Contro i silenzi, si fa largo dall’America Latina una nuova letteratura testimoniale

Un'operazione critica per dare una ribalta ai testi che rivendicano la libertà

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Sappiamo tutti che un genere letterario non nasce improvvisamente, dal nulla o per volontà di un “addetto”, ma è il risultato di un lento processo di accumulazione e interazione tra testi con qualche attinenza formale e/o contenutistica e/o programmatica che non trovano immediata catalogazione – tra gli addetti, tra gli editori, tra il pubblico lettore – sono cioè “senza famiglia”, e che solo a posteriori e per una serie di coincidenze vengono assimilati, confrontati, analizzati e “riconosciuti” come appartenenti a una stessa tipologia…

È quanto è avvenuto in America Latina sul finire degli anni ’60 quando gli organizzatori del “Premio Literario Casa de las Américas” – a Cuba –, non poterono premiare alcune opere meritevoli perché non rientravano in nessuno dei generi canonici della letteratura occidentale – scritti cioè in una lingua europea in Europa e territori dall’Europa colonizzati – ma avevano caratteri ibridi, tra la narrativa creativa, la saggistica, la scrittura autobiografica, il registro giornalistico: così nel 1970 nacque il “Premio Literatura Testimonial”, per dare un “padre” a tanta letteratura “senza famiglia” che stava emergendo sconvolgendo canoni e categorie e le stesse sezioni già esistenti del Premio…. Da allora si sono moltiplicati premi e riconoscimenti, festival e collane “dedicate”, antologie e studi critici.

Ed è forse ciò che sta succedendo ora in Italia e stiamo tentando di sistematizzare, recuperando nomi e testi che da noi sono stati amati e studiati singolarmente ma all’estero da decenni sono indicati come archetipi della letteratura testimoniale nelle sue svariatissime varianti: Primo Levi, Leonardo Sciascia, Roberto Saviano, per citare solo una triade così diversificata nella modalità di scrittura eppure unificata nello stesso principio di far conoscere, comunicare, riflettere, su eventi, situazioni, calamità altrimenti dimenticati o cancellati dalla Storia e dalla memoria collettiva. Nomi e testi diventati terreno di confronto e di riflessione tanto da motivare la pubblicazione, ad esempio, di due volumi collettivi che molto si avvicinano, anticipandolo, al progetto da cui è nato un numero di “Sinestesie”: Dire i traumi dell’Italia del novecento. Dall’esperienza alla creazione letteraria e artistica (2020) a cura di Maria Pia De Paulis, Viviana Agostini-Ouafi, Sarah Amrani e Brigitte Le Gouez, e La violenza spiegata. Riflessioni ed esperienze di ricerca sulla violenza di genere (2020), a cura di Felice Addeo e Grazia Moffa, che non a caso raccolgono testimonianze e riflessioni intorno a due temi purtroppo fecondi di dolore, analisi e autoanalisi: la Shoah e i campi di sterminio di allora e di oggi il primo, la violenza di genere il secondo.

All’incrocio quindi di scritture e competenze diverse (scritture dell’Io, giornalismo, storiografia, etnoantropologia, saggistica umanistica ecc.) si sarebbe prodotta da sempre, con “punte” in momenti cruciali della Storia, una scrittura di emergenza contro il silenzio o la storiografia dominante… raccontare per denunciare ma anche per capire, indagare nel mondo esterno ma anche nel proprio profondo rimosso, narrare il mondo partendo dal proprio Io o confessare il proprio vissuto all’interno di un processo che coinvolge interi gruppi umani…

Primo Levi

Sono queste scritture che abbiamo invitato a svelare, ricordare, leggere, convinti che da una parte la globalizzazione di saperi e conoscenze, ma anche di problematiche, e dall’altra l’emergenza di alcuni fenomeni degni di essere denunciati/capiti (gli orrori del “secolo breve”, l’immigrazione dai paesi extraeuropei, mafia, camorra ecc. ecc.) hanno prodotto scritture che, sulla base della mia esperienza di studiosa latino-americanista, mi avventuro a accomunare sotto il grande mantello della letteratura testimoniale e a sentire la necessità di andare a ritroso nei secoli producendo letture di antichi testi con sensibilità e occhi nuovi…

Sensibilità e occhi nuovi affinati da una emergente letteratura testimoniale italiana di grande qualità e impatto, di cui sicuramente Marco Bechis e il suo La solitudine del sovversivo (2021) sono un esempio chiarissimo e illuminante, senza incrinature, sia dal punto di vista della testimonianza che della letteratura, testo scritto in Italia in italiano e pensando a lettori italiani.

