L’eredità lasciata dalle generazioni più adulte, a volte, è un’eredità stagnante. Passa ai giovani “di mezzo”, quindi, il testimone di salvezza per aiutare i più piccoli a rompere cicli di abuso: questo uno dei temi principali di “Boca Chica”, penultimo film in concorso della 54esima edizione del Giffoni Film Festival per la sezione Generators +18. Il film, per la regia di Gabriella A. Moses, è stato premiato nel 2023 al Festival del Cinema di Tribeca.
“Boca Chica”, oltre che il titolo del film, è anche la città di mare in Repubblica Dominicana dove si svolge l’azione della storia. Desi ha 12 anni e usa la musica come rifugio da una realtà che vuole costringerla a crescere troppo in fretta e cadere preda, in più sensi, di adulti che non hanno interesse a spezzare quei cicli dannosi che li costringe in un’eterna estate stagnante fatta di turisti che considerano ogni terra straniera il proprio esotico parco giochi pronto per far da sfondo a foto da sogno. La musica è una forma di liberazione, perché la musica a cui Desi si affeziona non è pop: Desi diventa appassionata di rap, e cerca insieme ad alcuni suoi coetanei di imparare le basi e lasciarsi trasportare dal flow.
Il matrimonio del cugino Elvis con l’americana Annie, esempio inquietante del turista inconsapevole che crede di potersi connettere emotivamente con i “local” cambiando acconciatura e adottando qualche frase “tipica” nel proprio linguaggio, porta a galla tutto ciò che non funziona anche in famiglie molto unite come quella di Desi, che è una famiglia dove sono per lo più le donne ad occuparsi tanto del lavoro quanto dell’accudimento dei più piccoli. Ma non si tratta di donne pronte a rompere cicli abusanti, bensì di donne abituate a questi cicli, e che anzi credono nell’utilità di questi cicli al punto da restare impassibili di fronte alle minacce per l’incolumità di Desi.
Una donna, di default, è già costretta a crescere più in fretta di altri perché viene esposta all’idea di poter essere preda ancor prima di aver vissuto il primo menarca. Ma le donne di “Boca Chica” sono già incasellate nell’idea di essere donne in quanto idea di donna, e non persone appartenenti alla categoria donna. La protesta giustamente “infantile” di Desi alla reificazione del suo corpo da parte di turisti che potrebbero essere suoi padri è vista come una sorta di capriccio da parte della madre, che è invece stata abituata all’idea che tra gli scopi della donna ci sia il piacere dell’uomo – in particolar modo se bianco e ricco, date le condizioni economiche in cui versa la famiglia.
Moses dipinge un ritratto inquietante di dinamiche familiari molto diffuse, una denuncia di ciò che accade nell’assoluta tranquillità di una cittadina di cui si conoscono i vicoli a menadito. Il pericolo non è la grande metropoli, che anzi viene vista come meta di salvezza dal fratello maggiore Fran e successivamente anche da Desi, ma ciò che si è sempre considerato routine. Il peso della gentrificazione dei Paesi del Sud del mondo, e la minaccia costante della tratta degli esseri umani, sono elementi che sono soltanto in apparenza secondari, ma restano in scena per tutta la durata del film.
Il finale è il dono che la regista fa alla generazione di Desi: l’idea che non siano per forza gli adulti buoni e “sicuri” a poter sparigliare le carte in tavola, ma che forse la pecora nera della famiglia potrebbe essere stata più lungimirante di quanto appaia ad un primo sguardo.