Ma non tutti leggevano Bachofen in questa chiave. Né la cosa può sorprendere eccessivamente: una visione della storia intesa come affermazione del superiore principio spirituale maschile sull’inferiore principio femminile, e, soprattutto, l’identificazione della fase più alta della civiltà virile con il trionfo imperiale di Roma si prestava troppo facilmente a sostenere tesi esattamente opposte a quelle socialiste. E infatti, nel 1949, venne pubblicata in Italia un’antologia curata da Julius Evola, nella quale si proponeva una lettura di Bachofen, intesa a esaltare i valori superiori della civiltà ariana.
L’opposizione tra una civiltà matriarcale e una patriarcale, sosteneva Evola, non va vista come la successione di due fasi evolutive dello stesso processo. L’etnologia consente di ritenere che il matriarcato va ricondotto alle popolazioni pre-ariane o non-ariane, e il patriarcato, invece, al mondo ariano. Se Bachofen, viziato dal suo pregiudizio evoluzionista, non è riuscito a vedere questo dato di fatto, ne ha tuttavia avuto il presentimento, quando ha collegato il matriarcato al mondo pelasgico, e ha messo in luce le origini tracio-iperboree (vale a dire nordico-arie, dice Evola) del culto virile di Apollo delfico. Ma l’importanza di Bachofen, per Evola, non sta solo in questo. Bachofen ha intuito l’esistenza di leggi cicliche, in forza delle quali, alla fine di un dato sviluppo, certe forme degenerative rappresentano un ritorno agli stadi primitivi. Di qui, dunque, nell’opera di Bachofen, un avvertimento contro il pericolo di un ritorno al matriarcato. (…) Il tipo della femmina fascinosa è l’idolo del tempo, e con le labbra dipinte essa va per le città europee, come già una volta andava per Babilonia. È come se essa volesse confermare la profonda intuizione di Bachofen, la moderna dominatrice dell’uomo dalle vesti succinte reca in braccio il cane, antico simbolo dell’illimitata promiscuità sessuale e delle forze infere.
Ma Evola va ancora più in là con i suoi timori: “Con la democrazia, il marxismo e il comunismo, l’Occidente ha poi riesumato, in forme secolarizzate e materializzate, l’antico diritto naturale, la legge livellatrice ed antiaristocratica della madre ctonica, che stigmatizza l’ingiustizia di ogni differenza: e il potere così spesso concesso, su tale base, all’elemento collettivistico, sembra proprio ripristinare l’antica irrilevanza del singolo propria alla concezione tellurica”. Il potere femminile, per Evola, nel mondo contemporaneo si manifesta addirittura in forme “amazzoniche”.
“Ecco dunque la nuova donna mascolinizzata, sportiva e garçonne, la donna che si consacra ad un unilaterale sviluppo del proprio corpo, che tradisce la normale missione che le spetta in una civiltà di tipo virile, che si emancipa, si rende indipendente, e irrompe perfino in campo politico”. E questo non è tutto: “Anche la psicanalisi, con la preminenza da essa accordata all’inconscio di fronte al conscio, al lato ‘notturno’, sotterraneo, atavico, istintivo e sessuale dell’essere umano di fronte a tutto ciò che è vita di veglia, volontà, personalità vera, sembra proprio rifarsi all’antica dottrina del primato della Notte di fronte al Giorno, della tenebra delle madri sulle forme, supposte caduche e irrilevanti, che da essa scaturirono”. Il pericolo è grave, dice Evola, il ritorno al matriarcato significa la fine di un ciclo e il crollo delle civiltà fondate da una “razza superiore”. Ma di fronte a questo pericolo, l’opera di Bachofen, che vede in Roma il momento più alto di una civiltà paterna su basi universali, può indicare i “punti di riferimento per un’eventuale reazione e ricostruzione”. “L’aver messo in luce la dignità della civiltà virile ed olimpica è uno dei più grandi meriti di Bachofen, correttivo a tante deviazioni ideologiche e a tante vocazioni sbagliate dei tempi moderni”.»
[Eva Cantarella, Introduzione a Jakob Bachofen, “Il potere femminile. Storia e teoria”]