Fame, sesso, donne e i successi amari del mitico Chinaski

La vita inimitabile e romanzesca di Charles Bokowski, l'autore più noto e venduto di questo e del secolo scorso. Un ubriacone geniale che ingoiava la vita e la trasmetteva agli altri densa di umori e malie, provocando identificazioni profonde che ancora continuano

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Il poeta e scrittore Charles Bukowski

“La schiavitù non è mai stata abolita, si è semplicemente estesa a tutti i colori della pelle”

Charles Bukowski

 

Diceva: “La vita fa schifo”, Charles Bokowski, in arte Henry Chinaski, o semplicemente Chinaski, per gli amici Buk. Eppure la visse 73 anni spremendone tutto il succo possibile. Una vita folle da “allegro sporcaccione”, come lui stesso amava definirsi, che migliaia di persone in tutto il mondo hanno seguito, insieme alla sua scrittura, e taluni anche cercato di emulare.

Fece la fame per molto tempo, adattandosi a vari lavori, ma quando il successo arrivò, un po’ prima dei 50 anni, fu travolgente. Ancora oggi, a distanza di 30 anni dalla sua morte, continua ad essere lo scrittore forse  più famoso al mondo. Di lui molti librai dicono che i suoi libri nelle librerie devono necessariamente alloggiare all’entrata. Vanno tenuti d’occhio perché statisticamente sono i più rubati. Al secondo posto, marcano Burroughs e Keruoac. Le vendite di Bukowski ancora furoreggiano in Francia, Inghilterra, Canada e un po’ ovunque. Quando è morto, già da svariati anni riceveva dalla Germania un assegno annuale di un milione di dollari per i diritti d’autore. L’editore John Martin, quando lo convinse a lasciare le Poste (aveva ormai 49 anni), rischiò grosso, ma tanto aveva intuito  di aver beccato una gallina dalle uova d’oro.

Nonostante i suoi eccessi in tutti i sensi, specialmente con l’alcool e le donne, nonostante le botte che suonava e spesso prendeva, i lunghi pomeriggi passati a giocare all’ippodromo, Bukowki aveva un ritmo di scrittura forsennato. Scriveva molte poesie a notte, in più racconti e romanzi, e tra le une e gli altri piazzava sceneggiature per Hollywood. Di poesie ne ha lasciate migliaia, di racconti centinaia, e poi sei romanzi. In tutto una sessantina di libri tradotti in decine e decine di lingue.

Negli ultimi tempi vengono fuori anche le sue lettere (gli scrivevano in tanti e a tutti rispondeva).

Nato nel 1920 in Germania, ad Anderach sul Reno, ma vissuto sin da piccolo sempre in America, non amava viaggiare, dunque nessuno fu più americano di lui. La sua città preferita, e dove visse la maggior parte del tempo, fu Los Angeles.

Il poeta Harold Norse lo descrive come  un uomo “deforme, grosso, gobbo, con una faccia devastata, butterata, i denti guasti macchiati di nicotina, gli occhi verdi pieni di dolore. I capelli, di un castano scialbo, sembravano appiccicati a un cranio deforme; i fianchi più larghi delle spalle, le mani piccole e mollicce, grottesche. Una trippona da birra gli ricascava sulla cintura.” Eppure quest’uomo arrivò a piacere tantissimo alle donne, nonostante avesse scopato per la prima volta all’età di 24 anni.

Nelle interviste, cui si presentava quasi sempre ubriaco, usava un linguaggio triviale. A una donna che gli aveva chiesto l’autografo, aprì il libro, ci sputò dentro e lo richiuse. Sosteneva che la poesia in genere è molto noiosa. “Chi crede che un poeta sia una persona speciale si sbaglia. In genere è solo una stupida testa di cazzo che se la mena scrivendo versi incerti, senza capo né coda”.

Ma per tentare, solo tentare, di capire chi è stato Chinaski e perché la vita se la giocò in quel modo, bisogna risalire alla sua difficile infanzia.

