Tv usata come baby sitter, tablet che servono a calmare in caso di capricci o come premio in caso di comportamenti positivi, bambini a spasso nel passeggino con tanto di smartphone in mano… Con l’avvento del digitale, cambiano anche le relazioni di bambini e adolescenti: non più solo contatti in presenza, la ristretta cerchia mamma-papà-nonni-amici; ma via libera alla Rete, ai contatti mediati da dispositivi digitali.
Un genitore su tre lascia i bimbi piccoli
a intrattenersi con lo smartphone
Alzi la mano chi, negli ultimi anni, non è stato costretto a intraprendere una discussione sull’utilità delle nuove tecnologie e sulla necessità (reale o presunta) di far intrattenere i giovanissimi con dispositivi tecnologici portatili nei più disparati attimi della quotidianità: al ristorante per fare silenzio, in strada per evitare capricci, in vacanza. Che siano videogiochi, app o filmati, oramai è sempre più frequente osservare volti illuminati dai display che calamitano magneticamente la loro attenzione. Quasi un genitore su tre (come evidenziato dalla ricerca “Tecnologie digitali e bambini: un’indagine sul loro utilizzo nei primi anni di vita“, a cura di Valeria Balbinot, Giacomo Toffol e Giorgio Tamburlini del Centro per la Salute del Bambino onlus di Trieste) dichiara al pediatra di lasciare il proprio cellulare in mano ai figli, anche quando si tratta di bambini al di sotto dei 12 mesi.
Un baby parking tecnologico always on
manda in pensione ogni Mary Poppins
Con i nuovi dispositivi digitali, la possibilità di lasciare un bambino in un vero e proprio baby parking tecnologico è possibile 24 ore su 24: un modo semplice e conveniente anche dal punto di vista economico. Insomma, oggi probabilmente Mary Poppins, la tata che ha fatto la storia del cinema per ragazzi, non troverebbe lavoro nonostante le sue referenze: è stata mandata in pensione da app, smartphone e dispositivi tecnologici sempre più assimilabili a ciucci digitali.
Per i millenials l’unica baby sitter tecnologica possibile era la televisione, o al massimo la radio; ma la moltiplicazione esponenziale dei nuovi media oggi amplia a dismisura le potenzialità di intrattenimento anche per i più piccoli. Un dato di fatto che scatena dibattiti e divide le masse: ogni volta che parliamo di media e del loro utilizzo siamo sempre pronti a dividerci tra apocalittici e integrati. C’è chi sostiene l’importanza e la necessità dell’uso delle nuove tecnologie: le app e l’utilizzo degli e-book si rivelano particolarmente utili anche per stimolare l’intelligenza, arricchire il vocabolario, facilitare la comprensione del testo; e c’è chi, invece, preferisce rimarcare quanto l’uso distorto di tv, tablet e smartphone possa incidere negativamente sullo sviluppo sia delle abilità nella regolazione delle emozioni sia dell’empatia. Le novità delle tecnologie sono democratiche: riguardano sì gli adolescenti e il loro sviluppo ma interessano da vicino anche gli immigrati digitali che, volenti o nolenti, sono quotidianamente immersi in un mondo digitale.
Che effetti hanno i media sul nostro sviluppo cognitivo, linguistico, emotivo e affettivo? Se lo chiedono da tempo psicologi, pediatri, neuropsichiatri e altri esperti dello sviluppo infantile. Proviamo a individuare i pro e i contro della massiccia presenza delle tecnologie nelle nostre vite, specialmente in quelle dei più giovani, e a capire se e quanto i nuovi dispositivi modificano lo sviluppo psicologico e fisico di bambini e adolescenti e, in generale, le nostre menti.
I media ubiqui e convergenti
il mondo nelle nostre tasche
I media sono ovunque e, complice lo sviluppo esponenziale delle nuove tecnologie, abbiamo il mondo in tasca. Per fruire contenuti mediali non è più necessario sedersi davanti alla televisione, basta avere uno smartphone con noi: i media oggi sono ubiqui, sono addosso alle persone, per strada, nei posti di lavoro, sui mezzi di trasporto, a scuola; sono talmente ovunque che oggi appare quasi impossibile starsene in disparte: «Non c’è più nessun punto del globo dove si possa essere veramente soli, appartati e in silenzio. Anche se questo luogo esistesse, sopra la nostra testa ci sarebbe ugualmente un satellite a fotografarci, per poi mandare in rete le immagini che riprende» (Raffaele Simone, Presi nella Rete. La mente ai tempi del web, Garzanti).
