All’antica, antiquato, antidiluviano, retrogrado, sorpassato. Basta cercare su Treccani i sinonimi di “medievale” per rendersi conto di quanto questo termine sia diventato un luogo comune per tutti. Marco Brando prova a distruggere convinzioni sbagliate, sedimentate nel corso degli anni, con Medi@evo (Salerno editrice, 2024), un libro che dichiara guerra agli stereotipi e ai cliché.
Medi@evo è un neologismo: serve a dire che l’Età di mezzo è di fatto un self service, in cui il medievale diventa un aggettivo a disposizione di tutti e ognuno può utilizzarlo come ritiene opportuno, decretando anche diversi falsi storici. È come se ci trovassimo di fronte a una ipertrofia dell’informazione storica, con ampie generalizzazioni e vuoti di memoria più o meno consapevoli.
Il volume raccoglie anche le citazioni dell’Età di mezzo pubblicate su giornali e quotidiani, evidenziando come in generale si ricorra al termine “medievale” per parlare di arretratezza senza avere alcuna certezza storiografica, e facendo leva sull’appeal di questa definizione; ma come, allo stesso tempo, l’accezione diventi positiva ed entusiastica quando si tratta di eventi che riguardano la prospettiva turistica e promozionale legati ai territori.
Giotto, Boccaccio, Dante, Federico II di Svevia, San Francesco: sono pilastri della nostra identità che pure fanno parte di quelli che comunemente definiamo “secoli bui”.
Mass media, internet e social network – questa è la tesi di Brando, giornalista con la passione della storia – hanno favorito la diffusione di false credenze; ma la colpa non è soltanto di chi si occupa di comunicazione; buone responsabilità sono anche in capo agli storici, spesso poco inclini alla divulgazione.
Il Medioevo diventa un’epoca trasformata da mass media e politica in una miniera immaginaria da cui ricavare luoghi comuni buoni in tutte le salse: cronaca, sport, cultura, costume. È così che diventa medievale l’arbitraggio, la decisione di un preside, qualche ordinanza… Si cita finanche l’aggettivo applicato al pos, il sistema di pagamenti elettronici, di fatto inesistente nell’Età di mezzo, così come l’aggettivo viene spesso associato alla guerra russo-ucraina o ancora ai talebani… tanto da spingere Brando a sostenere che questa tendenza all’uso massiccio e indiscriminato di un aggettivo porta alla creazione di una copia di una copia che non ha l’originale.
Il libro incoraggia anche una riflessione sul ruolo delle notizie false nella storia e nel mondo dell’informazione ma pure sullo scarso bagaglio di competenze storiche di chi fa informazione. «La falsa notizia è lo specchio in cui la ‘coscienza collettiva’ contempla i propri lineamenti» – come ricorda Bloch. Ma è pur vero che la costante manipolazione del passato mostra, in maniera sempre più chiara, che la storia ha un ruolo strategico nel definire e ridefinire le identità, legittimare le aspettative, giustificare interessi e motivare le strategie; ecco, dunque, la necessità di controllare il passato da parte del potere. Non è difficile, se mescoliamo la storia alle principali teorie che riguardano il mondo dei media: l’agenda setting, l’effetto framing e la spirale del silenzio.
Sarà forse il caso di porre al centro del dibattito degli storici non più solo il problema della ricerca e della didattica ma anche quello della divulgazione, in piena linea con le direttive della Terza missione.