Italo-cileno-argentino, a vent’anni viene sequestrato a Buenos Aires e condotto in un centro clandestino e poi in un carcere legale, rilasciato dopo qualche mese per l’intervento dall’Italia del padre, funzionario della Fiat con lunghe permanenze in Cile, Brasile e Argentina. Regista e documentarista di grande rilievo, con il film Garage Olimpo (1999) ha aperto uno squarcio narrativo e visivo sull’orrore dei centri clandestini e dei voli della morte argentini, sulla cui tematica insisterà negli anni successivi con film sempre tragicamente attuali, come Hijos (2001) sul dramma dei niños apropiados e lo svelamento della loro identità, o Il rumore della memoria  (2014), il viaggio di Vera Vigevani Jarach dalla Shoah ai desaparecidos, in Italia sulle orme del nonno Ettore Felice Camerino, morto nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, e in Argentina della figlia Franca, una dei 30.000 desaparecidos argentini…, o ritorni su argomenti ed eventi del passato ma quanto mai attuali, come il docufilm Il sorriso del capo (2011) sull’educazione sotto il fascismo. Sempre temi dal forte valore etico e sociale, che trovano la sintesi ed esplicitazione in chiave autobiografica nel recentissimo volume La solitudine del sovversivo che, con sbalzi cronologici e di prospettiva che ne denunciano la complessità di costruzione e la dolorosa ricerca di una formulazione coerente del proprio percorso vitale, coniuga i caratteri della autobiografia – l’intero iter dall’infanzia al momento della scrittura, con un io-voce narrante autorevole e responsabilmente portatore di conoscenze e pensieri – con quelli della testimonianza, la volontà cioè di andare oltre la propria esperienza personale per rappresentare, attraverso di essa, le storie e le voci di una generazione colpita dalla violenza e dall’orrore e che, 40 anni dopo, continua a interrogarsi, a investigare, a interrogare e rispondere sui tanti buchi neri della storia argentina ma non solo. Per molti anni aveva tentato di riversare in immagini il suo mondo tormentato, cercando mezzi espressivi adeguati a raccontare la propria esperienza inserita in un contesto allargato («Non ho girato molti film, ma tutti hanno la stessa matrice») fino ad approdare alla scrittura che, lo dimostra tanta letteratura testimoniale, ha grande valore terapeutico, aiuta a chiudere il cerchio, a elaborare il lutto, a rimettere insieme e dare profondità e coerenza ai tanti fatti e sentimenti ricordati in modo discontinuo.

Leonardo Sciascia

Attraverso una sua lunga citazione, senza altre mie inutili parole, possiamo cogliere il senso della testimonianza come atto finale di un percorso di orrore e di dolore, in cui il privato e il pubblico sono inscindibili e in cui possiamo ricostruire la genesi del suo libro, pochi appunti sull’aereo che lo portava a Buenos Aires per testimoniare sulla sua esperienza e fornire dati su desaparecidos e niños apropiados al Tribunal Oral nel processo ABO (Atlético/Banco/Olimpo):

«La mia vita è stata un’altalena, eroe e traditore nello stesso tempo, fin da bambino. Quando è morto mio fratello, mi sono sentito subito un usurpatore, avevo otto anni e non capivo cosa significasse morire, così ho iniziato a pensare di dover vivere la sua vita e non la mia. Sono poi sopravvissuto a migliaia di desaparecidos. Quando faccio qualcosa che mi piace […] in quell’istante il mio cervello mi dirotta dall’estasi facendomi ripiombare nell’angoscia di essere vivo. È un’angoscia per me essere vivo. Mio fratello Roberto, i miei compagni di scuola Miguel Ángel e Adriana, Muñeca e Pablo, nessuno di loro ha più vissuto, nessuno di loro ha più visto, non hanno sofferto per amore e non hanno pianto quanto me.

Ma dopo tanti anni vissuti come un usurpatore, come un traditore perché sopravvissuto agli altri, finalmente sono diventato vittima. È successo poco tempo fa, scrivendo questo libro. I miei precedenti tentativi di chiudere con questa vicenda erano stati vani […] per quanto abbia già memorizzato tutto, percepisco ancora una zona d’ombra e so che potrò illuminarla solo all’arrivo. Se posso continuare a esercitare la memoria nel ricostruire i minimi dettagli sonori e sensoriali, non posso prevedere che cosa mi succederà quando vedrò di fronte a me, seduti ai banchi, tutti e diciassette gli imputati per crimini commessi nel Club Atlético. Come reagirà il mio corpo? Perché la mia mente è allenata, da anni ricostruisce, rielabora, cataloga, confronta, ma il mio corpo è indipendente dalla mia mente e potrebbe reagire per conto suo, ha una sua memoria cellulare di quel che gli è successo. Come reagirà il mio corpo di fronte a chi lo ha abusato?»

Sul processo e sulla reazione del suo corpo, sul suo essere sempre eroe e traditore, sull’angoscia di essere ancora e sempre un sopravvissuto che nemmeno le condanne all’ergastolo di dodici imputati in quel processo riescono a placare, termina un libro esemplare che appartiene alla letteratura testimoniale italiana e argentina, e conferma che questa tipologia di testi riserva sorprese e pozzi inesplorati di poesia e di conoscenza.

 

Rosa Maria Grillo

Già docente di Lingua e Letterature ispanoamericane presso l’Università di Salerno, dirige la rivista “Testi e Linguaggi”, la Collana del Dipartimento di Studi Umanistici “Biblioteca di Studi e Testi” e la collana di narrativa “Mirando al Sur”. Autrice di sei monografie: Racconto spagnolo, 1985, Exiliado de sí mismo, José Bergamín en Uruguay, 1999, Emigrante/Inmigrado. Una doble identidad en el espejo de la literatura uruguaya, 2003, Escribir la Historia, 2010, Cinquecento anni di Civiltà e Barbarie, 2021, Vivere per testimoniare, testimoniare per vivere, 2022, e di saggi pubblicati in Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti, Colombia, Argentina, Paraguay, Uruguay

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