Viviamo con l’esaltazione dell’interruzione
ampliando a dismisura l’effetto spot
Come in tutte le cose, ci sono i pro e i contro: lo smartphone, è l’esempio della convergenza di più media sullo stesso supporto e con un telefono in tasca tutti abbiamo la sensazione che nulla sia più inaccessibile o introvabile. Nella contemporaneità l’irreperibilità pare del tutto assente e il mondo, grazie anche ai social che valorizzano le immagini, sembra da fotografare più che da vedere. Il mondo contemporaneo pare esaltare l’interruzione rispetto alla concentrazione, la frantumazione rispetto alla continuità, come se fosse ampliato a dismisura l’effetto tipico della pubblicità.
Internet è il cuore della comunicazione mediata dal computer, connette in rete migliaia di computer e fornisce una incredibile serie di informazioni. Mostra quotidianamente di mettere a disposizione di tutti noi informazioni sempre più attuali, con un aggiornamento maggiore rispetto a quello dei libri. Internet ha un grande potenziale per incrementare le opportunità educative ma, come tutto, ha pure limitazioni e pericoli. I rischi, si sa, sono dietro l’angolo: come il bullismo nella vita reale, il cyberbullismo comporta la perpetrazione di diverse categorie di violazione del codice civile e penale, con l’uso di messaggi on line violenti e volgari, con messaggi di insulto per ferire, per denigrare persone, per rilevare informazioni private o imbarazzanti.
L’ubiquità dei media ci porta a parlare anche dei nativi digitali, termine usato spesso in contraddizione rispetto agli immigrati digitali, delle loro competenze e delle tendenze della nostra società che, secondo alcuni, grazie all’innovazione tecnologica porta in parallelo verso una adultizzazione e una infantilizzazione. In che senso? La naturale confidenza con il digitale e le competenze digitali sono un’autonomia che, di fatto, però non corregge l’inconsapevolezza del minore rispetto ai pericoli o rispetto a ciò che può costituire un’esperienza capace di essere rispettoso dell’altro o deviare verso comportamenti antisociali. Ma non è solo questo: internet rende tutto diverso perché è bidirezionale. Fino all’arrivo della Rete, la storia dei media è stata caratterizzata dalla frammentazione. Con l’avvento del digitale, invece, vengono meno i confini tra i vari media. Ogni volta che accendiamo un computer, ci tuffiamo in un ecosistema di «tecnologie dell’interruzione».
Il link spinge verso altri contenuti
ma non dà sempre maggiori conoscenze
Il link, una delle prerogative del web, non si limita a indicarci una integrazione o un approfondimento a ciò che stiamo leggendo; ci spinge verso altri contenuti, ci incoraggia a entrare e a uscire dai testi anziché a dedicare la nostra attenzione più intensa a un solo argomento. Diversi studi condotti sugli ipertesti hanno evidenziato come spesso la capacità di imparare possa essere compromessa dal sovraccarico cognitivo causato dai numerosi stimoli che provengono dalla Rete: non necessariamente più informazione significa più conoscenza.
Comunemente si è portati a ritenere che il tempo dedicato alla Rete sia sottratto alla televisione. Le statistiche, tuttavia, dicono che non è così: gran parte degli studi sui media dimostrano che con l’aumento dell’uso di internet, il tempo trascorso davanti alla tv è rimasto costante o è addirittura aumentato. Tra l’altro, spesso si evidenzia una enorme sovrapposizione tra il guardare la televisione e il navigare sul web. Ciò che pare in diminuzione, invece, è il tempo che si passa a leggere le pubblicazioni cartacee.
Con l’avvento delle nuove tecnologie, inoltre, non sono da trascurare le modifiche agli ambienti che viviamo quotidianamente. Pensiamo alle agenzie di viaggi e alle botteghe dei fotografi, alle cabine telefoniche, alle edicole, all’antico uso del telefono in albergo, alle lettere scritte a mano, agli elenchi telefonici e ai gettoni… Sono immagini di un mondo che quasi non esiste più.
Comunicazione come socialità e relazione
Oggi si è insieme ma soli
La comunicazione si mostra, oggi ancora più che ieri, come un distributore di socialità per le ultime generazioni. Se gli adulti ricorrono ai device digitali ma sono integrati principalmente nell’esposizione dei cosiddetti media mainstream, i più piccoli mostrano una ingordigia mediale tipica dei giovani e delle nuove generazioni. Ma cosa cambia? Oggi si è «insieme ma soli» (Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Einaudi, Torino), tanto che qualche studioso comincia a parlare anche di desocializzazione, una sorta di solitudine formativa in cui i giovani credono di poter costruire la propria autonomia, enfatizzando sempre e comunque le differenze con il mondo degli adulti.
