Carta e web: è inarrestabile la crisi del quarto potere

Con i trend attuali i quotidiani viaggiano verso l’estinzione. I dati confermati da Agcom. Dall’industria dell’informazione all’economia degli influencer: l’opinione pubblica si frammenta

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Nel 2034 in poco più di una famiglia su cento si leggerà un giornale in Italia. Nessuna previsione azzardata: i dati vengono direttamente dall’Agcom. Il presidente Giacomo Lasorella nei giorni scorsi, durante un’audizione alla Commissione Cultura alla Camera, ha confermato il trend negativo per l’editoria nostrana, specificando che – se dovessimo continuare di questi passi – tra dieci anni il giornale «entrerà nell’1,5% dei nuclei familiari del Paese».

Nel 2007 quotidiani letti dal 67% degli italiani
La percentuale è scesa al 22% nel 2023

Se Philip Meyer, studioso dell’editoria americana, aveva previsto l’ultima copia del New York Times nel 2043, in Italia non siamo poi tanto lontani da futuristiche previsioni circa la fine della stampa cartacea. I dati parlano chiaro: nel 1990 si vendevano 6,8 milioni di copie dei quotidiani; nel 2003 4 milioni; 2 milioni, invece, nel 2013: in sintesi, ogni dieci anni il numero di giornali venduti si dimezza. Un de profundis, se si considera che, al crollo dei ricavi delle copie cartacee, non fa da contraltare una impennata delle vendite digitali.
Il Diciannovesimo Rapporto sulla Comunicazione del Censis pubblicato lo scorso mese di marzo aveva già evidenziato che per i media a stampa si accentua la crisi storica: nel 2007 i quotidiani cartacei erano letti dal 67% degli italiani; una percentuale scesa al 22% nel 2023: una differenza di -45% in quindici anni.

Che i tempi siano bui per il mondo dell’editoria appare evidente anche a chi non è avvezzo ad analisi dati o report: chi legge oggi un quotidiano? Sempre meno persone, tanto che oramai sui social imperversa una moda: fotografare chi legge un giornale, quasi fosse un evento straordinario.

I content creator sono spesso più popolari
delle testate giornalistiche mainstream

I dati drammatici che riguardano il settore dell’editoria erano stati ampiamente confermati anche dal Digital News Report 2024, da cui lo scorso mese di giugno era emersa una fotografia particolare del rapporto tra gli italiani e i mezzi di informazione: poco interesse verso l’informazione (non si va oltre il 40%) e scarsa propensione a pagare per le notizie on line. Secondo il Digital Report, in Italia l’interesse nei confronti delle notizie si è ridotto drasticamente: dal 74% del 2016 si passa al 40% del 2024, con maggiore disinteresse soprattutto per le donne, per i giovani e tra la popolazione con livelli di reddito e istruzione più bassi. Una sola certezza: tra le fonti di informazione usate nella settimana che ha preceduto l’intervista, solo il 10% ha ammesso di aver letto quotidiani di carta; il 50% di essersi informato tramite programmi televisivi di attualità o telegiornali. Secondo il report, il 39% degli italiani si informa sui social e per il 17% sono proprio i social la principale fonte di informazione (Facebook perde terreno in favore di Instagram e TikTok) con una considerazione: sui social i cosiddetti content creator sono spesso più popolari delle testate giornalistiche mainstream. Secondo dati Ipsos 2023, invece, la Generazione Z – la prima a essere totalmente immersa nel mondo del web – indica tra le principali forme di informazione Instagram (42%), seguita da siti/app di informazione (38%), Youtube (33%). Per i Millenials il 38% considera Facebook come fonte di informazione rilevante.

Con la verticalizzazione i siti di informazione
si adeguano allo stile dei social

E, manco a dirlo, cambiano anche le modalità di fruizione: la maggior parte degli utenti legge le notizie da smartphone tanto che oramai i siti vengono pensati per una visione “mobile”. Ne è un esempio Repubblica.it che da qualche giorno è on line con una versione rinnovata che si declina in foto e video verticali e una suddivisione informativa a misura di smartphone. La verticalizzazione del materiale audio-video appare oramai una tendenza consolidata e il giornalismo si avvicina ancora di più al linguaggio dei social forse proprio per trovare spazio in un panorama in cui predomina la disattenzione verso contenuti informativi tradizionali.

Si passa dal giornalismo serio e certificato
alla comunicazione schietta e diretta del web

I dati sulla stampa tradizionale spingono al pessimismo. Ma cosa può essere accaduto nel tradizionale e antico patto di fiducia tra i media tradizionali e i lettori? Si tende solitamente a dare la colpa alla crisi del settore e spesso tra editori e giornalisti si assiste a un vero e proprio rimpallo di responsabilità. La sensazione è che, specie i più giovani, tendano a preferire fonti di informazioni alternative, a cui è possibile accedere tramite piattaforme digitali, e che non richiedono più – o non richiedono necessariamente – la mediazione del giornalista. Stando al 19° Rapporto sulla Comunicazione del Censis, l’informazione è fortemente polarizzata: da una parte ci sono i media mainstream e dall’altra un tipo di informazione che appare più libero e scevro da condizionamenti che, però, in quanto tale, non è esente da rischi. Non a caso, il 77% delle persone non si fida dei grandi media in quanto li ritiene condizionati dalla politica; per il 72,5%, invece, l’informazione dei grandi media è distorta da interessi economici.

Insomma, il tradizionale quarto potere sembra lasciar spazio a quello che alcuni media americani hanno ribattezzato “economia degli influencer”, comprendendo in questa accezione i numerosi podcaster, youtuber, influencer… tutti coloro che – anche grazie alle molteplici potenzialità dei nuovi media – comunicano in maniera almeno apparentemente più schietta.

La conseguenza? Anche l’opinione pubblica, esattamente così come l’offerta informativa, si frammenta. Ma questa, forse, è un’altra storia…

Barbara Ruggiero

Coordinatore del magazine, giornalista professionista, è laureata in Comunicazione. È stata redattrice del Quotidiano del Sud di Salerno e, tra le altre esperienze, ha operato nell’ufficio comunicazione e rapporti con l’informazione dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). Già docente di progetti mirati a portare il giornalismo nelle scuole, è stata anche componente e segretaria del Consiglio di Disciplina dell’Ordine dei giornalisti della Campania.

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