Buongiorno e buon fine settimana
Se dobbiamo parlare di bestseller italiani non possiamo passare che da lì, cioè da Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi. Un libro che ha avuto una fortuna immensa che si estende ben oltre il mondo dei libri.
L’abbraccio del cinema
Secondo l’intelligenza artificiale generativa, ben 18 sono le pellicole tratte dal libro di Collodi, includendovi anche quelle per la televisione. Non finisce qui: ci sono state pièce teatrali, musical, videogiochi. Tutti adattamenti non facili da quantificare e senz’altro dimentico qualche altra tipologia di spettacolo. Negli ultimi tre anni, per esempio, sono stati prodotti ben tre film tratti da Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi. Non sono film così per fare, ma tre grandi produzioni dirette da personalità di rilievo del mondo della celluloide. Ecco che il Pinocchio di Guillermo del Toro (Netflix) ha vinto l’Oscar, il Golden Globe e il BAFTA per il miglior film di animazione. Il film reca l’inconfondibile impronta dello stile caliginoso del regista messicano.
Nel 2019 il nostro Matteo Garrone ha girato un Pinocchio (Disney+) molto fedele al testo collodiano. Tale fedeltà a una storia che il pubblico conosce bene ha attenuato l’effetto sorpresa e meraviglia che i costumi e le ambientazioni offrono con generosità. Sta di fatto che il film di Garrone ha ricevuto due candidature agli Oscar, 15 candidature ai David di Donatello, vincendo in cinque categorie e 7 candidature ai Nastri d’Argento con 6 premi. Un bel bottino per il regista romano.
Nel 2022 la Disney ha distribuito un adattamento in live action di Robert Zemeckis il regista di Forrest Gump, anche lui, a suo modo, un Pinocchio. Il Pinocchio di Zemeckis (Disney+) è il remake dell’omonimo epico film d’animazione Disney del 1940 (Disney+) che si aggiudicò due Oscar. Nel 2000 la Disney aveva già prodotto un altro remake del Pinocchio 1940 dal titolo Geppetto, un musical per la TV.
Collodi e De Amicis
Torniamo al libro e soprattutto al suo autore. Nel primo post di questa serie Michele Giocondi, storico dell’editoria, ha mostrato come Edmondo De Amicis, l’autore di Cuore, da un punto di vista ormai consolidato a livello popolare, rappresenti lo scrittore moralistico, sdolcinato, animato da buoni ideali e da nobili sentimenti patriottici e tradizionali.
È “l’Edmondo dei languori” di carducciana memoria. Da questi deriva l’aggettivo ancora in uso, ricavato dal suo nome. “Deamicisiano” si usa infatti ancora ai nostri tempi per indicare un qualcosa di lacrimevole, melenso, arcaico, talvolta paternalistico, una melassa che designa una persona sprovveduta, bonaccione incapace di prendere decisioni ferme e tempestive.
Oggi Giocondi ci porta nel territorio della supposta nemesi di De Amicis, Carlo Collodi, appunto, il trasgressore. Ma fu davvero un trasgressore?
Buona lettura.
Collodi, un precursore del 68?
di Michele Giocondi
Carlo, il “grillino”?
Collodi ha invece incarnato, e continua a farlo ancora oggi, l’immagine un po’ sbarazzina del contestatore, del trasgressivo, del polemico, di colui che guarda con un sorriso ironico e un po’ sornione alle vicende della vita, lasciando trapelare un senso di ribellione, di insofferenza, o quanto meno di satira nei confronti delle istituzioni del paese. E più volte prende per i fondelli coloro che le rappresentano, come fa con i carabinieri di Pinocchio.
Un sottile e velenoso “grillo parlante” insomma, che non si perita di attaccare e polemizzare contro i mali della società. E in effetti ha agito in questa direzione.
Negli anni giovanili ha creato un giornale satirico che però ha breve durata, e ha collaborato ad altri, scrivendo spesso pezzi di satira corrosiva che infastidiscono i potenti e lo inducono a interrompere quelle note malevole.
A confronto di De Amicis non c’è dubbio che a livello comune l’anima trasgressiva, contestatrice e quasi rivoluzionaria sia la sua. Ma Collodi fu davvero così nella sua vita?
Se andiamo a vedere alcune vicende che lo riguardano in prima persona, non possiamo non vedere un ragazzo che a 11 anni entra in seminario per poi uscirne dopo 4 anni e proseguire gli studi, e poco più che ventenne partecipare come volontario alla prima guerra d’indipendenza. Esperienza che ripeterà 10 anni dopo alla seconda.
Saltabeccando
La ricerca di una sistemazione lavorativa stabile lo porta a tentare più strade. Fa il commesso in una libreria fiorentina, collabora a qualche giornale, anche a una rivista musicale, ma sempre in ruoli secondari, mai da grande firma, anche se di articoli velenosi ne scrive a bizzeffe.
A leggerli oggi, quegli articoli, si rimane talvolta colpiti dalla pochezza delle argomentazioni, spesso ridotte a maldicenze e a contestazioni personali, mai veramente politiche. Qualche rivista addirittura la crea, ma durano tutte poco. Per un po’ fa anche l’amministratore di una compagnia teatrale, che lo porta a scorrazzare avanti e indietro per l’Italia.
È sempre alla ricerca di una sistemazione definitiva, per tirare avanti e anche per far fronte ai debiti di gioco, suo vizietto occulto, che però tarda sempre ad arrivare, e che non riesce mai a raggiungere.
Alla fine, a 34 anni, trova un incarico come membro della commissione della censura, che gli garantisce un modesto stipendio. Deve visionare gli spettacoli teatrali e censurare quelli troppo critici. Proprio lui, un trasgressore che però lavora per la censura!
