Il 24 ottobre ho avuto l’occasione di vedere in anteprima al Festival Lumiere di Lione, ‘il ragazzo e l’airone’ l’ultimo film di Hayao Miyazaki, in uscita in Italia dal 1° gennaio 2024. Il maestro dello Studio Ghibli sceglie di accompagnare la sua ultima fatica da una promozione quasi anonima, solo una locandina con il titolo ‘Kimi-tachi wa dō ikiru ka’ che però è bastata per lasciare con il fiato sospeso i fan di tutto il mondo.
How do you live, titolo tradotto in inglese, sembra evocare un’ultima riflessione sulla vita, sulla memoria, sul futuro che ha sempre accompagnato la sua intera filmografia e che viene suggellata proprio in questo ultimo piccolo capolavoro. Miyazaki non smette di ricordarci che l’animazione e la fantasia sono forse gli strumenti più adatti per rappresentare la realtà da un’altra prospettiva, ma soprattutto per cercare di attraversare un dolore, nel suo caso il lutto per la madre.
Proprio come in ‘Si alza il vento’ (2013) il dolore per la perdita è il tramite per una serie di temi cardini del suo cinema; la guerra, il misterioso rapporto tra uomo e la meraviglia della natura, la lotta tra il bene e il male, il futuro ignoto, ma che a differenza di ‘Si alza il vento’ ne ‘Il ragazzo e l’airone’ vengono tradotti in una dimensione iperfantastica animata da creature malvagie e creature benigne.
La porta che permette di accedere ad una dimensione fantastica, che nel mondo di Miyazaki è sinonimo di crescita e di redenzione, è la rottura dello status quo; l’infanzia di Mahito viene travolta dalla guerra e dalla morte di sua madre a causa di un incendio in un ospedale di Tokyo. Poco dopo sarà costretto a lasciare la città per trasferirsi in una casa di campagna con il padre dove vivrà con la sua seconda moglie, sua zia. L’ambiente campestre ci permette di viaggiare nel tempo e di catapultarci in un Giappone ancestrale, fatto di portali segreti, buffe anziane e un airone parlante che con invadenza infastidisce Mahito sin dal suo arrivo. L’airone, in realtà gli confessa che sua madre è ancora viva e come il Virgilio dantesco accompagnerà il protagonista in un oltretomba animato alla ricerca di sua madre. In realtà il viaggio nell’al di là animato non gli porterà indietro sua madre, ma proprio come nella Commedia, esso sarà l’allegoria del percorso nell’al di qua dell’uomo attraverso la vita, una vita che presuppone dolori e traumi che necessitano di essere metabolizzati. Mahito, tra mostri marini e pellicani malvagi, attraverserà il dolore per la perdita di sua madre rimarcando il paradosso del fantastico che conduce il protagonista alla maturità, maturità che, tipico di Miyazaki, si declina nel sacro valore dell’altruismo come antidoto contro il male. Il film ci mette un po’ a svelare i suoi piani e inizialmente appare lento e quasi sconnesso, Miyazaki ci accompagna lentamente, attraverso i passi intrepidi di Mahito, nel suo immaginario in cui nonostante le voci di un suo congedo, pulsa viva la sua storia interiore e quella del suo cinema.