Il clamore suscitato dalla recente esternazione di papa Francesco agli stati generali della natalità circa la propensione a preferire “animali di affezione” alla procreazione di figli, clamore raccolto anche da queste colonne, merita ulteriori considerazioni. È pur vero che l’episodio, raccontato dal pontefice, di una signora che avrebbe richiesto la benedizione per il suo chihuahua, è stato ridimensionato dalla stessa interessata, la quale testimonia invece di un simpatico scambio di battute tra i due interlocutori (il papa avrebbe replicato che il nome “anima mia” non si addice ad un cane, bensì, più semplicemente, “mia”, e il tutto in spagnolo), resta però tutto il peso della questione sollevata.
Indubbiamente, per l’autore di “Laudato sii” e per il propugnatore della “Giornata di tutela del creato”, che la Chiesa cattolica tiene il I settembre di ogni anno, una tale sortita è quanto meno infelice, né la propensione di Francesco a parlare a braccio lo soccorre in tali circostanze. All’inverso si ricorda la delicatezza di Paolo VI che, in visita ad una parrocchia romana, alla vista di un bambino palesemente sofferente per la morte del suo cagnolino, lo consolò assicurandogli che lo avrebbe rivisto sicuramente nella gloria. Chiara eco del pensiero di Teilhard de Chardin, teologo amato da Montini, per cui tutta la creazione tende inesorabilmente al punto Omega, ovvero al ritorno nella gloria del Cristo. Tutta la creazione, nessuna parte esclusa.
Ed è proprio il concetto di creazione ad essere oggi rimosso con la tendenza a “confondere il Creatore con la creatura” e con il risultato di assolutizzare quest’ultima. La creazione ex nihilo da parte di un Dio-creatore è quanto di più lontano dal pensiero contemporaneo che preferisce pensare alla materia in termini aristotelici, nell’accezione della sua eternità e datità. Paolo di Tarso, nella sua grandiosa lettera ai Romani, usa un’espressione quanto meno singolare a tale proposito: “Sappiamo che tutta la creazione geme e partorisce sino ad oggi”. Prima ha sottolineato che “la creazione è stata assoggettata a vanità non per sua volontà, ma a causa di colui che l’ha sottoposta alla speranza”. Da queste parole si evince che tutta la creazione, uomini e animali compresi, sono soggetti allo stesso destino e, al tempo stesso, proiettati “alla liberazione dalla schiavitù della corruzione nella libertà dei figli di Dio”. Tuttavia, esiste pur sempre una dimensione gerarchica nella creazione che, come proclama il Salmo n. 8, vede l’uomo “di poco inferiore agli angeli, coronato di gloria e di onore”. Primato nella dignità e, non meno, nella responsabilità verso la stessa creazione, di cui la Genesi lo fa custode, non padrone. Nonostante questo primato tutto nel segno della razionalità, Blaise Pascal ci teneva a precisare che l’uomo, “canna pensante”, può essere eliminato anche da un vapore o da una goccia d’acqua senza per ciò stesso mobilitare le forze dell’universo, come ha provato, drammaticamente, la recente pandemia.
Nelle attuali relazioni tra uomini e animali, specie quelli detti di affezione, capita di assistere spesso ad un rapporto asimmetrico, ma rivelatorio della rappresentazione che l’uomo ha di sé stesso. Si nota spesso come molti animali di compagnia – cani e gatti in prevalenza, ma senza esclusione di altre specie – rappresentino surrogati di prole umana, con violenza sulla loro stessa natura, e, alla fine del loro percorso biologico, siano soppressi “per ragioni umanitarie”, o, meglio, in nome di un falso pietismo. Quelle stesse ragioni che militano oggi a favore dell’eutanasia in tutte le sue forme per come si tende a introdurla per l’uomo negli ordinamenti giuridici. Allora al pontefice dovrebbe essere chiaro che, nell’auto rappresentazione che induce varie coppie a propendere per i cani piuttosto che per i figli, c’è anche l’incapacità a concepire caducità e morte come connaturate ad una creazione che geme come per i dolori del parto in attesa del suo riscatto finale. Un riscatto che è insito nell’aspirazione all’eternità dell’uomo e che si traduce, materialmente, nell’istinto alla riproduzione di tutti gli esseri viventi, ma che, nell’uomo occidentale vittima delle sue molte contraddizioni, è diventata, in accezione malthusiana, surrogazione dello stesso desiderio.