Lo fa di mala voglia, solo per ragioni finanziarie e per assicurarsi poi una pensioncina quando smetterà, cosa che farà appena raggiunto il minimo possibile. E saranno 60 lire al mese di pensione! Poco più della metà dello stipendio di un insegnante. Quegli spettacoli che visiona come censore, poi li recensisce per il quotidiano cittadino, assicurandosi un altro piccolo introito, ma è sempre lì lì, con l’acqua alla gola. E basta un tracollo al gioco per trovarsi davvero nei guai.
Seguendo le mode
Come scrittore prova più volte a dare una svolta alla sua carriera. Visto il successo che riscuote presso il pubblico il ciclo dei misteri, iniziato con i celeberrimi Misteri di Parigi di Sue nel 1844, e proseguito con titolo analogo in ogni capitale europea e in ogni città italiana, decide di accodarsi pedissequamente alla serie e compone i suoi Misteri di Firenze.
L’opera però non giunge a compimento e l’autore è costretto a ricredersi e ad ammettere sconsolatamente che Firenze è una città piccola, dove tutti si conoscono e vanno a letto con le galline.
Che misteri volete che ci siano in questa città! Nessuna fantasia, nessuno scatto di immaginazione, nessuna inventiva da parte sua!
Come si sarebbe comportata diversamente la giallista dell’epoca, Carolina Invernizio, che viveva come lui nella Firenze post capitale d’Italia!
Dando via il capolavoro per mille lire
Prova anche con la letteratura per i ragazzi e crea le figure di Giannettino e di Minuzzolo, e lì ottiene qualche successo, sembra quello il settore a lui più congeniale, tanto che collabora anche ai testi scolastici per l’infanzia.
Ma quando gli capita l’occasione della vita, quel Pinocchio che compone senza crederci minimamente, non coglie la potenzialità dell’opera.
Lo scrive in due fasi, prima fino all’impiccagione di Pinocchio ad opera del gatto e della volpe, poi in seguito al successo che ottiene nel “Giornale per i Bambini”, dove la geniale opera esce a puntate, dietro pressione del direttore della rivista, Ferdinando Martini, lo riprende in mano, con un escamotage riporta in vita Pinocchio e con qualche sosta e qualche incoraggiamento lo conclude.
Ma non si rende conto di cosa ha realizzato, e quando un mese dopo esce in volume lo cede in forma perpetua all’editore per 1.000 lire, lo stipendio annuo di un insegnante. Una cifra ridicola. E così butta via il biglietto della fortuna che avrebbe vinto il primo premio, che gli avrebbe garantito ricchezza e benessere perpetuo.
In 160 lingue si dice Pinocchio
Le vendite sono subito stratosferiche. Negli anni Venti del ’900 Pinocchio è già a oltre 2 milioni di copie vendute solo in Italia, il doppio di Cuore.
Ma per lui solo quattro miserabili lirette, per l’opera che sarebbe diventata il libro più letto al mondo: quattro spiccioli che Collodi intasca di buon grado per pagare l’ennesimo debito di gioco. Solo nel nostro paese le stime vanno oggi da oltre 10 milioni agli oltre 30 milioni di copie vendute, considerando le infinite riduzioni per ragazzi, che crescono sempre di anno in anno.
Non c’è adolescente nostrano che non abbia tenuto in mano il libro del burattino di legno. Viene tradotto in tutte le lingue del mondo, anche nel dialetto Bantu. Si azzardano traduzioni in 160 lingue, e forse anche di più. Cosa mai vista in precedenza e nemmeno in seguito.
Un libro che ha spiccato il volo per l’eternità. Ma lui cosa ne ricava?
Un Collodi trasgressivo? Ma via!
Cosa c’è di trasgressivo in lui? Cosa di trasgressivo in una vita condotta sempre al traino di altri, spesso aiutato dal fratello e più volte ospite presso di lui, funzionario della famiglia Ginori, dove aveva lavorato come cuoco anche il padre.
Lui che vive sempre insieme alla madre, dalla quale si fa dare ogni sera un bacio e la benedizione prima di andare a letto. Pratica sicuramente encomiabile da tutti i punti di vista, ma se non lo avessimo saputo e avessimo dovuto indicare da quale dei due scrittori era in uso, sicuramente avremmo tutti indicato De Amicis. A lui sembrerebbe infatti più appropriata, secondo la vulgata comune.
Vulgata comune che ci porta spesso a immaginare a uno scrittore atteggiamenti che non gli sono per niente congeniali. Proprio come al grande Manzoni, che nella vita di tutti i giorni non era per niente quel saggio, equilibrato, rassicurante e controllato personaggio che si evince dal suo capolavoro.
Pinocchio sì, grande opera, anche dal punto di vista linguistico, sbocciata quasi per caso, ma gestita nel peggiore dei modi dal suo autore, che avrebbe dovuto imparare dal De Amicis come si fa.
Un gioco di specchi
Come è strano a volte il destino e come l’immagine consolidata dei due scrittori di fine ’800 può apparire distante da quello che furono nella realtà.
Si può parlare di maschera e volto? Certamente, come anche di un complicato gioco di specchi nel quale il più tradizionalista, conformista, conservatore, sentimentaloide e buonista si rivela alla fine essere il più trasgressivo, innovatore e rivoluzionario, mentre l’altro ne è l’esatto contrario.
Un gioco di specchi, dicevamo, che troveremo, mutatis mutandis, anche nei due maggiori autori di successo del primo ‘900: Guido Da Verona e Pitigrilli, dei quali parleremo nei prossimi post.