Suo padre era un soldato americano di origini polacco-tedesche. Sua madre una emigrante di Danzica. Per vicissitudini economiche quando Charles aveva poco più di due anni, il padre dovette congedarsi, lasciare la Germania e trasferirsi con la sua famiglia negli USA. Ma anche lì la loro situazione economica non fu mai buona, tant’è che Charles senjor faceva il lattaio. Il viaggio per arrivare in America, fu segnato dai litigi dei due coniugi, che così andarono avanti per tutta la vita. Charles senjor era cattivo, insoddisfatto (in breve finì disoccupato) e manesco. Picchiava il figlio ed anche la moglie. A soli 7 anni Bukowski doveva tosare il prato. Appena dichiarava di avere finito, il padre arrivava come un Kapo per controllare. Si metteva in ginocchio, a caccia dei fili d’erba non allineati. Naturalmente qualcuno ce n’era, e allora prendeva il figlio a cinghiate. La madre non interveniva, se non per dire che così avrebbe imparato. Da quando faceva la donna di servizio, anche lei era sempre arrabbiata.

Come se non bastasse, a 14 anni la faccia di Bukowski si riempì di pustole gonfie di pus, grosse come chicchi d’uva, che inondarono anche tutta la parte superiore del corpo. Siccome suo padre era disoccupato, andava gratuitamente in ospedale a farsele incidere e cominciavano ad apparire le prime cicatrici.

Bukowski avvertiva su di sé lo sguardo disgustato delle persone e si sentiva umiliato. Per un periodo smise anche di andare a scuola, ma poi tornò, avendo scoperto come antidoti al dolore i bar malfamati e la biblioteca. Funzionavano.

A 16 anni, con la faccia tutta vellata dall’acne,  leggeva Hemingway e Kafka, beveva alcool e frequentava bettole. Scriveva già i suoi primi testi, ma per sua sfortuna un giorno suo padre li scoprì e li scaraventò dalla finestra insieme ai suoi vestiti.

Lui allora lasciò per sempre casa e comprò un biglietto per New Orleans. Trovò una lercia stanza (prima di una lunga serie), e un lavoro da grossista di pezzi di ricambio per auto. Si spostò poi a Los Angeles e a San Francisco, dove per qualche settimana visse vendendo il suo sangue alla Croce Rossa. Erano iniziati i suoi anni tempestosi.

Raggiunse in autobus Filadelfia, dove lo arrestarono per sottrazione al servizio di leva e si fece due mesi di carcere finché uno psichiatra non lo fece riformare.

Sessualmente fu tardivo. Perse la verginità a 24 anni e fu con una grassona incontrata in un bar, dopo di lei ci furono molte puttane.

Quando tornò a Los Angeles, incontrò Jane Cooney Baker, che nel film Barfly è interpretata da Faye Dunaway. Chinaski aveva allora 25 anni e quello fu il suo primo amore. Cominciarono a bere in un bar di pomeriggio e continuarono sino a quando lei morì dieci anni dopo.

All’età di 32 anni aveva accettato un lavoro alle Poste, ma un giorno si sentì male e fu portato in ospedale. Aveva emorragie dalla bocca e dal retto. Al pronto soccorso lo sistemarono in un letto a castello e lui da sopra inondava di sangue quelli che erano sotto. Lo dimisero dicendo che era vivo per miracolo: aveva avuto la perforazione di un’ulcera gastrica, non doveva assolutamente bere. Lui uscì e si infilò nel primo bar a strafarsi di birra. All’età di 35 anni iniziò costantemente a scrivere poesie e ne inviò alla rivista Harlequin.

La proprietaria della rivista, Barbara Frye, le trovò geniali. Finì che si sposarono ed andarono a vivere in Texas. Lei era bella e molto ricca, ma dopo tre mesi di matrimonio gli presentò una richiesta di divorzio.

