Come un polittico che si apre/ e dentro c’è la storia”. Cominciava con questi versi la raccolta il Profilo del Rosa che Franco Buffoni pubblicava, ormai più di un ventennio fa, nella collana “Lo Specchio” di Mondadori. Negli anni a seguire, il polittico della vita di Buffoni si è arricchito di tante altre storie, rappresentate con la stessa passione e intensità, in prosa e in versi. Dopo Betelgeuse e altre poesie scientifiche – edito sempre da Mondadori, nel 2021 – Buffoni torna adesso al romanzo. E, ancora tenendo in mente l’immagine del polittico, Il Gesuita (questo il titolo del nuovo libro di Buffoni) va a collocarsi tra le ‘tavole’ istoriate che raccontano la vicenda biografica dell’autore: non sempre – o non esclusivamente – nella misura narrativa dell’autofiction ma pure – e soprattutto – come letteratura ‘testimoniale’ di impegno politico in difesa dei diritti civili. In tal senso, Il Gesuita segue l’ideale linea narrativa e di pensiero già tratteggiata in Più luce, padre (2006, Premio Matteotti); Reperto 74 (2008); Zamel (2009); La casa di via Palestro (2014). Un ulteriore segno distintivo (e in comune) di tutti questi testi può essere individuato nella specificità di genere del Bildungsroman. La voce del protagonista Franco (non a caso omonimo dell’autore) ri-costruisce – nelle quattro sezioni, anch’esse ‘polittiche’, dell’indice – la trama del libro: la storia di un amore adolescenziale e dolorosamente non corrisposto per “l’Alberto” (l’atletico coetaneo già comparso, come Franco, nei romanzi precedenti); la presa di coscienza della propria omosessualità osteggiata dagli atteggiamenti intolleranti della famiglia e della società lombarda negli anni sessanta; il ‘rifugio’ nello studio dei classici greco-latini, dove finalmente trova ciò che “riesce a dargli ragione di ciò che è”. A far da ‘contraltare’ alla formazione sempre più rigorosamente filologico-filosofica di Franco – attraverso lo studio, matto e disperatissimo, degli umanisti che lo porterà allo “svelamento” dei falsi storici in materia di fede cristiana – c’è la figura del co-protagonista: il ‘gesuita’ Klaus, studente all’Aloisianum di Gallarate. La peculiarità del romanzo di formazione diventa, a questo punto della storia, sempre più distintiva: si raffina sempre di più la sagoma di una identità omosessuale dei due ragazzi tra ragione, scienza, fede e sentimento. Il trasferimento improvviso di Klaus dalla Lombardia a Roma, alla Gregoriana (che avviene per le pressioni dell’autoritario padre di Franco, altra figura ricorrente nella prosa narrativa di Buffoni) costituisce un nuovo punto di svolta nell’ordito dell’autofiction: “tra batticuore e tentativo di diventare adulti” il giovane, ormai diciottenne, raggiunge l’amico nella capitale dove conosce l’americano Jason che era stato compagno di stanza di Klaus a Berkeley. È il 1966: grazie a Jason il processo di formazione di Franco si arricchisce ulteriormente, entrando in contatto con il vivace mondo universitario statunitense, melting-pot di culture diverse; conoscendo e apprezzando le lotte di tanti coetanei americani per il riconoscimento dei civil rights, contro qualsiasi forma di discriminazione di razza o di orientamento sessuale. Le strade di Franco, Klaus e Jason si divideranno: da un lato, il bisogno di “protezione” e di rifugio nelle tradizionali istituzioni (la chiesa cattolica, il sindacato, il matrimonio) per il “gesuita”; dall’altra parte, la scelta di vita pubblica e privata – pienamente consapevole e naturalmente dichiarata – del giovane italiano e del suo amico statunitense; alimentata dal “coraggio di partecipare alla costruzione di nuove visioni della società e del mondo. Ed eventualmente anche di nuove istituzioni”.
[Franco Buffoni, Il Gesuita, Milano, FVE editori, 2023, pp. 152]