Lo voglio mettere in premessa e non nelle conclusioni come di solito fa un recensore per suggerire la lettura di un libro che gli è piaciuto. Questa Storia d’Italia e delle catastrofi sottotitolo Clima, alluvioni, frane, terremoti, eruzioni, maremoti, uragani, incendi, siccità, epidemie di Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi (Edizioni Polistampa, € 24) non è solo da leggere, ma è da proporre come testo educativo per comprendere la storia del Paese sotto un profilo storiograficamente meno consueto, ma non meno caratterizzante e sconvolgente. Un testo scolastico dal titolo immediatamente esplicativo, per migliorarci, non per rassegnarci.
Nel libro le parti saggistiche e narrative convivono con quelle politiche e con il J’accuse rivolto alla scarsa lungimiranza delle classi dominanti e dirigenti dalla unità d’Italia in poi, e da ultimo, secondo gli autori, all’improvvido smantellamento della struttura Italiasicura costruita con compiti di accentramento-coordinamento della prevenzione presso la Presidenza del Consiglio negli anni 2014-2017. Prima di alcune considerazioni su questa parte finale del volume, segnata anche dalla passione e dall’appartenenza politica degli autori, conviene dare uno sguardo all’ impianto scientifico del lavoro.
Le singole vicende raccontate cronologicamente iniziano dall’8000 avanti Cristo, con l’esplosione dell’Etna, la distruzione dei villaggi neolitici alle sue pendici e un terribile tsunami che raggiunse le coste del Mediterraneo meridionale e orientale e arrivano ai nostri più recenti disastri di eruzioni, terremoti, alluvioni, incendi. Alle fonti dell’archeosismica si sostituiscono via via le documentazioni storiche, le testimonianze delle tragedie che rimangono nella memoria popolare, la permanenza sine die delle rovine, gli abbandoni irreversibili dei territori. Sono elementi che testimoniano una sorta di atavica rassegnazione, ma anche il rifiuto di imparare la lezione delle esperienze subite, per quanto dolorose per bilanci di vite individuali spezzate, per distruzione di intere comunità, per azzeramento di ricchezza reale e culturale. Nella ricostruzione gli elementi conoscitivi sono numeri, dati, circostanze, valutazione dei costi, effetti sociali delle catastrofi, dove l’uomo più che la natura mette del suo.
Quella italiana è edilizia di pessima qualità da molti secoli. La salvaguardia del territorio è approssimativa, se non del tutto assente. Le speculazioni, la insensibilità verso i rischi idrogeologici, gli incendi dolosi, la mancata cura dei territori, le urbanizzazioni selvagge sono sotto gli occhi anche della nostra generazione, con i business immediati dei risparmi di materiali e tecniche, i pozzi senza fondo degli sprechi a termine. E’ storia contemporanea, anzi no è cronaca odierna.
Eppure bisognerebbe tenere a mente una norma del codice di Hammurabi, re babilonese vissuto nel 1800 avanti Cristo, che stabiliva per coloro che non manutenevano gli argini nei terreni di loro proprietà la condanna al risarcimento dei danni per la perdita degli altrui raccolti, in caso di alluvione.
La prevenzione civile
La seconda parte del volume descrive con linguaggio partecipativo, adatto ad esprimere la forte tensione civile degli autori, le azioni compiute negli ultimi anni secondo un approccio più sistematico del governo dei rischi naturali o per il contrasto di azzardati interventi umani. La creazione del Dipartimento della Prevenzione Civile, a fianco di quello della Protezione Civile, inserito nel programma Italiasicura dei governi di centro sinistra, al quale i nostri hanno partecipato nella qualità di esperti con responsabilità dirette, ha prodotto rapidamente risultati nuovi e importanti rispetto al passato.
La citazione va alle condizioni dell’edilizia scolastica, il cui primo censimento assoluto ha portato alla luce decine di migialia di edifici sui quali intervenire, un patrimonio immobiliare in degrado che accoglie nelle quotidiane attività oltre sette milioni di studenti. Bastano questi dati per capire la portata di uno dei più rilevanti interventi di prevenzione.
Un secondo aspetto che colpisce del libro è’ il calcolo economico, fatto con puntigliosa cura, degli interventi in emergenza. Si tratta di una spesa divenuta ricorrente di nove miliardi di euro annui, 145 miliardi di euro negli ultimi quindici anni, cifre talmente rilevanti da impattare pesantemente sulla finanza pubblica, contribuendo ai ben noti squilibri.
La critica di D’Angelis e Grassi, avanzata senza mediazioni, non va interpretata come espressione di vis polemica, quanto di amarezza per lo smantellamento di un sistema, il cui perno era l’accentramento in capo al Governo di attività disperse nelle competenze di Regioni e altri enti locali. Le competenze sono state di nuovo trasferite alle Regioni da parte dei governi successivi.
Molto spesso la politica opera in un senso o nell’altro solo in contrapposizione all’operato degli avversari e non in base alla valutazione dell’oggettiva efficacia delle iniziative. Sta di fatto che il Paese non ha ancora preso la strada di un’azione strutturale di prevenzione, tamponando di volta in volta le condizioni estreme che gli si prospettano. Stante anche l’avvicendarsi dei Governi (negli ultimi dieci anni, otto d’ogni possibile e impossibile composizione partitica), il senso di impotenza/rassegnazione non può essere affatto allontanato.
Soldi e progetti
Non è che manchino infrastrutture, risorse tecniche e capitale umano e anche i mezzi finanziari per una politica delle prevenzione. Manca una visione strategica sganciata da interessi economici e da atteggiamenti politici di breve respiro. Un punto di prospettiva che, secondo l’esperienza degli autori, doveva dare crescenti e verificabili risultati era l’inversione del binomio soldi-progetti, nel quale si articola il rapporto tra le esigenze di intervenire e l’esecuzione delle opere necessarie nel rapporto tra amministrazioni centrali e periferiche. Detto con un esplicito slogan si è trattato nella loro esperienza di passare da “prima i soldi poi i progetti” a “prima i progetti poi i soldi”.
Nel primo caso, che ha contrassegnato tanta parte della storia che qui si racconta, si è dovuto amaramente constatare che quando i soldi c’erano, i progetti o mancavano o erano in una fase talmente antergata rispetto alla loro esecuzione, da far fallire anche la più nobile delle iniziative. Quando, dicono gli autori, questa sequenza è stata rovesciata e rispettata, i risultati sono venuti presto, con la riapertura di una serie di cantieri.
Questa lezione, con le enormi risorse europee messe ora in campo, chiede di essere definitivamente appresa. I progetti per rilancio dell’economia post pandemia hanno peraltro superato un impegno finanziario che viene calcolato nel doppio della quota del Recovery Fund (420 miliardi, contro i 209) assegnata all’Italia.
Saprà la politica operare le scelte di interesse generale più opportune per il Paese, senza dimenticare che il tema delle catastrofi incombe su di noi con un peso enorme, sconosciuto agli altri paesi europei? Ah, saperlo!