Rientro da una settimana di vacanza in un noto villaggio turistico. Non ho mai visto bambini così idolatrati, adorati, coccolati, fotografati, selfizzati, whatsappati dai propri genitori come in questa settimana e in questo villaggio.
Tutto ruota intorno ai bambini, dalla mattina alla sera: non si fa altro che metterli al centro di ogni attenzione, di soccorrerli in tutto, di anticiparli e prevenirli ossessivamente praticamente in tutte le occasioni: a colazione, a pranzo, a cena, in spiaggia, al mare, in piscina, per non parlare la sera, al teatro. Ore di baby dance, di canzoncine idiote, di lazzi e frizzi degli adulti destinati ai bambini, molti dei quali visibilmente stanchi e scoglionati, rassegnati a compiacere le scemenze che gli adulti continuamente si inventano per i loro figli, fotografati all’infinito, in tutte le occasioni e in tutte le pose e circostanze possibili e immaginabili, prodotti perfetti del narcisismo genitoriale, dal momento che, oggi, sembra che la funzione genitoriale si riduca sempre più a produrre fenomeni da esibire, capaci di essere e di fare tutto quello di cui i genitori possano vantarsi, gareggiando, con gli altri genitori.
E poi i discorsi tra gli adulti a tema fisso: i propri figli.
Ricordo che quando ero bambino io, e andavo in vacanza, si pensava poco ai bambini: non c’erano molti giochi per noi, se non qualche giostrina, il minigolf, il calcetto e poco altro. Noi bambini ci riunivamo tra di noi, senza i genitori tra le palle, spesso a loro insaputa e inventavamo i nostri giochi di fantasia: due sedie e un cerchio diventavano un automobile, e una palla la recuperavamo facilmente da qualche parte.
Gli adulti parlavano tra di loro di cose di adulti e noi non dovevamo disturbare, né assolutamente interrompere. Ricordo che ascoltavo i loro discorsi che capivo poco, ne ero incantato e non vedevo l’ora di crescere per poterli fare anche io, quei discorsi.
Ricordo che crescevo accorgendomi anche di essere un po’ trascurato, talvolta dimenticato e lasciato a sbrogliarmela da solo, ma avvertendo sempre la rassicurante presenza di mio padre, forte e sicura, come quella discreta e silenziosa di mia madre. Non mi stavano addosso, ma c’erano, e vigilavano. Sapevo da me quello che potevo e quello che non potevo fare. Sono cresciuto temendoli anche i miei genitori, dai quali però mi sono sempre sentito amato, con rispetto e senza tante smancerie e scemenze. Erano seri i miei genitori, e sapevano quando era il caso di ridere e quando no.
Ecco, io penso che i figli debbano sentire i genitori anche un po’ distanti, un po’ enigmatici, li debbano sentire seri e anche severi, e debbono anche poterli temere. È un loro diritto quello di avere un padre da temere. Si cresce meglio, si diventa adulti veri se si ha avuto un padre da temere.
Oggi invece questi bambini idoli rischiano di essere gli adulti fragili e insicuri di domani, se non sono prima diventati adulti un po’ scemi.