Proviamo a confrontare i bambini di oggi con i pari età degli anni Sessanta/Settanta: all’epoca difficilmente i minori erano avvezzi all’uso di strumenti tecnologici. Anche la televisione, grande novità di quegli anni, non era certo obbligata in un contesto familiare e non aveva la pervasività che oggi mostrano i nuovi media. Oggi la diffusione di numerosi dispositivi anche in famiglia, a prescindere dal possesso individuale dello smartphone, ha determinato l’aumento di abilità specifiche nei minori che si mostrano spesso più precoci degli adulti. Accade così che la fruizione di molti contenuti, un tempo solo televisivi, si sposti sul web. I bambini oggi sono a tutti gli effetti parte di uno star system che, a differenza del passato, diventa un ulteriore spazio ordinario di comunicazione perché i bambini sono presenti in buona parte della narrazione mediale, fiction, film e social. Se prima la tv era determinante nei processi educativi e nella gestione dello svago e del tempo libero dei bambini, oggi è tutto cambiato. La tv non è scomparsa, ma si incontra con i nuovi dispositivi tecnologici.
Con un semplice click oggi è possibile richiamare una mole incredibile di informazioni. Un fatto all’apparenza normale ma che cambia radicalmente il terreno conoscitivo sul quale ci muoviamo: prima era necessario accedere fisicamente a luoghi specializzati per avere accesso alla conoscenza (scuole, università, biblioteche, centri di ricerca…); oggi, invece, la conoscenza può entrare con estrema facilità nelle nostre vite. Evidentemente il problema è il sovraccarico di informazioni e la necessità delle capacità valutative per distinguere la conoscenza vera da quella manipolata ad arte.
La conoscenza non è più filtro e gerarchia
ma inclusione e connessione
Il filosofo statunitense David Weinberger evidenzia come stia cambiando il nostro modo di conoscere: non si conosce più filtrando le informazioni e selezionandole gerarchicamente, bensì includendole e connettendole, con il rischio che alcune pseudo-verità spacciate in rete siano sempre alla portata di tutti. Secondo il filosofo americano siamo di fronte a una perdita di canone veritativo fondamentale e di un blocco di conoscenze ritenute essenziali e da tutte condivise, oltre a una sempre minore influenza delle autorità tradizionali, in un mondo in cui vero e falso rischiano di convivere sullo stesso piano. La conoscenza, allora, non ha più una forma di piramide, in cui le cognizioni sempre più elevate e specializzate sono appannaggio di un numero minore di persone; ma ha la forma di una rete che connette tutto e che è il risultato delle conoscenze di tutti, organizzate “dal basso”. Insomma, secondo Weinberger le nostre potenzialità conoscitive, grazie alla Rete, si ampliano notevolmente, con benefici inimmaginabili per la ricerca; ma le basi della conoscenza rischiano di essere meno solide perché meno vagliate. Ecco l’aspetto, per alcuni inquietante, di conoscere solo attraverso la Rete. Scricchiolano le basi della conoscenza comune perché la Rete appare inadeguata a fornire un corpus comune per tutti. Pensiamo al concetto di autorevolezza: non basta essere uno specialista o aver pubblicato libri per essere definito autorevole; in Rete l’autorevolezza è sempre messa in discussione anche dai commenti e dalle valutazioni degli utenti. «Dobbiamo essere coscienti – dice Weinberger – che la Rete non ci porta un sapere condiviso, ma un mondo condiviso sul quale è probabile che saremo in gran parte in disaccordo. La conoscenza, quindi, resta una proprietà generale della rete e non dei singoli portatori di sapere. La questione si sposta, allora, su come usare le sue infinite risorse, recuperando la necessità del pensiero critico per non naufragare in un mare senza punti di appoggio e di orientamento».
