamente dire che occorre tantissimo impegno e tanta convinzione in quello che si fa. Alle volte possono esserci momenti di sconforto, momenti che vanno superati solo ed esclusivamente con la propria forza d’animo. Se si crede veramente in quello che si fa, bisogna perseguire la strada intrapresa con forza e convinzione. L’importante è sapere di aver dato il massimo e, qualsiasi sarà il risultato, se ne prenderà atto.

Condividi il concetto secondo il quale  ‘siamo tutti figli del rock’?

Condivido parzialmente. Il rock è stato sicuramente un genere di musica molto importante, e molto formativo per tanti musicisti come me. È un genere che è entrato e rimasto prepotentemente nella collettività, essendosi poi sviluppato in tanti modi diversi, confluendo nella creazione di sotto-generi e generi affini. Basti pensare che la fusion è nata proprio grazie al rock (difatti questo genere è la fusione, per l’appunto, tra rock e jazz). Nonostante il rock sia stato un genere molto importante, soprattutto in determinati momenti storici, esistono musicisti di jazz che non sono passati, nella loro formazione, attraverso questo genere, magari perché non sufficientemente attirati dalle sonorità di questo genere musicale. Credo quindi che non tutti ‘siamo figli del rock’.

Da te, chitarrista poliedrico, è possibile aspettarsi un album molto più elettrico e fusion?

Non credo. Sicuramente è difficile (se non impossibile) prevedere la direzione della mia musica, ci sono tante variabili. All’interno del mio disco ‘Turning Point’ esistono dei brani elettrici, magari anche tendenti alla fusion, però, allo stato attuale delle cose, non sono attirato dalla creazione di un lavoro discografico interamente basato su queste sonorità, anche perché non è quello che studio e che ricerco. Lascio questa idea a chi veramente vuole percorrere questa strada, a chi persegue e suona con convinzione la fusion e la chitarra inquadrata in questo stile. In passato sono stato attratto da questo genere e non nascondo che alle volte strizzo l’occhio ad alcuni chitarristi fusion (di recente ho riscoperto Tim Miller, fenomenale chitarrista). Infatti, nel disco ‘Turning Point’, è presente un brano che ho composto proprio ispirato dal chitarrista appena citato. Non posso quindi prevedere il percorso della mia musica, ma, ad oggi, mi risulta molto difficile creare un disco che sia sincero, veritiero ed autentico con queste sonorità.

Antonino Ianniello

Nasce con una spiccata passione per la musica. Si laurea in lettere moderne indirizzando la scrittura verso il giornalismo, percorre in maniera sempre più approfonditamente e competente le strade della critica musicale, pubblicando numerosi articoli su jazzisti contemporanei e prediligendo, spesso, giovani talenti emergenti. Ama seguire il jazz, blues e fusion e contaminazioni.

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