Vorrei che non fosse una recensione. Non vorrei nemmeno pensarla come una recensione. Con Dimenticami dopodomani, Andrea ci ha spalancato le porte del suo sentire, ed ora so che pur lavorando con le parole, se sono troppe tutte insieme o arrivano in un momento sbagliato, lo sfiancano.
Quante ne puoi reggere in questo momento, Andrea, quante posso mettertene addosso, a sopportarne mille ce la fai? O devo fermarmi, forse nemmeno cominciare. La tua fragilità, sorella di un grande coraggio, richiede da parte di chi ti legge ed apprezza molta premura.
E poi cosa posso aggiungere di altrettanto sincero al tuo “dire semplice, diretto, senza fondale”?
Sono stata una divoratrice di libri. La libido dei giovani della mia età andava in altre direzioni. Io no, ero contenta nel tenere libri tra le mani e in grembo e siccome all’epoca in famiglia ce la passavamo male, dovevo prendere ciò che ‘mi passava il convento’ dei conoscenti. Nella cesta Delitto e castigo giaceva coricato insieme alla rivista Grand hotel, Agatha Christie con le Avventure di Tom Sawyer. Di ogni lettura mi rallegravo, non esisteva lasciare un libro a metà, la sola carta stampata per me era già un miracolo. Con gli anni ho imparato a rallentare scegliere ciò che preferisco leggere.
Stamani invece quando ho aperto Dimenticami dopodomani, ho fatto un balzo indietro. Letto tutto in una volta, come ai vecchi tempi, ma forse nemmeno per un fatto di voracità. Mi sono sentita in un piacevole flusso e mi ci sono accomodata. Solo dopo, ho realizzato che leggevo di compassione, il tema a me più caro. Tutto il tuo libro la racconta, nemmeno perché vuole farlo, ma la racconta.
Ho amato sin dalle prime pagine questo tuo diario così intimo, messo generosamente a nostra disposizione, come le sigarette di quand’eravamo giovani, che pur non avendo soldi, sapevamo spartire (vedi, anch’io do spesso udienza alla nostalgia, anche se poi tu dici, tu o il tuo disincanto?, che la nostalgia è ciò che rimane del passato quando lo ricordi male) …
Il tema compassione a mio avviso racchiude molti temi, come una matriosca.
Tenerezza, amore. Pazienza, indulgenza, rappacificazione.
Sei stato sempre compassionevole, e questa compassione te la sei portata dentro e appresso, attraverso le vicissitudini della tua vita. È stata il tuo albero maestro. Con lei imparavi in fretta e ‘definitivamente’ ciò che secondo te conta imparare, e l’hai trasferita ai tuoi figli in modo naturale. Compassione innanzitutto per gli altri, e poi per te stesso, per i tuoi sbagli che sai non gravi ma che pure vivi come colpe. Le colpe ci rendono infelici e tu ravvisi nei tormenti dell’infelicità il seme di una disperata felicità, l’unica che conosci.
Allora ti rivolgi agli altri, come sempre, perché sono in loro le chiavi del forziere. Se pure non hai voglia di sentire nessuno, aspetti con pazienza che passi e te ne vai incontro agli altri. Lo spieghi anche ai tuoi figli, quant’è importante nutrirsi degli altri, pure di quelli che ci fanno ferito, deluso.
Le cose cambiano, queste faccende non sono ineluttabili.
“Il fatto è che ho anche imparato a capire meglio gli altri, le loro ragioni, le loro ferite nascoste.”
“Una volta il male lo riceviamo e una volta lo facciamo.”
A tua figlia Anna hai detto:
“La vedi questa faccia? Questa faccia l’hanno fatta gli altri”.
Per questo hai speso buona parte della tua vita transitando nei motel, negli autogrill (“Ogni tanto pensami fermo in questi autogrill a notte fonda, mentre piscio dalla parte dei camionisti.”), girando per le strade di notte o all’alba.
Solitudine (secondo te un’ultima resistenza alla dignità), e… altri, spesso quelli più indifesi, le cosiddette vite marginali.
Quell’arabo che ti disse perentorio devi alzarti, mentre ti eri piazzato in solitudine sotto un albero a consumare del cibo da asporto. Ti armasti di pazienza, non volevi litigare. Lui ti incalzava: devi alzarti, devi alzarti. Fino a che lo facesti. Fu allora che sistemò davanti al tronco dell’albero dei cartoni a mo’ di letto e ti disse:
“Ora fratello stai più comodo e non prendi più il freddo della terra.”
Gli altri, per te così importanti.
“Vorrei, di ogni persona, interrogare la persona antica che si porta dentro.”
“Una cosa che mi dilania l’anima è l’incontro con i bisogni della gente.”
“Quando due vite s’incontrano, non s’incontrano solo due vite, ma due storie, due mondi, due terre calpestate – due abissi nella notte.”
Gli altri, gli amici morti da cui ti precipiti, per arrivare prima che i loro corpi si irrigidiscano.
Rocco Scotellaro, Rocchino, cui ti rivolgi come a un padre, anche se ha “la carne tenera di chi muore a 30 anni”.
Pregio del tuo libro: è compatto, e per quanto riguarda gli argomenti, oltre quello primario della compassione, molto variegato.
Parli di amore (e disamore), di famiglia e del sud, quasi una trilogia. D’infanzia, di preghiera, disincanto. Di padri sconfitti e solitari.
Un libro ricco, che raduna le pagine a formare un romanzo. Soprattutto, parla dell’intreccio di vita e morte e del senso della morte.
In mezzo ai tanti crocicchi te ne stai tu, coi pochi capelli e la sigaretta poggiata alle labbra, rassegnato e orgoglioso di dimenticare non domani, ma dopodomani, o forse (parole tue), mai.
Perché abbiamo preso così ostinatamente la vita per il verso sbagliato?
Andrea, nemmeno io lo so.
Andrea Di Consoli, Dimenticami dopodomani, Rubbettino