Non è difficile immaginare che un film come Challengers con i due astri nascenti del cinema, Zendaya e Josh O’ Connor (partecipe di recente ai David dai quali ne è uscito a digiuno) sia primo al box office. Dopo la recente svolta verso l’horror i cui strascichi sono evidenti dal precedente ‘Bones at all’, Luca Guadagnino ritorna ad un genere più sentimentale, un triangolo amoroso che ha come sfondo la disciplina sportiva che di più in questo periodo ha attirato l’attenzione dei media: il tennis.
In realtà, lo sport sembra più un pretesto, poiché il vero motore della pellicola è il desiderio, un sentimento che in questo caso si mescola tra passione (ossessione) sportiva e l’attrazione per l’altro. Per i personaggi maschili, Patrick Zweig e Art Donaldson è abbastanza evidente; i due amici di infanzia vincitori del titolo di doppio junior all’US Open, sono rapiti dal fascino di Tashi (Zendaya), giovane promessa del tennis, capace di far scoprire loro il piacere ma di renderli facilmente delle pedine dentro e fuori il campo. Detonatrice di Eros e Thatanos tra i due protagonisti, Tashi è il vero arbitro della partita, la cui dedizione ossessiva per il tennis, turbata da un incidente al ginocchio, la porta a orientare tutta la sua vita verso un unico imperativo: assistere ed essere promotrice di un buon tennis. Di conseguenza, costretta a rinunciare alla sua carriera in campo, diventa allenatrice. Il film ruota attorno alla partita tra i due protagonisti, l’ultimo tentativo di rivincita rispetto alle loro rispettive carriere ormai agli sgoccioli (per motivi differenti), un fulcro che viene continuamente interrotto dai flashback che mostrano l’evoluzione del rapporto tra i tre.
Le 2h 11 di film scorrono lente, tuttavia sembra che alcune tematiche (l’ostinazione ossessiva di Tashi e il mancato successo di Patrick nonostante il suo inequivocabile talento) non vengano approfondite, la caratterizzazione dei personaggi sembra invece plasmarsi solo attraverso la tensione tra i tre. Il messaggio è chiaro, amore e tennis sono due facce della stessa medaglia, le cui regole sono le stesse: passione, dedizione e caos. Il rapporto simmetrico è evidente nei dialoghi ‘stiamo parlando di tennis, giusto?’, ma risulta a lungo andare quasi ridondante, attraverso lunghe pause, dialoghi a volte scialbi evitando di scandagliare le radici del desiderio che portano alla costruzione (o sfacelo) di una passione sportiva o di un rapporto umano.
In realtà, il sentimento più limpido che traspare in questa pellicola è l’amore di Guadagnino per il cinema. Oltre ad essere un tentativo di elevare il dreamy-sport genere tipicamente americano, Challengers è intriso di riferimenti cinematografici e non solo per il triangolo amoroso che abbiamo più volte visto al cinema (The dreamers, Jules e Jim e Les amours immaginaires), ma nella commistione tra vista e udito (un plauso speciale alla scelta assolutamente pertinente, direi quasi obbligata, di Pensiero Stupendo di Patty Pravo) che in realtà incarna il nuovo linguaggio cinematografico (soprattutto europeo) già impiegato da Dolan e da Sciamma.