Anna Lisa Tota è Prorettrice vicaria dell’Università Roma Tre e professoressa ordinaria di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo del medesimo Ateneo. Il suo lavoro di ricerca intercetta il tema culturale tra comunicazione, media studies, arts studies, gender studies e memory studies. Le sue recenti pubblicazioni (Ecologia della parola. Il piacere della conversazione, Einaudi 2020 e Ecologia del pensiero. Conversazioni con una mente inquinata, Einaudi 2023, su cui vogliamo soffermarci) sono volumi di solida riflessione teorica, scientifica e di nodale sensibilità sociologica (“sono e resto una sociologa – sottolinea con orgoglio l’autrice nel suo libro del 2023 – penso che quello che ci nutre in giovane età, ci forgi per sempre”, p.7). Una “sensibilità” che ha spinto la Tota verso un desiderio di voler indagare le “forme d’inquinamento” del nostro tempo: quella verbale nel 2020 e quella mentale nel 2023. Realizzando un dittico editoriale tanto raro quanto prezioso. Due libri che mi piace leggere – seppur nella loro completa autonomia – come uno spazio unico di riflessione culturale sulle modalità di comunicazione, di comportamento e di visione della vita. Nel primo volume la centralità della riflessione della sociologa potrebbe esser sintetizzata da un preciso passaggio: “noi siamo le parole che pensiamo, pronunciamo e ascoltiamo” dove le parole, appunto, sono la nostra formazione, la nostra identità, il nostro essere al mondo. Insomma, in profondità coincidiamo con il nostro parlare. E quindi la necessità (ebbene sì una vera, concreta necessità) di parlare bene e soprattutto pensare bene. E qui viene in campo la sua più recente monografia: Ecologia del pensiero. Conversazioni con una mente inquinata. Un libro che ha una sua primissima “origine” in quella ferita profonda che è la Pandemia. E da quel tragico avvenimento individuale e collettivo matura nell’autrice una volontà di rinascita (“Nella sofferenza e nella morte – scrive la Tota nella prefazione – ritroviamo quella sorellanza e fratellanza che, consegnateci alla nascita, abbiamo rinnegato”, p.VII).
Un libro denso e lieve (come a noi piace lo spazio della scrittura e della lettura) e dove il tema portante è scandagliare (attraverso citazioni, esempi, frasi, momenti di vissuto personale, letture biografiche, rimandi teorici) il “flusso del nostro pensare quotidiano”. E proprio come si affrontato le tematiche ambientali allo stesso modo Anna Lisa Tota problematizza il nostro pensare nelle sue dimensioni di inquinamento, tossicità, buio, inquietudini e avvelenamenti. Un libro che si muove verso un preciso coinvolgimento del lettore (ben oltre la semiosi del “lector in fabula” ma dentro una scelta “militante” di costante e continua interlocuzione e respiro dialettico) invitandolo a riflettere sul rapporto con l’ambiente che lo circonda, perlustrando la connessione tra l’ecologia e il modo in cui pensiamo. Diversi passaggi di questo libro sono davvero di grande presa emozionale: la sfida verso le culture tossiche, la massa di detriti che le ansie sviluppano, il desiderio di gentilezza come antidoto, la forza delle nostre idee, il precipizio che sovente è il nostro vivere quotidiano, la rinascita verso un’eco-trasformazione. L’opera della Tota evidenzia come la dimensione dell’ecologia non sia unicamente legata alla salvaguardia dell’ambiente naturale, ma il suo significato si estende anche al modo in cui concepiamo il mondo e agiamo in esso. Da questi elementi nasce l’idea energetica e militante (cui accennavo prima) dell’autrice che ci spinge ad adottare una prospettiva più eco-cosciente, riconsiderando totalmente alcuni modelli tradizionali di pensiero e abbracciando una visione più ampia e interconnessa. Attraverso un linguaggio chiaro ed evocativo, Annalisa Tota ci direziona in un viaggio che ci fa esplorare le dinamiche della conoscenza, della percezione e dei modi in cui concepiamo il nostro ruolo nell’universo attraverso una serie di temi: il paesaggio sonoro, la sospensione dell’empatia, lo spazio domestico, le microaggressioni verbali, le dinamiche del visivo (tema decisamente caro all’autrice che scrive: “il concetto di inquinamento visuale permette di documentare come l’immaginario costituisca una vera e propria posta in gioco nei conflitti sociali, soprattutto in contesti come quelli attuali in cui la natura dell’esperienza si è scissa dalla necessità della compresenza”, p.100). E ancora: le tematiche interspecismo/antispecismo, il “corpo animale”, le “memorie” di boschi e mari, la radicale scelta dell’agire responsabile della sostenibilità (“Pensare e abitare il pianeta in modo sostenibile significherebbe, applicando a questo concetto la prospettiva di Merleau-Ponty, ‘ricollocare il pensiero nella carne del mondo’. Non più un pensare e un agire astratti, ma calati nell’effettiva vita del pianeta che ci permettano di assumerci la responsabilità dei nostri stili di vita e delle nostre scelte”, p.198). Ecologia del pensiero ci invita a considerare che l’interezza dei nostri pensieri, delle nostre parole e delle nostre azioni hanno un impatto profondo sull’intero sistema ecologico in cui viviamo e sottolinea l’importanza di sviluppare una consapevolezza collettiva e individuale. Altro punto di forza di questo libro è la scelta di un approccio scientifico decisamente interdisciplinare che pur partendo dalla radice sociologica amalgama importanti riferimenti alla filosofia, alla psicologia, alla scienza, alla neurobiologia vegetale, all’antropologia e, logicamente, all’ecologia. Una cartografia teorica che contribuisce a creare un tessuto di conoscenza complesso e ricco di spunti di riflessione. Il tutto accanto, come dicevo prima, a corposissimi momenti di vita vissuta, quotidianità, frames d’occasionalità privata, tracce, orme, schegge. E allora eccolo Ecologia del pensiero ovvero una densissima circumnavigazione dell’essere umano immerso nel mare vasto dell’ecosistema che lo circonda. Con un duplice, magistrale, omaggio finale: uno al concetto di “comunità” olivettiana (ovvero quella “fiamma divina dell’uomo che opera nella fabbrica, ma concepisce la fabbrica stessa come un tassello del contesto più ampio, il paesaggio naturale in cui essa è collocata”, p.243) e un altro alla poesia “necessaria” di Hölderlin.