La televisione sollecita sempre più l’immaginario e il suo livello onirico; il computer, invece, fa leva sull’istinto epistemico che spinge alla continua ricerca non solo di soluzione ai problemi, ma pure all’individuazione di nuovi problemi. Derrick De Kerckhove, a proposito delle nuove tecnologie, parla di brainframes, cioè di cornici che inquadrano il nostro cervello, sfidandolo a fornire un modello interpretativo e comunicativo diverso. De Kerckhove parla di psicotecnologie, intese come «sistemi di elaborazione di informazioni come il computer e la televisione sono di fatto estensione delle principali proprietà psicologiche della mente». I giovani alle prese con i nuovi media sono sempre più nomadi: non sono solo in continuo spostamento lungo la rete; ma si identificano più facilmente e continuamente in persone e situazioni diverse. Bauman parla delle trasformazioni sociopolitiche del nuovo millennio che hanno destinato l’uomo a una sensazione di eterna incertezza; la certezza è una soltanto: la società, privata dei suoi cardini di riferimento, è oramai allo stato liquido (la cd. società liquida). Si registrano importanti cambiamenti nella sfera emotiva, cognitiva e relazionale degli individui anche grazie all’impatto dei media digitali che hanno prodotto una mutazione antropologica profonda in quasi tutti gli aspetti della vita dell’uomo. Ed ecco che emerge la tecnoliquidità: un concetto che descrive la libertà senza limiti rappresentata dalla costante accessibilità a un infinito fiume di informazioni di qualsiasi genere; un flusso di informazioni in continuo aggiornamento, con le notizie che vengono smentite e dimenticate un attimo dopo; una realtà che non riposa mai e che sembra condannare l’individuo alla ricerca continua di informazioni per non rimanere indietro con quanto accade nel mondo. Tutto ciò fa nascere una nuova patologia compulsiva che si definisce come dipendenza dalla ricerca di informazioni.
Con la teoria della tecnoliquidità, lo psichiatra Cantelmi sottolinea come la pervasività delle tecnologie comporti un nuovo modello della mente: la funzionalità primaria del cervello umano si sposta dalla sfera cognitiva a quella sensoriale. Tutto ciò sarebbe particolarmente nei giovani che trascorrono numerose ore giocando ai videogiochi. Un concetto che sarà ripreso anche da Greenfield (2012): secondo la neuroscienziata, i gamers assidui, in termini di riflessi, mostrano un aumento della velocità nella risposta che, però, non è indice di quoziente intellettivo ma di decadimento cognitivo. Si registrerebbe, in sintesi, la difficoltà delle nuove generazioni a raccontare e raccontarsi.
Non riusciamo a prestare attenzione
a una sola cosa per più di pochi minuti
A proposito di mente, da più parti si evidenzia quanto i media non forniscano solo materia al pensiero, ma siano capaci di modellare anche il processo del pensare. La Rete sembra danneggiare la capacità di concentrazione e di contemplazione. Se ci abituiamo a utilizzare internet, anche quando non siamo on line, la nostra mente cerca di ottenere le informazioni nel modo caratteristico della rete: come un flusso di particelle in rapido movimento. L’enorme disponibilità di informazioni dà un senso di grande libertà; ma una delle conseguenze è l’incapacità di prestare attenzione a una sola cosa per più di pochi minuti. Ecco che la mente lineare viene rimpiazzata da un nuovo tipo di mente che prende e distribuisce informazioni con parsimonia, a piccoli scatti, sconnessi, spesso sovrapposti. «L’immersione digitale ha alterato anche il modo in cui viene assimilata l’informazione. I giovani non leggono più necessariamente una pagina da sinistra a destra e dall’alto al basso. Piuttosto, saltellano di qua e di là, scorrendo superficialmente un testo alla ricerca di informazioni di loro interesse» (Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi?, Raffaello Cortina Editore)
La mente lineare – scrive Carr in Internet ci rende stupidi? – «è stata messa da parte da un nuovo tipo di mente che vuole e deve prendere e distribuire con parsimonia le informazioni a piccoli scatti, sconnessi, spesso sovrapposti; più veloce è, meglio è». Una caratteristica di questi tempi è la cosiddetta information overload, il sovraccarico informativo, quella sensazione di ansia sintomatica tipica della contemporaneità che non accadeva neanche quando, con la cultura analogica, eravamo immersi per una giornata intera in una biblioteca.
Potere incantatorio e maniacalità
la potente ansia dello smartphone
La disponibilità della tecnologia rende possibile quello che Simone definisce l’esattamento: funzioni e bisogni che prima erano inesistenti emergono e diventano addirittura urgenti appena c’è un mezzo tecnologico capace di soddisfarli. Un esempio? I miliardi di sms, il bisogno di comunicare e farsi vedere sui social, le telefonate per strada, l’ascolto di musica ovunque. E lo smartphone diventa un campo di ansia potente sia per chi chiama che per chi riceve. C’è chi ne ricorda il potere incantatorio e la maniacalità dell’uso: gli ossessivo-compulsivi e i tendenti alla dipendenza.