Agli albori della mia professione negli anni ’80, i miei maestri erano tutti di scuola Yankee, e una delle pubblicità che studiammo più a fondo fu il lancio della Mercedes-Benz 220 S in USA dove, abituati alle grandi percorrenze e alla benzina che costava meno dell’acqua minerale, viaggiavano su scatoloni succhia benzina e guardavano con perplessità le auto europee dai piccoli motori: lo slogan di lancio della 220 S fu “Se con la nostra auto farai meno di 400.000 miglia, torna in concessionaria e ti ridaremo i soldi”: fu un’ottima idea, perché per vincere i dubbi USA occorreva puntare sulla durata dell’auto.
Nel nuovo secolo siamo entrati nell’era digitale, contrapposta perché cose & fatti durano poco e si dimenticano subito, isterica perché tornano in auge le peggiori cose del passato come guerre e nazionalismi… e niente come le auto rappresenta meglio questo cambiamento di paradigma; già il fatto che il comparto venga da qualche anno chiamato “automotive” dovrebbe farci capire dove è il cambiamento: non è più importante come e dove si costruiscano le auto ma il perché e il motivo per cui le si progettino.
Per l’Europa un futuro di auto-fotocopia e senza cittadinanza?
Il ritardo dell’Occidente nello sviluppo delle auto elettriche rispetto alla Cina è un tema di grande attualità dovuto a tanti fattori, dei quali due sono i cruciali: la riconversione di modelli già esistenti, in ibridi o elettrici, dovendo contemporaneamente difendere una produzione già in essere di auto termiche e la lentezza nell’assicurarsi batterie performanti. Di contro in Cina – con fortissimi investimenti governativi – si è iniziato da zero progettando veicoli nativi elettrici su poche piattaforme. Sicuramente la qualità finale, per come la intende un occidentale, non è comparabile, ma qui c’entra l’approccio cinese che è soprattutto consumistico, innovativo e futuristico: un esempio? Nonostante abbiano già le batterie più performanti, sono già oltre con sviluppi innovativi che hanno messo spalle a terra la lenta progettualità occidentale: è il sistema di cambio rapido delle batterie, una tecnologia che permette di sostituire un pacco batterie scarico con uno carico in 3 minuti, neanche il tempo di un pieno di benzina!
Questa soluzione è stata adottata dalla NIO fondata appena nel 2014, che ha costruito una rete di stazioni di cambio batteria in tutta la Cina e sta espandendo questa rete in altri mercati. Di fronte a questa avanzata, le aziende europee si trovano totalmente smarrite: la produzione di auto elettriche in Europa è ancora un arrangiamento di modelli già esistenti, con costi alti e percorrenze ridicole che non attirano clienti; in Cina ritengono già inaccettabili ricariche da 250 km, ecco perché le aziende europee sono già tutte in fila per alleanze con i cinesi per condividere la tecnologia. Esempi? …Tanti, troppi!
• La partnership tra BMW e la Great Wall Motors per la produzione di MINI elettriche in Cina;
• la Renault e la cinese Dongfeng Motor Corporation stanno costruendo la Renault City K-ZE a sua volta reingegnerizzata e ribattezzata come Dacia Spring Electric per il mercato europeo;
• la Volkswagen produrrà tutta la nuova serie ID in Cina;
• la Mercedes, produrrà le nuove Smart elettriche con Geely, in Cina;
• Volvo, che è dal 2010 proprietà della Geely, viene da essa distribuita in mezzo mondo anche con il nuovo modello di Business Link & Co, con un successo clamoroso.
• E infine la nostra ex Fiat, ora Stellantis, che con Dongfeng ha aperto un’autostrada per la Cina per riversarci buona parte della sua produzione… intanto comincia con un clone poco originale della nostra amata 500, il cui merito sarà di costare meno di 20.000 Euro: la Leapmotor T03.
Questi sviluppi inevitabilmente porteranno tantissimi veicoli elettrici cinesi nel nostro mercato con marchi europei. Ma la cosa non si ferma lì, perché se questi veicoli dovranno costare poco per la massa degli acquirenti ci si dovrà adeguare al concetto di progettualità cinese che non è quello europeo: le auto pur sembrando diverse all’esterno saranno massificate nelle cose essenziali in quanto l’obiettivo primario sarà velocità e costi bassi di produzione, per cui sarà conseguenziale avere poche piattaforme di base e tecnologia digitale comune a tutte… il che apre però, a un pericoloso risvolto di strategia commerciale, già ben conosciuta per i piccoli elettrodomestici prodotti in Cina.
Obsolescenza programmata: cambio del paradigma
Ed eccoci al vero cambiamento del paradigma occidentale, che consiste nel progettare prodotti con una durata di vita limitata, in modo da indurre i consumatori a cambiare con maggiore frequenza i vecchi prodotti con nuovi … Non ci sono prove concrete che dimostrino che le case automobilistiche cinesi stiano utilizzando l’obsolescenza programmata per il progetto delle auto, ma alcune riflessioni in materia che mi vengono da colleghi amici che seguono il marketing dell’automotive all’estero, sono da considerare seri indizi:
1) Le auto elettriche sono totalmente digitalizzate e governate da sistemi interamente in mano alle case costruttrici cinesi e che solo loro possono aggiornare o modificare (Quattroruote.it).
2) Già oggi BYD e Nio rilasciano nuovi modelli su base biennale e aggiornamenti annuali, rendendo i modelli precedenti meno attraenti (China2Move: auto, moto e scooter cinesi)
3) Le auto cinesi sono già progettate in modo da rendere difficile la riparazione da parte di meccanici indipendenti, occorre per forza rivolgersi ad officine autorizzate (Quattroruote.it)
4) Le auto elettriche dipendono dalle batterie, la cui produzione è oggi al 51% in mano ai cinesi (Catl+BYD) e all’82% in mano agli orientali: insomma decidono loro quanto devono durare!
Concludendo, se questi non sono indizi di obsolescenza programmata, ci assomigliano molto; non vi è alcuna prova concreta, lo ripeto, ma il fatto che la obsolescenza programmata nelle auto elettriche cinesi sia argomento di studio di grandi gruppi come Greenpeace, la Commissione UE e l’Autorità per la concorrenza del Regno Unito, probabilmente non è un caso. Vedremo.