Tornò a lavorare alle Poste e ci rimase altri 12 anni, eppure da dopo il divorzio la sua macchina da scrivere, che lui chiamava “sputainchiostro”, sputava ogni notte. Mentre lavorava al suo primo libro, “Crucifix in a Deathband”, conobbe una donna con cui aveva avuto uno scambio epistolare: Frances Smith. Anche lei scriveva poesie, ma aveva smesso dopo il matrimonio e la nascita di 4 figli. Bukowski la esortò a ricominciare, e tra un consiglio e l’altro lei rimase incinta e partorì la loro figlia Marina Louise. Era il 7 settembre 1964.

Chinaski scrisse  Poesia a mia figlia, che nel prologo dice:

“Vengo informato che ora sono un cittadino responsabile e attraverso il sole fissato nelle finestre polverose a nord le camelie sono fiori che piangono mentre i neonati piangono.”

 

Alcuni versi della poesia:

“A cucchiaiate la imbocco

cena con straccetti di pollo e noodle

pappa di prugne

pappa di dessert di frutta…

A cucchiaiate la imbocco

con queste braccia e petto

come folgore di cera…

Ora lei dorme serenamente come

le barche sul Nilo

Magari un giorno mi seppellirà

sarebbe molto carino.”

Ma nella vita del poeta maledetto non c’era spazio per una normale routine domestica e il ruolo di padre responsabile mal si concilia con quello di allegro ubriacone, dedito al bollermaker, uno shot di bourbon servito a testa in giù in una pinta di birra.

Così sloggiò per trasferirsi altrove in un brutto appartamento, anche se le sue poesie ora circolavano anche in Europa e non era più a corto di danaro. Punto di svolta fu cominciare a corrispondere con Carl Wissner in Germania, che diventò il suo traduttore tedesco e insieme incassarono un sacco di soldi.

Ma non finisce qui, perché un bel giorno alla porta di Bukowski suonò John Martin, direttore di una ditta di mobili. Aveva deciso di cambiare mestiere e fare l’editore e voleva iniziare con Keroauc, ma a un certo punto decise di puntare tutto su Bukowski. Insieme misero in pratica questa idea folle  e dopo un inizio in sordina, nel 1969 ci fu l’exploit. Buk aveva 49 anni e finalmente poté mandare le Poste a quel paese. Il “Taccuino di un vecchio sporcaccione” vendette quasi subito 20000 copie. Seguì il suo primo romanzo, “Post office”, accolto benissimo. Da allora, ogni pubblicazione fu un successo e portò soldi, tanti soldi. Persino in Nuova Zelanda Bukowki divenne un mito.

Così Chinaski decise di prendere a viaggiare e si spostava in aereo per l’America. Faceva dei reading che non erano veri reading, piuttosto incontri di lettura turbolenti dove accadeva di tutto e la gente ci andava anche per questo. Metà delle persone, compreso lui, erano ubriache, eppure questi incontri facevano scalpore e i libri andavano a ruba. Nel 1970 erano 4 anni che Bukowski non faceva più sesso e incontrò Linda King, con cui ricominciò la giostra.

Trevor Reevers: “Sono passati molti anni, da allora, ma ancora abbiamo bisogno di lui, di un antidoto alla moda del politically correct”.

Claude Powel invece lo ricorda impegnato a inseguire le ragazze, e ricorda la sua risata piena di gioia malevola “sghignazzando a bocca spalancata, torcendo il naso: una risata nasale, diabolica. Faceva ‘Eh, eh, erh”.

Il 9 marzo 1994 arriva a prenderlo la morte, per una broncopolmonite legata a una leucemia fulminante. Sean Penn, suo grande amico, poco dopo gli dedica il suo film Tre giorni per la verità.

Viene seppellito sulle colline sopra San Pedro. Sulla sua lapide si legge quanto soleva dire:

“Non ci provare.”

 

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