I recenti fatti di stupro di gruppo avvenuti al Foro Italico di Palermo e nel comune di Caivano (Napoli) rimbalzano quotidianamente fra le cronache e i commenti dei notiziari radiotelevisivi e delle pagine dei quotidiani di quest’ultima coda di agosto. L’episodio di Caivano, in particolare, colpisce per la sua feroce e disumana banalità, parafrasando Hannah Arendt. Due cuginette di 10 e 12 anni, ripetutamente violentate da un gruppo di maggiorenni e minorenni, sono state immortalate in una decina di video girati in varie zone della città e, in particolare, in un edificio abbandonato dell’ormai famigerato Parco Verde. Lo stesso parco (che di verde ha solo il nome) in cui si consumò nel 2014 l’orribile assassinio di Fortuna, uccisa a sei anni per essersi ribellata all’ennesima violenza sessuale del suo patrigno. All’orrore del delitto si aggiunge ora la celebrazione social del misfatto: le vittime sono esibite come trofei e i crimini sono spacciati come eventi pop degni di audience. Da Palermo a Caivano il desiderio perverso di una notorietà eclatante e a buon mercato guida le azioni di un branco di giovani, violenti e vuoti, risultato di un degrado integrale che di umano non conserva più nulla e che rimbalza da un monitor all’altro.
Al centro del dibattito degli ultimi giorni è stata posta da vari politici e commentatori la questione della carenza di educazione sessuale nelle scuole, del maschilismo, della disparità di genere, della mancanza di rispetto delle regole, dell’assenza del senso della legge, della pornografia dilagante. Un tema, quest’ultimo, affrontato niente meno che da Rocco Siffredi in una lettera indirizzata alla Ministra Roccella per promuovere un piano educativo nelle scuole destinato ai più giovani, per insegnargli la cultura del rispetto e per porre un deciso divieto di accesso libero alla pornografia. Troppo spesso, in effetti, la realtà oggi diventa un film, dove i piani della concretezza e della finzione si sovrappongono, trasformando la città in un set di eventi che forse neppure Pierpaolo Pasolini avrebbe potuto prefigurare nella loro paradossale mostruosità. E se il grande intellettuale aveva perfettamente compreso la dinamica che legava la distruzione del paesaggio alla proliferazione della violenza e del degrado morale, gli fa eco la celebre teoria delle “finestre rotte” di James Quinn Wilson e George Lee Kelling (1982), che lo spiegano sul piano sociologico: l’assenza di cura e controllo del territorio, a partire da una semplice finestra lasciata rotta, diventa il detonatore di un messaggio subliminale che rende prima possibile poi normale la violazione delle regole, dando il via a ogni tipo di abuso e di vandalismo. Un legame, questo, che ancor prima è chiarito per converso dalla “Repubblica” di Platone, che evidenzia il nesso tra il bene, il bello e il giusto. Un contesto ambientale deteriorato e deformato non può quindi favorire la nascita di una coscienza civile né tanto meno la percezione di quella legge morale che ogni uomo dovrebbe avere in sé e che riempie di stupore e ammirazione Immanuel Kant. Se dunque, come ha nelle ultime ore dichiarato il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, Caivano è un “inferno in terra”, dove “serve una zona d’assedio militare”, perché “lo Stato non c’è”, bisognerebbe forse ricordare che questa sfortunata “chora”, con la ricostruzione post-terremoto del 1980, è stata a poco a poco trasformata in un informe bubbone di cemento posizionato nel cuore di quella che oggi si chiama “terra dei fuochi” ma che per secoli è stata la Campania Felix. Non può dunque essere casuale la circostanza che il degrado ambientale e sociale procedano a braccetto in un territorio violentato e abusato da decenni dall’azione criminale della camorra e dal silenzio complice delle istituzioni. Dal sostrato informe della brutalità contro il paesaggio e contro la natura è inevitabilmente geminata quella contro le persone, a partire dalle più fragili e indifese. Prima del ricorso all’esercito, dunque, a Caivano occorrerebbe dare inizio alle bonifiche ambientali, ponendo fine alla sensazione di trovarsi in un territorio dimenticato da tutti, persino dai suoi stessi abitanti, ma non da Dio: lo testimonia padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, impegnato in una instancabile opera di lotta e di denuncia dei misfatti che si consumano da decenni nei territori del Napoletano e del Casertano, con gravi ripercussioni sulla salute delle persone. Tutti lo sanno ma nulla si fa. L’attenzione della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in visita domani proprio a Caivano, può dunque essere un’occasione preziosa per rilanciare sul piano nazionale l’urgenza di un intervento integrale per la rinascita di quest’area devastata, che, al netto dei proclami e degli annunci della Regione, non ha iniziato neppure a compiere i primi passi.
Una questione ancora aperta anche in virtù di ragioni che si collegano a una visione gerarchica dello spazio: le diverse marginalizzazioni ed esclusioni territoriali di alcune parti delle città vedono le zone centrali vincere sulle periferie in termini di cura delle persone, dei servizi e della loro accessibilità. Una logica che divide la città in classi socio-spaziali, per citare una definizione coniata da Alan Reynaud diversi anni fa, orientando l’attenzione della politica verso le fasce privilegiate della popolazione urbana, trascurando gli Ultimi. Non si tratta di giustificare o assolvere i responsabili dei gravissimi reati di Caivano, ma di analizzarne i comportamenti anche a partire da una considerazione delle dinamiche più profonde di certi consolidati aspetti di marginalità socio-spaziale che, declinati a scale diverse, regolano azioni e comportamenti sociali, anche nelle loro derive più clamorose.