A che servo? chiede Clov, A darmi la battuta, replica Hamm. Come avrete capito, a parlare così crudelmente sono i due protagonisti di Finale di partita di Samuel Beckett. Con il grande irlandese il teatro contemporaneo s’avventura in una landa purgatoriale dove sono ormai quasi spenti gli ultimi fremiti vitali. L’afasia e lo stadio inorganico sembrano essere le uniche mete possibili per i protagonisti del suo teatro. Tutto sembra prossimo alla fine ma una fine che stenta definitivamente a finire. Tuttavia si continua a sopravvivere. Un luogo di transizione irredimibile e continuo dove è impossibile anche il suicidio. Una terra di mezzo anaffettiva. I suoi personaggi vivono in una estenuante ed inutile attesa; un’attesa che li priva d’ogni palpito metafisico per consegnarli ad un orizzonte chiuso, tutto umano e banalmente ripetitivo. In questo universo dove il nulla precede e segue il nostro destino tutto si declina con una leggera e ilare tragicità che non fa paura ma, piuttosto, suscita una umana pietà. La sua drammaturgia ha segnato così profondamente tutto il teatro contemporaneo che niente dopo Beckett è più lo stesso. Con lui tutta la nostra tradizione scenica sembra essere giunta ad una fase di maturazione tale che è impossibile prevedere sviluppi ulteriori. Possiamo dirci, nonostante tante differenze, ancora tutti beckettiani.
Beckettiani? Sì, ora lo siamo un po’ tutti
Con il grande irlandese il teatro contemporaneo s’avventura in una landa purgatoriale dove sono ormai quasi spenti gli ultimi fremiti vitali
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Pasquale De Cristofaro
Regista e pedagogo teatrale, ha diretto le rassegne, Teatro della Notte e Corponovecento. Ha insegnato in qualità di docente a contratto presso Università e Conservatori, attualmente insegna Storia del Teatro nell’indirizzo di Sperimentazione Teatro del Liceo Artistico di Salerno ed è coordinatore didattico di una scuola di alta formazione teatrale nelle Marche. Ha diretto molti spettacoli nei maggiori teatri italiani e pubblicato vari libri sul teatro del novecento.